L’utero è mio e lo gestisco io,

ma le tube e le ovaie no

Voci di bambine cattive senza stereotipi

a cura di Elena Genero Santoro

tube ovaie

 

Mi è capitato di leggere in un gruppo un post di una ragazza, giovane, sì, ma già con tre figli, che durante l’ultimo cesare gemellare, ha chiesto la chiusura delle tube e gliela hanno negata.

Spiegava anche che con la maggior parte degli anticoncezionali aveva dei problemi, ma che non avrebbe mai voluto ricorrere all’aborto.

Seguono una valanga di commenti, giuro non me lo aspettavo, di donne in analoghe condizioni. Donne che non vorrebbero ricorrere all’aborto, molte delle quali già madri, e alcune che sanno di non volerlo diventare, che si sono viste negare, anche in sede di cesareo (quindi a costo zero per la sanità), il taglio delle tube perché immorale. IMMORALE.

Ho un’amica che vorrebbe fare il test genetico per il BRCA1 e il BRCA2.

Nella sua famiglia si sono verificati già due casi di tumore all’ovaio e lei preferirebbe prevenire un destino analogo: è già madre e non intenderebbe diventarlo ancora, ha superato i quarant’anni, quindi per lei i discorsi conservativi in vista di una futura gravidanza non hanno alcun valore.

Se, come teme, fosse portatrice della mutazione, non avrebbe problemi a farsi togliere tutto, a partire dalle ovaie.

Ebbene, le più grandi resistenze le ha trovate da parte della sua ginecologa.

Ci sono dei medici che non supportano questo approccio demolitivo, anzi, scoraggiano le pazienti, tanto c’è la prevenzione, ci sono gli screening periodici. Per poter accedere al test gratuitamente ci sono delle regole, viene prescritto solo quando ci sia una familiarità accertata.

Capisco che in Italia i budget per la sanità siano sempre più risicati, ma potenzialmente qualunque donna potrebbe essere portatrice del gene malato. E solo una volta identificato il gene mutato si inizia a parlare di asportazione degli organi riproduttivi, in questo caso a carico del servizio sanitario nazionale.

Cito il caso di Francesca Del Rosso, giornalista e scrittrice morta nel 2016 a 42 anni a causa di un insidioso tumore al seno che non le ha dato neppure il tempo di ricorrere all’asportazione preventiva. Ebbene, lei era positiva alla mutazione del BRCA, mentre sua madre, che si era pure ammalata di cancro, non lo era. Se si fossero basati solo sul test della madre, avrebbero sottovalutato le condizioni di Francesca.

La mia amica sarebbe disposta anche ad effettuare il test del BRCA privatamente, sborsando una cifra di migliaia di euro. Per sua fortuna se lo può permettere. Perché non vorrebbe incappare nello stesso destino delle sue parenti che lei ha vissuto, come spettatrice, qualche anno fa.

Lungi da me entrare in questioni mediche che non mi competono. Eppure si inizia a parlarne: chi si ritrova con il BRCA1 e il BRCA2 mutati non ha una generica “predisposizione ai tumori”, ma un “altissimo rischio di ammalarsi di tumore”, che è ben diverso.

Il problema non è (solo) medico: è chiaro che ogni caso è specifico e deve essere discusso con l’equipe di professionisti che ne occupa.
https://www.airc.it/cancro/prevenzione-tumore/prevenzione-donna/mastectomia-preventiva
Ma la scelta del percorso terapeutico deve tenere conto anche della volontà della paziente.

Porto la testimonianza di un’altra mia amica, Gianna Raineri, che invece ha già affrontato gli interventi di asportazione preventiva.

Nella sua famiglia i casi di tumore sono stati numerosi, l’iter per l’identificazione della mutazione del BRCA era iniziata con sua madre e proseguita con lei.

Gianna mi conferma di aver concordato con lo IEO, https://www.ieo.it/en/ l’Istituto Europeo di Oncologia, che la segue, il percorso terapeutico e che è stata pienamente supportata nella scelta di asportazione preventiva, perché i controlli ravvicinati a cui la mutazione la costringeva erano diventati troppo pesanti, fonte di continua ansia.

E se poi avessero riscontrato che il tumore si era già innescato? Adesso è molto più serena. Ha vissuto pacificamente la mastectomia, al termine della quale si è trovata con una ricostruzione perfetta e nessun impatto visibile.

Ciò che Gianna riferisce è che, se da una parte gli istituti competenti e specializzati in oncologia propongono l’intervento demolitivo preventivo come una delle normali prassi da valutare per combattere i danni della mutazione, lo stesso approccio non è condiviso dai medici generici che dovrebbero invece indirizzare il paziente nella giusta direzione.

Al contrario certi medici mettono in atto un atteggiamento ostruzionistico che però potrebbe essere nocivo.

Può trattarsi di semplice ignoranza. Mi sorge il dubbio è che nessuno vorrebbe mai esporsi, quando il fine è sterilizzare la donna o impedirle di procreare.

Guai a toccare l’apparato riproduttivo di una donna.
Guai ad asportare due tube per evitare gravidanze indesiderate.
Guai a togliere due ovaie se c’è il gene BRCA mutato.
Guai a toccare un organo sano, seppure non vitale.
Guai a effettuare un aborto terpeutico nel caso in cui una donna sia in pericolo di vita.

