Pier Paolo Pasolini: leggere e ricordare

Noterelle sui romanzi romani

Voce al mare

a cura di Elvira Rossi

Romanzi romani di P.P. Pasolini

Pier Paolo Pasolini: leggere e ricordare

Quest’anno ricorre il centenario dalla nascita di Pier Paolo Pasolini scomparso all’età di 53 anni, assassinato in maniera brutale tra la notte dell’1 e il 2 novembre del 1975 sulla spiaggia di Ostia. Un omicidio che tuttora conserva dei lati oscuri.

Il suo pensiero è da tutti ritenuto attuale, giacché la nostra società non è molto diversa da quella da lui profetizzata:

Vedo di fronte a me un mondo doloroso e sempre più squallido.

La sua anima poetica, pur radicata nella realtà, gli ha permesso di andare oltre le apparenze e la sua analisi lucida del potere e la critica severa della civiltà consumistica offrono molti spunti di riflessione.

Pier Paolo Pasolini nel 1949 si trasferisce a Roma e lasciandosi alle spalle la tranquillità del mondo contadino di Casarsa va ad abitare nei pressi di Ponte Mammolo, a stretto contatto con la periferia, che gli svela la drammatica condizione del sottoproletariato.

Lui stesso in una intervista ebbe a dichiarare che l’incontro con una umanità degradata gli causò un vero e proprio trauma.

Pasolini, mosso dalla passione umana e politica, da osservatore attento si immerge nella vita delle borgate e mentre ne scopre la sofferenza, resta affascinato dall’energia vitale che i giovani sprigionano nell’agire in piena libertà al di fuori di ogni regola e morale.

Ed è ai giovani che lo scrittore rivolge una particolare attenzione, rendendoli protagonisti dei romanzi scritti negli anni Cinquanta: Ragazzi di vita e Vita violenta.

Nel primo romanzo Ragazzi di vita, la periferia non è stata ancora raggiunta dai primi segnali di espansione urbanistica e una frattura netta segna il confine tra città e borgate. Generalità differenti scritte all’atto di nascita separano il proletariato dalla borghesia in un rapporto di reciproco disconoscimento.

I ragazzi di borgata hanno un destino comune, si incontrano e si scontrano tra di loro, ma con la città non comunicano, vi transitano senza fermarsi a lungo. La città è altro, non li accoglie, li respinge e i ragazzi di vita non aspirano a farne parte, si limitano a frequentarla per il tempo necessario a esercitare la propria ribalderia.

Ragazzetti, poco più che bambini e adolescenti, evadono da casa e privi di una meta si aggirano tra il sudiciume e il fetore delle fogne che i sentori della primavera faticano ad attutire. Nelle vie fangose o polverose cercano il cibo e l’avventura, spendono l’ansia di vivere.

Colpisce la fame perenne che li accompagna, una fame mai del tutto soddisfatta. Per la fame rubano, per la fame rovistano tra l’immondizia, per la fame ritornano a casa e per la stessa ragione se ne allontanano. Nei corpi smunti e negli abiti stracciati e sporchi portano scolpita la miseria.

Il ritorno alle baracche sancisce il senso di appartenenza alla borgata, vissuto con arrendevolezza e senza invidia per la borghesia.

Le case esistono, baracche di lamiera e locali di fortuna dove le famiglie sono sfollate nel primo dopoguerra non hanno nulla di accogliente. Gli interni raramente sono ritratti e le figure familiari, padri e madri, restano ai margini della narrazione.

Il cielo indifferente e beffardo splende sulle baraccopoli, si riflette nelle pozzanghere e la luce stenta a entrare nelle catapecchie abitate da una promiscuità di genti, le cui voci agitate si disperdono al calar della notte.

Sin dalle prime pagine del romanzo emerge il distacco dei giovani dal mondo adulto che non garantisce alcuna protezione.

Pasolini sedotto dalla energia primitiva dei ragazzi di borgata li segue sulla strada nella ricerca ansiosa di un tempo da bruciare nel presente, senza una idea di futuro. I loro progetti sono di piccolo raggio. E più che di progetti si tratta di azioni spregiudicate per sopravvivere alla fame e alla noia.

La ricorrente illegalità si configura come una inconsapevole rivolta, confusa e indiscriminata, che ben lontana dal tradursi in un’azione condivisa investe le radici della vita e non risparmia la morte.

