Parvana e l’Afghanistan nei romanzi di Deborah Ellis

Voce al mare

Articolo di Elvira Rossi

Parvana

Sotto il burqa, Il viaggio di Parvana, Il mio nome è Parvana sono opere di Deborah Ellis che, attraverso una coralità di voci, raccontano il dramma del popolo afghano soggetto al regime dei talebani.

 

Se lo stile scorrevole e il tono accattivante della narrazione li rendono adatti ai giovani lettori, i romanzi sono da consigliare a tutti, per una immersione in una realtà drammatica del nostro tempo.

Le vicende si svolgono a partire dagli ultimi anni del Novecento in Afghanistan sconvolto dalla guerra civile fino all’invasione degli americani, dopo l’11 novembre del 2001.

La scrittrice si è ispirata a personaggi reali e armonizzando realtà e immaginazione racconta storie verosimili.

Protagonista di tutti i romanzi è Parvana, che in Sotto al burqa ha appena undici.  Seguendo le sue vicissitudini nel Viaggio di Parvana assistiamo alla sua evoluzione, fino a trovarla quindicenne nel terzo romanzo: Il mio nome è Parvana,

Nella narrazione il  richiamo al valore dell’istruzione è costante e la cultura segna il confine tra la barbarie e la civiltà.

Nella famiglia di Parvana, i libri sono considerati più preziosi dell’oro e meritano un posto di riguardo. Nascosti e difesi dalle aggressioni militari dei talebani, la loro perdita è vissuta come una sorta di impoverimento.

I libri racchiudono un universo di sentimenti e di valori.

Alimentano la passione per la libertà e nei momenti di solitudine confortano l’anima sofferente.

Sono un’arma potente per la costruzione di una coscienza civile. Lo attesta la chiusura delle scuole e delle biblioteche. I talebani distruggendo i libri dimostrano di temerli al pari e più delle armi.

Per la famiglia di Parvana, il saper leggere e scrivere si rivela anche una fonte di sopravvivenza in un contesto nel quale prevale l’analfabetismo. Il padre di Parvana, quando non potrà più insegnare per il divieto dei talebani, andrà al mercato e seduto dietro un banchetto si offrirà a tutti come scrivano. E quando sulla base di sospetti infondati sarà fatto prigioniero dai talebani, a prendere il suo posto sarà Parvana, che riuscirà a salvare la famiglia dalla fame e dalla disperazione.

Alle donne è proibito uscire di casa senza essere accompagnate da un uomo. La ragazzina sarà costretta a tagliarsi i capelli, per poter lavorare. Privata della sua identità femminile, finge di essere altro da sé, pur di aiutare la famiglia. A Kabul non è l’unica adolescente che per guadagnare uno spezzone di libertà indossa abiti maschili.

Il regime brutale di Kabul non risparmia nessuno, uomini e donne, vecchi e bambini. Tuttavia nei confronti delle donne mette in atto un accanimento che le isola dalla vita sociale e le imprigiona nell’ambiente domestico alla mercé di figure maschili, non sempre illuminate.

Per i talebani vige la legge della negazione. Divieto di studiare e di lavorare, divieto di uscire, divieto di mostrare il proprio volto in pubblico, divieto di scegliere quando e chi sposare.

Le donne costrette a indossare il burqa fino dalla pubertà sono ridotte a sagome, fantasmi senza volto che camminano per le strade.

Nell’Afghanistan dei talebani, l’infanzia è negata e i bambini apprendono presto la lotta per la sopravvivenza.

Il concetto di giustizia non possiede dimora e la violenza cieca colpisce gli oppositori del regime. Per essere torturati, imprigionati e condannati è sufficiente un indizio che lasci sospettare il dissenso dal potere.

Nella miriade dei personaggi che intervengono nella narrazione si elevano le donne. Diverse per età e temperamento, in comune posseggono il coraggio e l’inclinazione alla ribellione.

La madre di Parvana è una giornalista che per l’impossibilità di esercitare la propria professione e per l’assenza forzata del marito precipita nel buio della depressione. Dall’avvilimento saprà rialzarsi. La fragilità si tradurrà in forza. Con la collaborazione dell’amica Veera creerà una rivista stampata in Pakistan e poi diffusa clandestinamente in Afghanistan.

Nei tre romanzi Sotto il burqa, Il viaggio di Parvana, Il mio nome è Parvana, le donne  si aiutano a vicenda. Agiscono sul versante dell’accoglienza per salvare vite umane e, guardando oltre l’emergenza, si adoperano per istruire ed educare.