Un taboo che non si abbatte. La donna continua a venire dipinta come il tempio della vita, che lei lo voglia o no, e nulla di ciò che la riguarda deve mettere in discussione tale assunto.

Nel giuramento di Ippocrate leggo:

“Giuro di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
Giuro di promuovere l’alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione, nel rispetto e condivisione dei principi a cui si ispira l’arte medica”.

Sottolineo: la tutela della salute fisica, ma anche psichica; l’alleanza terapeutica basata sulla fiducia.

Capisco che sia un terreno insidioso, che dai principi del giuramento ai casi pratici ci sia in mezzo un mondo e che i medici si chiedano in concreto cosa fare per rispettare il giuramento.

Ma a volte mi pare che verso le donne permanga un pregiudizio.
E se ti tolgo le tube e poi vuoi dei figli? E se ti tolgo il seno e poi te ne penti?

Ora.
Che una donna non possa scegliere se e quando avere figli, o se non volerne affatto, è deprimente e umiliante.
Che una donna venga trattata come una persona non in grado di autodeterminarsi (“ma poi cambi idea”…) è avvilente.

E se l’aborto no, perché c’è di mezzo un futuro bambino, che venga negata la sterilizzazione volontaria a chi figli basta o figli no grazie, è assurdo.

Eppure una donna non può avere il controllo di se stessa, che viene riconosciuto ad altri: il medico, lo stato, l’azienda sanitaria.

Non dico che un medico debba assecondare ogni richiesta di una paziente o levarle le tube sull’estro del momento, ma perché la sterilizzazione dovrebbe essere un problema se eseguita al termine di un percorso psicologico serio e strutturato che tenga conto di motivazioni fondate?

Tutti possono avere il controllo del corpo della donna, tranne lei.

Ci sono altri aspetti che mi lasciano perplessa: la medicina, il giuramento di Ippocrate, la deontologia, sono tutti concetti che riempiono la bocca, se non fosse che, come sempre, ci sono due pesi e due o tre misure.

Punto 1: parliamo dell’irreversibilità. Farsi asportare le tube non è più irreversibile che farsi un tatuaggio.

Il laser per la rimozione è un procedimento lungo, doloroso e non sempre efficace.
In giro si vedono tatuaggi meravigliosi, ma anche tatuaggi orrendi, ingombranti, di cui i proprietari si pentono. Eppure nessuno impedisce loro di farseli fare (e non certo da un medico) o cerca di testare preventivamente la loro motivazione tramite un colloquio psicologico.

Punto 2: l’altro assunto secondo il quale i medici non devono asportare apparati femminili è che non si devono demolire organi sani.

Parliamo di Dennis Avner, noto ai più come tigre, o uomo gatto, entrato nel Guinness dei primati per essersi cambiato la fisionomia per somigliare a un felino.

Tatuaggi ovunque, a cominciare dalla faccia, piercing che simulavano baffi e soprattutto denti limati in modo da farli diventare aguzzi. I denti. Elementi importantissimi per la nostra salute. Non è un intervento demolitivo segare 32 denti e renderli più fragili e di certo meno funzionali?

Eppure lo hanno fatto. Non in Italia, ma negli USA, dove c’è più libertà,  basta firmare una liberatoria e fai quello che vuoi.

In USA, cioè nel Paese che ha appena revocato il diritto all’aborto e ogni forma di autorderminazione sul corpo femminile, è possibile richiedere ogni sorta di intervento estetico/demolitivo.

Sul web si trovano fior di articoli che parlando di gente che usa la chirurgia estetica per trasformarsi in altro: il Ken umano, la Barbie umana, ce n’è pure uno che si è fatto tagliare naso e orecchie per assomigliare a un drago.
Qualcuno direbbe che queste persone sono matte. A me viene da pensare che siano irrisolte. Se trasformare il loro corpo le rende felici è loro di aiuto, è giusto che lo facciano. Però Dennis Avner, nel 2012, si è poi suicidato. Aveva 54 anni.

Punto 3: arriviamo al dunque. Alla fine, è solo un discorso di soldi. La deontologia non è per tutti e davanti a un cospicuo assegno, come per magia, a volte si dissolve.

Chi si è trasformato in un uomo-animale o in un manichino di plastica non l’ha fatto grazie al servizio sanitario nazionale, ma privatamente, per mezzo di qualcuno che a fronte di un compenso ha elargito una prestazione.

E allora torniamo in Italia, alla sterilizzazione dopo tre gravidanze. O al test per la mutazione del BRCA che può portare all’asportazione di seno e ovaie.

Come dicevamo, il test per il BRCA si può fare privatamente, sborsando migliaia di euro.

E a ben insistere, anche l’intervento di rimozione delle tube per evitare gravidanze si può fare. 3000 euro, in clinica.

Dagli stessi medici che nel pubblico si rifiutano di intervenire su tube e ovaie sane perché è immorale.
Un po’ come i medici che obiettano negli ospedali ma poi nel loro studio è un’altra faccenda.