“Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg
recensione di Emma Fenu
Ci sono parole, epiteti, frasi che ci appartengono e ci scorrono nel sangue.
Dna della memoria, cromosomi di una storia che è nostra eredità prima ancora che fossimo concepiti.
C’è un lessico che si reitera nel tempo e nello spazio, ritornello della canzone che fa da sottofondo alla danza della vita e che, in una grotta al buio, ci permette di riconoscerci fra noi.
E di riconoscere che esiste un Noi e che siamo tassello di un mosaico, parte preziosa di un tutto, sineddoche di un poema epico.
Lessico famigliare è il libro più noto della grande Natalia Ginziburg, edito per la prima volta da Einaudi nel 1963.
Grazie all’uso dell’imperfetto, il tempo dell’azione ripetuta e della favola, ossia di quanto appartiene all’eterno passato mai destinato a compiersi nella finitudine del remoto, veniamo proiettati in una saga familiare meravigliosa.
La voce narrante è quella della scrittrice che, fin dal prologo, esplicita il proprio intento di scrivere una storia di cui non è la sola protagonista, rispettando nomi reali e assecondando il moto oscillatorio della barca del ricordo.
Eppure, essendo la memoria imperfetta (nella duplice accezione di labile e di appartenente al contesto mitico introdotto dal “C’era una volta”), quella proposta non è una testimonianza documentaria, ma l’immagine riflessa e deformata.
Ipotassi, discorsi diretti in sequenza, catene di punti e virgola, ripetizioni e uso di colloquialismi rendono lo stile unico, immediatamente identificabile e sicuramente coinvolgente per il lettore.
Quest’ultimo, infatti, ingerito il biscotto di Alice, cade nel pozzo del racconto assumendo le medesime dimensioni della Ginzburg, prima bambina poi donna.
A reggere il filo della narrazione e a riannodarlo in un cerchio, nell’epilogo, sono i genitori, Giuseppe e Lidia, entrambi antifascisti, ma con differenze che li definiscono:
il primo è ebreo mentre la seconda è cattolica; il primo è burbero e diffidente mentre la seconda è gioiosa e curiosa; il primo sembra comandare mentre la seconda di fatto lo fa; il primo ama la montagna mentre la seconda ama la musica.
In questa altalena di confronti, battibecchi e riconciliazioni, Natalia cresce e attraversa l’intensa parabola storica del Novecento, secolo di guerre, di lotte, di grandi pensatori e artisti, di progresso e involuzione.
Ad essere corda nel mare in tempesta e cordone ombelicale in un liquido amniotico sempre calmo è la Parola, dea madre capace di creare cose e farsi racconto.
Al termine del romanzo, ciascun lettore avrà appreso i modi di dire e le espressioni della famiglia Levi e, in conseguenza di ciò, se ne sentirà anch’esso parte, ma non solo.
Ciascun lettore avrà potuto riflettere e ricordare, giungendo alla consapevolezza che siamo tutti figli di un lessico che ci identifica e che fa luce nell’oscurità dell’oblio, rendoci sorelle e fratelli.
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Sinossi
Lessico famigliare è il libro di Natalia Ginzburg che ha avuto maggiori e più duraturi riflessi nella critica e nei lettori.
La chiave di questo romanzo è delineata già nel titolo.
Famigliare, perché racconta la storia di una famiglia ebraica e antifascista, i Levi, a Torino tra gli anni Trenta e i Cinquanta del Novecento.
E Lessico perché le strade della memoria passano attraverso il ricordo di frasi, modi di dire, espressioni gergali.
Scrive la Ginzburg:
“Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso.
Quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti, o distratti.
Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase, una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia.
Ci basta dire ‘Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna’ o ‘De cosa spussa l’acido cloridrico’, per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole”.
Titolo: Lessico familiare
Autore: Natalia Ginzburg
Edizione: Einaudi, 1963
Emma Fenu ha la capacità di “entrare” nelle parole,di respirarne il profumo e di farcelo sentire!
Dalla sua recensione scaturisce il mio interesse a voler leggere assolutamente il testo proposto ed indagare,come lei ha fatto,i misteri e la vita sottesa ,come un sottile filo di seta,alle parole.In alcuni silenzi esistenziali,di apparente incomunicabilità o “svogliatezza” nel voler narrare di sé, dell’oggi,basta la parola magica ,le parole”consumate”insieme di un passato comune,a ridestare relazioni e tenerezze antiche.
Sperimentato.Vissuto.Provato.
E alla recensionista eccellente chiedo,umilmente,di poter “rubare” la sua frase”Ad essere corda nel mare in tempesta e cordone ombelicale in un liquido amniotico sempre calmo è la Parola,dea madre capace di creare cose e farsi racconto”.
Poesia nel racconto.Lirismo evocativo di suggestive immagini di vita velate da poetiche metafore e trasposizioni di significato per incoronare lei, la PAROLA,protagonista vera,principale,della nostra vita e “mezzo di trasporto” sonoro ,via,trampolino di lancio dei nostri affetti e delle nostre relazioni.
E perché no anche di cose più materiali e tangibili.
Convinta assertrice Emma Fenu del valore e del potere della Parola,lo testimonia ogni giorno con i suoi scritti e la sua vita,con l’intensità con cui tesse relazioni umane…”a distanza”…cucendole con un filo invisibile ad occhi distratti.
Marilena Viola