Emily in Paris – la fiaba social per cenerentole moderne. Oppure no?

di Antonia Romagnoli

Emily in Paris si può raccontare così: c’era una volta una ragazza americana, bella, in carriera, felicemente fidanzata, felice e determinata. Lavorava nel settore marketing ed era bravissima. Un giorno, la sua azienda ne acquisì un’altra, più piccola e situata nella lontanissima Parigi, e qualcuno dovette partire per fare da tramite fra i due uffici. Ma ahiMè, una gravidanza impedì il trasferimento alla povera signora che doveva andare (e realizzare iol suo sogno di sempre) e condusse la nostra Emily… in Paris.

Senza parlare francese, né una minima base di cultura, né conoscenza di usi e costumi, la poverina conquisterà ogni uomo sul suo cammino, foto dopo foto diventerà influencer, sul lavoro anche gli sbagli si riveleranno successi… vi siete annoiati a leggere questa trama?

Anch’io, puntata dopo puntata, mi sono chiesta che cosa ci fosse di interessante in questa serie, che a quanto pare è fra le più amate del periodo.

Credetemi, io adoro i romanzi rosa, anche quelli scontatissimi, che a pagina tre sai già chi sposa chi. Li leggo, li scrivo, li studio. Ma qui siamo oltre persino all’ovvio, tanto che persino i colpi di scena hanno un sapore di già visto, di ripetitivo, di stantio.

Leggi anche:Ratched. La serie Neflix tra le pagine di Kesey.

Emily in Paris

Lei, lui, l’altra. E che dramma se l’altra è un’amica!

Amo le storie rosa, amo vedere crescere le protagoniste e volare verso l’amore. Ma qui Emily ci viene presentata già con un amore che regge così poco alla trasferta da essere del tutto inverosimile. La nostra subito vola verso altri super fichi, uno migliore dell’altro, nell’attesa, resa meno triste da una serie di piccoli interludi fra Emily e il tipo, che il più fico di tutti si liberi dalla fidanzata.

Ognuno dei suoi ragazzi potrebbe essere un principe azzurro: più di una volta ho sperato che Emily la smettesse di sbattere le ciglia davanti al suo oggetto del desiderio e si fermasse per più di una puntata con un pretendente.

Una storia così tanto patinata da costringermi a riflettere. Una storia così ben costruita, così ben orchestrata da essere fastidiosa. Ma perché?

Emily in Paris

Le cose non vanno bene ma, ehi, ho un look da urlo.

Sì, Emily in Paris mi rende invidiosa, invece che farmi sognare.

Emily non è una cenerentola, non è una ragazza alle prese con problemi normali, mai. Vive sui tacchi senza mai dire “ahi”, per prima cosa. Nemmeno quando si fa sei piani di scale senza ascensore.

Lei ha un panorama mozzafiato, che da solo con due foto la rende popolarissima sui social. Se le facessi io, le foto dal balcone, perderei i due follower che ho, mio marito e mia figlia.

Lei ha un lavoro da sogno. La sua capa è cattiva, acida, la odia, ma poi quando Emily risolve tutto magicamente alza le sopracciglia compiaciuta. Senza mai essere veramente odiosa, tanto da far desiderare una rivalsa da parte della protagonista. Tutto va così bene che potrei dire “non succede, in realtà, niente”.

Un’immagine di Parigi che non ci saremmo mai attesi.

Emily in Paris sembra una cartolina

Parigi è così stereotipata da sembrare una galleria di cartoline più che una città.

Tutto è stereotipo. “Parigi è bellissima”; “adoro Parigi”; “a Parigi c’è una luce unica”.

Abbiamo una sfilza di cene a base di bicchieri di vino, formaggi, piatti speciali. E mica per niente, il fico più di tutti che lavoro fa? Il cuoco, ovviamente. Ma non solo il cuoco: il cuoco migliore di tutti. E cosa sogna? Un suo ristorante.  E lo ottiene?

No, non ve lo dico. Se siete arrivati a leggere fin qui lo indovinate senza sforzo.

Se avete in mente qualche cliché sui francesi, indovinate pure come sono caratterizzati gli altri personaggi. Amore, sesso, joie de vivre… in ufficio mai troppo presto, senso di superiorità verso gli stranieri, specie se non parlano francese. Un mondo di epicurei felici e snob.

Se lo stesso serial fosse ambientato in Italia, un mandolino, una pizza e un gondoliere non ce li levava nessuno.

Emily in Paris

Diventare influencer è facile. Basta un click

Emily in Paris mi fa preoccupare, davvero.

Perché guardare un serial di dieci puntate che fa presupporre un seguito, oltretutto, nel quale non succede nulla?

Cioè, sì, succede. Ma senza entrare nel cuore. Senza emozionare. Senza volerci dire veramente qualcosa. È la mancanza di un messaggio che mi preoccupa. Non ci viene raccontata un’ascesa faticosa, ma una deliziosa passeggiata in collina.

Non c’è vera passione da parte di nessuno dei personaggi, nemmeno nell’amica che lascia la Cina e una vita lussuosissima per fare la tata a Parigi. Vuole fare la cantante, ma voilà se non succede è felice lo stesso perché vive a Parigi.

Emily in Paris è l’apoteosi dell’apparire, senza la preoccupazione di essere. Una laurea in marketing, un bel portamento e un bel visino: è tutto. È fatta.

Emily in Paris e i piedi che puzzano

E per noi comuni mortali, che non viviamo al sesto piano a Parigi, che al piano di sotto invece dello chef gnocco abbiamo le massaie che friggono aglio dalle sei del mattino?

Davvero non c’è posto nell’olimpo della felicità e della realizzazione per i comuni mortali che hanno i piedi che puzzano e fanno male, dopo otto ore in piedi?

No. Non ci sto. Dalle fiabe moderne voglio di più. Voglio sentirmi protagonista anche se ho cinquant’anni e l’alluce valgo, perché è il fuoco che ho dentro che non passa mai di moda. Perché ho passione, ho volontà, ho sogni che diventano realtà se ci credo… se credo nella mia creatività e in me stessa.

Se Emily in Paris vuole raccontare questo, non lo fa come dovrebbe.

https://www.netflix.com/