La Rabbia di Rosalba Trabalzini
Voce all’uomo
recensione a cura di Pier Bruno Cosso
La rabbia: analisi di cinque casi di violenza, di Rosalba Trabalzini pubblicato dalla Meltemi nel 2022, è un viaggio dentro le fobie della violenza.
Si passa sopra l’inferno camminando a stento su un’asse di equilibrio. Passi incerti, si vedono le fiamme, paura di cadere, a volte paura di guardarsi dentro, nel profondo. Paura di scivolare, tu e i protagonisti. Vai avanti per altre righe e ti ritrovi a implorare: «ti prego, ferma quelle mani… Lascia quel collo… Butta via quel coltello».
M poi succede tutto davanti a te, nonostante te. Incubo, ci sei dentro. Quando lo capisci sai che è già successo, che era diventata cronaca, adesso è solo racconto.
Di cosa tratta La rabbia?
Rosalba Trabalzini, forte della sua grande esperienza in ambito psichiatrico, ci racconta nove storie vere. Nove casi clinici, di femminicidio forse, di sopraffazione certamente, di violenza senza ragione. Che non c’è mai, una ragione.
Tutto scorre, una pagina dietro l’altra ed è di scena La rabbia.
L’autrice riesce a farne dei bei racconti con una grande scrittura. Ne smonta, ne sminuzza i meccanismi, rotella per rotella.
La rabbia è lì davanti, e palpita. Fa spavento, ma Trabalzini ci si avvina col bisturi, la viviseziona cercando il male. Incide la pelle e il male è lì. Un pugno allo stomaco e restiamo attoniti.
Il racconto diluisce le sensazioni più forti immergendole nel brodo nella clinica psichiatrica. Fa luce nelle tenebre dalla rabbia in maniera scientifica, senza far mai calare di tono la narrazione.
Ci prepara all’orribile che incontreremo, gli dà un nome scientifico, così è più facile.
A volte hai il sospetto che diventi troppo facile. Era “solo” un episodio maniaco-qualche cosa o paranoide-qualcosa d’altro. No, così non vale, è guerra, e chiamiamola guerra. Punto.
In questo modo, con grande abilità, il gioco sottile dei capitoli con i nove episodi veri ti schiera davanti a te stesso con la fatale domanda diretta.
No, non ci pensi e vai avanti per altre dieci pagine.
Ma poi i paragrafi segnano una strada che ti porta ancora alla orribile domanda diretta. Ancora racconti, sangue versato e il male scoperto nelle turbe ancestrali del malvagio di turno.
Non puoi più rimandare, il libro te lo dice: la rabbia ha una sua origine, e forse una fine.
Sì, una vecchia fonte sotterranea che la origina, e una fine, forse. Narrativa nel mare in tempesta; può succedere di tutto, e ritorna la domanda finale: ma se il male ha uno specifico nome scientifico, è vero male?
Se chi maltratta, perseguita e uccide lo fa perché un morbo si è impossessato di lui, la colpa quanto pesa?
La rabbia va nel suo racconto, preciso, affilato. E il racconto dell’autrice è racconto, anche un bel racconto, e non cerca né aggravanti né scusanti. Noi, davanti a noi stessi, ci troviamo a cercare di sciogliere un nodo. È solo per un meccanismo deviato se una mano si alza stringendo un coltello? Era un destino assegnato al quale l’assassino non poteva davvero sfuggire?
È dura, ma andiamo avanti nell’indagine clinica. Rosalba Trabalzini ci spiega tutto per bene. Così la rabbia violenta è il re nudo. Lì, senza vestiti né maschere. C’è una spiegazione scientifica che parte da un genitore violento, o che lo abbandonato, o che per indifferenza o troppo amore lo ha stritolato.
Quanto vale tutto questo per un delitto?
L’autrice ci coccola di indagini cliniche, e anche questo è un grande valore del libro.
Ma così non si spiega tutto, perché, ti chiedi: la vita chi l’ha tirata giù? L’assassino o il paranoico? E per quale ragione questi disgraziati hanno spezzato una vita?
La vita di Marisol e Marianna, messa a rischio davanti a un coltello.
La vita di Simona, rimasta invalida per i pugni presi.
La vita di Lucia, persa con diciassette fendenti.
La vita di Antonia, prima aggredita, e un anno dopo strangolata.
La vita di Donatella, che si è finta morta per salvarsi da altre sprangate.
La vita di Rosaria, pestata e affogata nella vasca.
La vita di Maria Carmela e Valentina, uccise da un assassino che un giudice aveva premiato con la semilibertà.
La vita di una Donna (non viene specificato il nome per proteggerla), che ha subito una violenza tale che le ha scatenato attacchi di panico.
La vita di Anna, sfociata nell’incubo di un’ansia invalidante.
La vita di Pamela, maltrattata fino alle crisi di panico.
La vita di Monica, che probabilmente avrebbe subito uno qualunque di questi destini, ma che forse sono riusciti a fermare di lui.
E giriamo ancora pagina, ma prima fermiamoci un attimo a prender fiato e riflettere. Sono storie vere. per Dio!
Sono tutte donne vere, con la vita che pulsava, con la voglia di amare, piangere o gioire. Col desiderio di vivere un giorno bellissimo, o di tradire, se le andava. Tutto buttato via, perso per sempre, come una catenina d’oro caduta in mare.
La vedi sprofondare, e te ne rendi conto quanto l’hai già persa.
Perché leggere La Rabbia?
Per entrare dentro un libro che ti prende.
Per girare quell’ultima pagina che ci porta dentro l’ultimo capitolo che accende l’ultima speranza: perché alla fine si parla di prevenzione della violenza.
E siccome l’autrice è quanto mai autorevole, ci piace entrare nelle tenebre del male con un piccolo fascio di luce acceso.
Quel fascio di luce si chiama prevenzione, appunto, che deve partire prima dell’età adolescenziale. Che deve partire dalle scuole, come e più dell’educazione civica e della matematica. Con specialisti che incontrino a tappeto i ragazzi per intervenire quando è ancora possibile intervenire.
Fare qualcosa di davvero rivoluzionario, ma ormai irrimandabile, perché Marisol, Marianna, Simona, Lucia, Antonia, Rosaria, Donatella, Maria Carmela, Valentina, una Donna, Pamela, Monica, e tante altre, finalmente la vincano questa maledetta guerra.
Link d’acquisto:
Sinossi
La popolazione di un istituto penitenziario è spesso variegata, in tutte le classificazioni accessibili: età, estrazione sociale, nazionalità, credo religioso.
Ogni giorno si possono aprire scenari diversi da affrontare e gestire, senza che nulla venga mai lasciato al caso.
È per questo che, nella sua lunga carriera in ambito psichiatrico, di ogni singola persona con la quale è entrata in contatto, Rosalba Trabalzini ha sempre cercato di capire non tanto le ragioni addotte per giustificare crimini e reati – ognuno ha una sua scusante per placare i propri sensi di colpa –, ma piuttosto come sia stato possibile che individui come Angelo Izzo e Aureliano Romano siano arrivati a mettere in atto comportamenti di violenza efferata.
Andando oltre la reale patologia psichiatrica – popolata di percezioni sensoriali alterate, visive e uditive o infarcita di pensieri deliranti –, l’autrice indaga soprattutto le reazioni abnormi messe in atto in cinque casi di violenza sulle donne, tre dei quali sfociati in omicidio, per cercare di capire e spiegare come e quando Abele si tramuta in Caino.
Prefazione di Alessandra Dino.