Il canto dell’essere e dell’apparire di Cees Nooteboom

Voce all’Altrove

recensione di Cynthia Collu

il canto essere
Il canto dell’essere e dell’apparire è un romanzo di Cees Nooteboom edito da Iperborea nel 1991.

 

Quando il Nobel viene aggiudicato a uno scrittore sconosciuto ai più, spesso ci si chiede: Ma chi è costui? e subito c’è la rincorsa per scoprire chi sia il nuovo autore più meritevole dell’anno.

Nooteboom è uno scrittore che amo molto, e che consiglierei vivamente di leggere, prima che in futuro il Nobel lo vinca lui. Si sa mai.

Cees Nooteboom è stato più volte candidato al Nobel, battuto da Ishiguro Kazuo, anche lui non propriamente famosissimo. Nato all’Aja nel 1933, Cees rimane orfano di padre in seguito a un bombardamento sulla città. Presto inizierà a viaggiare per tutta l’Europa, imbarcandosi infine come marinaio su una nave diretta a Suriname, nel Sud America.

Il viaggio diventa subito una componente essenziale e della sua vita e della sua opera; viaggio inteso sia come mero spostamento fisico sia come cammino interiore.

 

Narratore di viaggi in senso fisico e metaforico, quindi, il nostro Cees, tant’è che il suo romanzo Philip e gli altri, dove il protagonista viaggia per l’Europa in autostop cercando una misteriosa fanciulla, viene pubblicato nel 1955, due anni prima di On the Road di Kerouak facendogli vincere il premio letterario “Anne Frank” a soli ventidue anni.

Ho scoperto questo autore con i racconti Le volpi vengono di notte, talmente belli che mi hanno lasciata stordita e innamorata persa di lui.

Di cosa tratta Il canto dell’essere e dell’apparire?

Il canto dell’essere e dell’apparireè un breve e straordinario romanzo.

Mi piace Nooteboom.

Mi piacciono gli scrittori che si danno tempo, tutto il tempo possibile per raccontare storie che per loro abbiano un significato, un senso; o meglio, per dare un senso al loro scrivere, alla loro scrittura, perché troppo la rispettano.

Che, in altre parole, non si prostituiscono vomitando un romanzo dietro l’altro pur non avendo niente da dire.

Parola forte, prostituirsi?

Forse, ma ingannare il lettore (e se stessi, se un po’ d’onestà verso il mestiere ce l’hanno ancora) allo scopo di far soldi, come si può definire altrimenti?

Vent’anni trascorreranno tra il primo romanzo di Nooteboom, Il cavaliere è morto, e il presente, Il canto dell’essere e dell’apparire; e Nooteboom scriverà un gioiello.

Gioiello per chi ama leggere, ma soprattutto scrivere.

In questo breve romanzo uno scrittore, decidendosi dopo anni d’inattività a scrivere un romanzo, s’interroga sul senso dello scrivere.

Si chiede, per esempio, che senso abbia aggiungere un’esistenza fittizia a quella concreta del mondo esteriore.

Bellissimo ed esemplificativo il brano seguente:

“C’è qualcosa indescrivibilmente triste negli scrittori soli nel loro studio.

Presto o tardi viene un momento nella loro vita in cui cominciano a dubitare di quel che fanno. Sarebbe forse strano, del resto, se non fosse così. Quanto più a lungo si vive, tanto più la realtà si fa incalzante, e al tempo stesso meno interessante, perché ce n’è già troppa.

Davvero c’è bisogno di aggiungervi ancora qualcosa? Al di sopra dell’esistente bisogna accatastare l’immaginario, solo perché qualcuno, quand’era giovane e aveva ancora poca esperienza di quel che chiamiamo realtà, s’è messo a fantasticare per conto proprio di pseudorealtà e, di conseguenza, è stato chiamato da tutti uno scrittore?”

 

e ancora:

“Gli scrittori, pensò lo scrittore, immaginano una realtà in cui non hanno bisogno di vivere, ma su cui hanno potere. Scostò il foglio che gli stava ancora così bianco davanti. Era poi vero, in quel caso? Aveva potere su quei due volti che con tanta lentezza vedeva delinearsi? O non erano loro ad aver potere su di lui?”

Il suo interlocutore è un altro scrittore, che invece è su posizioni opposte.

