Il malinteso della bellezza di Sara Patrone
Voce alle Donne
recensione di Emma Fenu
Il malinteso della bellezza è un saggio di Sara Patrone edito da Meltemi nel 2023.
Di cosa tratta Il malinteso della bellezza?
Il malinteso della bellezza è un’accurata indagine antropologica e sociologica sul concetto di bellezza che, in un viaggio che parte dal passato, ci conduce a riflettere sul presente, in particolare sul mondo del Beauty, ossia sui trattatamenti estetici o interventi chirurgici poco invasivi che riguardano in particolare il mondo femminile.
Atrraverso una ricerca sul campo, mettendo insieme riflessioni, confidenze e convinzioni di professionisti del settore e di clienti, dalle pressioni dei media e dei social, all’indrustria del bello canonico, fino ad estremismi e alla cura del corpo e del volto dei trapassati, il saggio risulta completo, fruibile, e scardina stereotipi.
Non vi propongo una sintesi di esso; quanto scrittto finora basta ad accenderre la curiosità per approfondire e valutare un eventuale acquisto del libro, ma mi soffermerò su alcuni aspetti che sono più vicini alla mia espereienza personale e professionale in merito al mio corpo e al corpo delle donne in generale.
Dall’estetista, anche nei trattamenti olistici, si va per un motivo specifico: istintivamente dividiamo il nostro corpo in settori e stabiliamo priorità: come e da dove iniziare un trattamento che riteniamo necessario o rigenerante.
Partiamo dal termine necessario. Non esiste nessun intervento sul corpo che in tutti i luoghi e in tutti contesti storici e sociali sia ritenuto necessario: il bello è un’espressione culturale legata a molti fattori, non solo il bussiness, ma proprio a una serie di criteri che si sviluppano anche in seno a concetti più estesi come l’igiene personale e il rispetto verso l’altro.
E le parole tradiscono il movente dell’agire: i peli sono definiti “disgustosi” perchè, soprattutto se nella zona dell’inguine, sono associati alla scarsa cura e pulizia, soprattutto se mostrati in ambienti pubblici come piscine e spiagge. In realtà si può essere lindi e pelosi ma, senza depilazione o trattamenti vari per eliminare i peli, detti surperflui, non a caso, non ci sentiamo a nostro agio, non ci sentiamo bene con noi stesse.
Su queste ultime due frasi torneremo spesso.
E, se ci sono peli da togliere, ce ne sono da mettere, in caso di malattie, come l’alopecia, o per definire sopracciglia simulando, con una sorta di tatuagio semipermanente, peli nell’arcata sopra l’occhio. Userò termini poco specifici proprio per coinvolgere coloro che non sono appassionati.
Anche l’infoltimento delle sopracciglia va a sovrapporsi, talvolta, la malattia: con la chemioterapia, infatti, i peli tendono a cadere. Ed allora ci si potrebbe chiedere se, in un momento così critico, non sia più sensato dedicarsi a guarire.
In realtà chi reagisce sta mettendo in atto strategie di guarigione perché la motivazione interiore a combattere aumenta staticamente il successo delle cure. Non sono le sopracciglia a guarire un tumore, ma l’atteggiamento psicologico è una componente importante nella cura complessiva del paziente.
Allora, forse, questi peli non sono più superflui.
Altri trattamenti riguardano il rimpolpamento temporaneo della mucosa labiale, piccole iniezioni di botulino, riassorbito nei mesi, al fine di minimizzare le rughe, sbiancamento di macchie dovute al sole o all’età, massaggi e azione di macchinari contro la cellulite o per tonificare e idratare la pelle.
Perché lo fai?
Per me stessa, non per piacere agli altri.
In realtà, ciascuna donna che viva una relazione non tossica si reca dall’estetista non sotto la pressione di un’altra persona insoddisfatta, ma il nostro rapporto con lo specchio è condizionato da come ci vediamo e da come crediamo ci vedano gli altri.
O non si spiegherebbero gli eccessi della chirurgia estetica che sfociano in “maschere”.
Perché leggere Il malinteso della bellezza?
Il malinteso della bellezza è un saggio estremamente critico, nell’eleganza di non essere giudicante ma rilevante di una realtà, e riguarda tutte e tutti, non solo le 70enni con la bocca a papera.
Perchè non occorre lavorare a Hollywood o avere la fobia di invecchiare per prenotare una ceretta e non c’è da farne una dramma.
C’è solo da essere consapevoli che quella che sinceramente avvertiamo come un’esigenza personale, svincolata dal giudizio altrui ma finalizzata al nostro benessere non è frutto del nostro personale gusto, ma di un criterio estetico appreso.
Un esempio personale: nel 2000 pinzavo moltissimo le sopracciglia; dal 2015 non lo faccio più, anzi, intervengo con una matita da trucco su una per renderla più simmetrica e vorrei fare un trattamento di laminazione semipermanente.
Sono cambiata io? No, è cambiata la moda e la faccia delle modelle. E con esse la mia percezione di me stessa come bella/ brutta.
Certo i media e i social non sono gli unici fattori che influenzano le nostre scelte, hanno ruolo dominante l’autostima e il rapporto con il corpo che cambia e si evolve con noi e vogliamo ci rispecchi o rispecchi l’idea che vogliamo dare.
Tirando le somme, finché non si arriva all’effetto “mostro” in donne di solito belle, prima, che finiscono, anche giovani, sotto le mani di medici senza scrupoli, possiamo non preoccuparci e astenerci dal demonizzare pratiche che possono essere piacevoli, rilassanti e non necessarie, ma espressione della libertà personale.
Non dimentichiamoci, infine, che anche la scelta di alcune vip o influencer di mostrare smagliature, imperfezioni, rughe e peli non è casuale, ma è anch’essa marketing e la credibilità di un essere umano non passa per l’assenza o presenza di un’ombra di baffetti sotto il naso.
Link d’acquisto
https://www.ibs.it/malinteso-della-bellezza-libro-sara-patrone/e/9788855197816
Sinossi
Epilazioni laser, trattamenti antiage, ambiziose nail art sono una piccola parte delle tecniche del corpo che le estetiste erogano ogni giorno alla tribù del salone di bellezza.
Fra sieri e lozioni, quello che si erge è un quartier generale di amplificazione della coerenza in cui mettere le mani addosso al corpo – pensato in pezzi illimitatamente trasformabili – significa impegnarsi a farlo corrispondere all’identità di chi lo abita, ricondurne le fattezze a ciò che sarà chiamato a significare per gli altri e fabbricarne immaginari in cui il miglioramento non solo è senza fine, ma è una crociata contro la finitudine umana.
Le habitué del beauty center si concepiscono come biografie prigioniere di corpi-Tupperware, come sé i cui limiti sono mancanze imputabili a quel “fratello siamese, né me né separabile da me”. Così, indissolubilmente legate alla pelle di cui sono fatte, professano la religione del “sentirsi bene con sé stesse”, in tutta la complessa ambiguità che questo significa.
Un volume che inaugura un nuovo stile, quello della “Working-Class Anthropology”.