Le donne non rinunziano né alla lotta né al sogno.

Una società democratica è un bene irrinunciabile.

All’interno della famiglia, attraverso i piccoli gesti della quotidianità, Parvana sperimenta l’amore e la sofferenza. In conflitto con la sorella maggiore non si sente apprezzata dalla madre, come ritiene di meritare.

L’imperfezione si insinua nei rapporti familiari, li turba, ma non li sconvolge. Un amore sotterraneo e silente li tiene saldamente stretti. Di fronte alle inezie ci si può piccare, mettere broncio, immalinconirsi. Tuttavia ogni separazione generata dagli eventi avversi risulta intollerabile e si è pronti ad affrontare ogni rischio, per ritrovarsi e ricomporre l’unità familiare.

La solidarietà si estende oltre i confini familiari. Un estraneo che per caso entri nella famiglia di Parvana acquista titolo a restarci e a godere degli stessi benefici di chi vi è nato.

Il viaggio di Parvana è il libro più ricco di avventure. Dopo la morte del padre, Parvana continua da sola il viaggio alla ricerca della madre, sperando che   possa trovarsi in un campo di profughi.

Nel descrivere il viaggio di Parvana attraverso il deserto, Deborah Ellis concede uno spazio maggiore all’inverosimile, tuttavia il contesto resta sempre ancorato alla verità della storia.

Se può apparire incredibile che Parvana sfugga alle bombe dal cielo e alle mine di cui il terreno è disseminato, non è una favola che i territori di guerra siano minati e abbiano seminato morti e prodotto ferite insanabili.

Durante il viaggio Parvana non sarà sola, incontrerà dei piccoli amici. Accogliente e protettiva diventerà un punto di riferimento per tutti loro che dalla guerra sono stati privati dei parenti più prossimi.

Chi entra in contatto con Parvana non uscirà più dalla sua vita. L’esempio, che le deriva dai genitori pronti a rischiare pur di proteggere gli indifesi, trova in Parvana l’espressione più alta.

Il valore della solidarietà si offre ai giovani lettori come un esempio da seguire.

Nel terzo romanzo, Il mio nome è Parvana, lo scenario muta. La presenza degli americani ha concesso una pausa nella guerra civile. La normalità è stata parzialmente ripristinata e la pace è provvisoria. Resta irrisolto il conflitto di una popolazione lacerata da un estremismo che continua ad agire in maniera  sotterranea con un duplice effetto: soffocare la libertà della popolazione civile e creare un clima di sospetto.

Parvana non si salva da questa logica. Vittima dei talebani e accusata di terrorismo, sarà imprigionata dagli americani. Ai lunghi interrogatori oppone un silenzio ostinato. A loro non vuole trasmettere nessuna informazione. Poca importa se il silenzio viene interpretato come una affermazione di  colpevolezza.

Durante le lunghe giornate di prigionia, nella sua mente scorrono le immagini di un passato recente: la ricostruzione della scuola voluta dalla madre; le continue minacce dei talebani che fanno di tutto per scoraggiare le bambine dalla frequenza scolastica; la sparizione misteriosa della madre e la sua morte; la distruzione della scuola; il tentativo di fuga verso la salvezza. Alla fine il carcere.

Dalla prigione Parvana sarà liberata grazie all’intervento di Veera.

La tentazione di partire e andare lontano è viva nelle donne, ma sarà presto superata dalla volontà di restare.

L’Afghanistan ha bisogno delle loro lotte per un futuro migliore.

Quel futuro tarda a venire, perché, come è noto, dopo la ritirata degli americani i talebani sono ritornati al potere.

Il fanatismo distruttivo dei talebani ostacola il progresso dell’Afghanistan e prestandosi a un gioco ottuso di generalizzazioni va ad alimentare stereotipi negativi, con la grave conseguenza che l’oppresso non di rado viene assimilato all’oppressore.

Oggi a sfidare un sistema brutale sono soprattutto le donne, che non si rassegnano alla perdita della libertà.

 

 

Perché leggere: Sotto il burqa, Il viaggio di Parvana, Il mio nome è Parvana di Deborah Ellis?

I romanzi favoriscono un primo contatto con la storia dell’Afghanistan e stimolano un lavoro di ricerca più ampio.

Nessun paese è così lontano da noi da legittimare il disinteresse.

Guerre, fanatismi, integralismi, violazioni del diritto internazionale, ovunque siano, ci riguardano, perché generano una regressione inaccettabile della nostra umanità.