Sempre sicuro di quello che fa non si pone domande, sforna un romanzo ogni due anni e, cosa che incuriosisce e un po’ ingelosisce il nostro scrittore, sembra trovare lo scrivere davvero divertente. Durante una delle tante discussioni, ecco che cosa dice:

“Che lo scrivere sia la metafora semplice o inversa della realtà, o che debba esserlo, al tuo lettore non gliene viene in tasca niente. l’unica cosa che gli interessa è se quello che legge diventa per lui, in quel momento, realtà.

Se non è così butta via il libro, sempre che non l’abbia già fatto il critico per lui. Bisogna raccontare una storia, nient’altro, e se un’altra motivazione esiste, lasciala cercare agli studenti di letteratura.”

e ancora:

“Al tuo lettore interessa soltanto sapere cosa succederà alla fine al tuo colonnello e, per parte sua, del tuo prezioso mondo interiore se ne frega totalmente.”

Su questi due personaggi, o meglio su questo racconto, si fonde l’altro romanzo, quello che lo scrittore sta scrivendo: nascono il colonnello bulgaro e il dottore, nasce l’evanescente Laura, nasce la Bulgaria con le sue guerre e l’odore acre del sangue; e i personaggi, con le loro psicologie reali, saranno più “veri” degli scrittori che ne parlano, perché mentre di loro si viene a sapere quasi o tutto, nulla o quasi si sa dei due scrittori.

Romanzo nel romanzo, quindi, tanto che a un certo punto, i personaggi vedranno lo scrittore (vestito in modo singolare, perché loro vivono nell’ottocento e lo scrittore è del novecento) seguirli con un’altra carrozza, scrittore che fa la sua fugace apparizione cameo nella storia come Hitchcock nei suoi film.

Ma c’è anche altro in questo romanzo.

Per me, c’è soprattutto il finale.

L’ho amato tantissimo.

Il romanzo compiuto finisce su un romanzo incompiuto.

ATTENZIONE SPOILER de Il canto dell’essere e dell’apparire

Lo scrittore di fronte a una scelta di “prostituzione” dice all’altro scrittore che non è vero niente, lui non stava scrivendo nessun racconto.

Poi, distrugge la sua opera e la brucia.

Questa affermazione di diritto sulla propria opera mi ha commossa.

Ho pensato a Picasso, che spesso creava e poi distruggeva, come solo i grandi osano fare. Ho pensato a una frase (forse di Proust)

“Muoiono gli scrittori. perché non i loro libri?”.

Ho pensato che sì, l’opera ti osserva e ti giudica, e tu devi sempre essere sincero con lei. Non mentirle, non mentirti mai. Lei non lo sopporterebbe.
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Sinossi

Che senso ha scrivere, sovrapporre una realtà immaginata a quella esistente, voler aggiungere una storia alle infinite che la vita non fa che raccontare?

È questo l’assillante interrogativo che tormenta «lo scrittore», protagonista del Canto dell’essere e dell’apparire.

Ma che cos’è poi lo scrivere?

Quel necessario «simulare la verità per evitare di essere nulla», come dice il suo Pessoa, o la semplice attività artigianale di raccontare una storia con un inizio e una fine, come non fa che ripetergli l’amico, romanziere di successo?

Ma chi si affida alla scrittura mette in moto forze che non può dominare, credendosi padrone di un mondo fittizio, ne diventa ben presto preda.

Così il romanzo che «lo scrittore» costruisce sotto i nostri occhi, la storia di una passione dal sapore vagamente decadente nella Bulgaria del secolo scorso, viene man mano a sostituirsi alla sua concreta esperienza quotidiana.

I suoi personaggi, il colonnello Ljuben Georgiev, eroe della guerra contro i Turchi, un medico e la sua bella moglie, l’enigmatica ed evanescente Laura Fičev, lo costringono a condividere le loro attrazioni, a sognare i loro incubi, a provare i loro turbamenti e le loro nostalgie, nutrendosi della sua vita per acquistare verità.

Fino a quando «lo scrittore», arrivando a intravederli in una strada di Roma, sentirà di essere lui stesso diventato l’irreale personaggio di un racconto.

 

Titolo: Il canto dell’essere e dell’apparire
Autore: Cees Nooteboom
Edizione: ristampa Iperborea, 2009