I giovani in contatto costante con il rischio mantengono un contegno di indifferenza e disprezzo nei confronti della morte, contemplata con fatalismo.

Nel romanzo “I ragazzi di vita” il realismo di Pasolini mostra qualche crepa, giacché facendo coincidere la povertà con il degrado morale esaspera la desolazione dei luoghi e la violenza delle azioni tanto da saldare i personaggi a una condizione di immobilismo, senza presumerne l’evoluzione né a livello individuale né a livello collettivo.

Pasolini prevede che il consumismo dietro una parvenza di progresso travolgerà le espressioni naturali dei singoli gruppi sociali indirizzandoli a una volgare omologazione a danno della bellezza, amica del pluralismo e nemica del pensiero unico.

Una sensazione sottintesa di perdita e di nostalgia spingono Pasolini a mitizzare il vitalismo licenzioso del sottoproletariato e come in un poema epico canta l’autenticità di eroi negativi che al male oppongono il male.

Eroi solitari, eroi indifesi senza morale, eroi spavaldi che non compiangono e non si compiangono. Eroi sfrontati che abbracciano le privazioni senza recriminare.

I ragazzi di borgata, che vivono liberi in una gabbia senza sbarre, qualora ne uscissero non sarebbero più gli stessi, la loro identità maledetta perderebbe l’impronta di verginità per smarrirsi tra gli abbagli di una promessa di benessere, incapace di azzerare le disuguaglianze.

La stesura del secondo romanzo, Vita violenta, coincide con l’esperienza maturata all’interno della rivista Officina fondata nel 1955 e di cui Pasolini fu uno dei redattori. Letterati di varie tendenze in polemica con l’ermetismo e il neorealismo si riconoscono nel comune impegno di elaborare un concetto di cultura in grado di introdurre nuovi valori.

In una storia che ritorna ad avere un intreccio, il protagonista Tommaso Puzzilli, lui ragazzo di vita, a poco a poco viene attratto dal modello di una esistenza più sana e tranquilla. Siamo in una Roma che nella seconda metà degli anni Cinquanta incomincia a vedere una trasformazione del territorio con la costruzione di case popolari attigue alle borgate.

L’adesione, in una prima fase, al Movimento Sociale e poi alla Democrazia Cristiana per confluire poi nel Partito Comunista contraddistinguono le tappe di un processo di crescita civile di Tommaso, che si impegna nelle lotte per i diritti dei lavoratori e salva una donna in procinto di annegare nel fiume. Un atto di eroismo che lo porterà alla morte in età giovanile, cosicché il lettore non lo vedrà diventare adulto e non assisterà alla realizzazione del suo sogno di cambiamento.

Pasolini decretando la morte di Tommaso lo salva dalla corruzione e dalla falsa morale del mondo borghese e gli restituisce l’originaria schiettezza.

Tommaso, personaggio emblematico, riflette quella che molti critici definiscono una maturazione di Pier Paolo Pasolini, che riconosce la possibilità di riscatto da parte del proletariato attraverso la lotta politica, sebbene resti la sfiducia rispetto al modello di società che sta per realizzarsi.

Perché ricordare i romanzi romani di Pasolini?

Il mio vuole essere un invito, rivolto soprattutto ai giovani, a ricordare Pasolini, autore complesso e poliedrico.

I romanzi romani li lessi da giovane e ricordo che rimasi turbata in particolare dall’uso spregiudicato del linguaggio gergale e dalla sgradevolezza di alcune scene.

Superata l’iniziale reticenza andai avanti nella lettura. Quei romanzi che ero stata sul punto di abbandonare mi sono rimasti nell’animo e hanno segnato la storia di amore per l’autore. Da lettrice ingenua quale ero, al di là di ogni analisi critica, nella narrazione dei due romanzi in maniera istintiva sentii la voce del poeta che esprime la compassione per gli esclusi.

Pensai con semplicità che la poesia sovrastasse la volgarità di facciata.
Non mi sbagliavo. La mitizzazione dei ragazzi di borgata nasce dall’ammirazione per una singolarità che è destinata a perdersi, lasciando spazio sempre più al conformismo e all’omologazione, che non costruiscono un reale progresso.

Vorrei concludere queste noterelle, davvero modeste a fronte del tema trattato, con le parole di Pasolini:

Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto, nessuno li aveva colonizzati.

https://neripozza.it/libri/caro-pier-paolo