«Papà, hai perduto una foglia!» disse Piccolo Acero, allarmato, rivolto all’albero alto che lo affiancava. Papà Acero, in risposta, abbassò un austero sguardo legnoso verso il figlio. La corteccia del suo spesso tronco si increspò come fosse pelle umana solcata da rughe.

«Siamo in autunno, figliolo. È normale che le nostre foglie inizino a cadere» rispose. A quel punto, l’altro acero che abbelliva la verde rotonda situata fra le grigie strade di un quartiere di Roma, annuì: si trattava di Mamma Acero. A causa di quel gesto, una seconda foglia color ocra si staccò da un suo ramo e svolazzò in aria come una farfalla stanca, per poi posarsi sull’erba della rotonda.

«Vedi figliolo, anch’io ho iniziato a perdere le mie foglie. Succederà anche a te, non devi preoccuparti» disse lei, paziente.

«Non voglio! Le foglie mi permettono di respirare e sono coloratissime, tutti gli umani si voltano per ammirarle!» protestò Piccolo Acero.

«Figliolo, è vero ma… l’inverno sta per arrivare e noi non possiamo contrastarlo» riprese Papà Acero, mentre una nuova foglia rosso porpora si staccava da un suo ramo e andava a posarsi sull’erba. Ora, un’auto bianca come la neve attraversò la strada, seguita da uno scooter rumoroso, quindi da un alito di vento fresco che, levatosi improvvisamente, strappò altre foglie dai rami degli aceri grandi. Piccolo Acero fece un respiro profondo e cercò di trattenere le sue foglie con tutte le forze, riuscendo nell’intento.

Mano a mano che i giorni passavano e si facevano sempre più freddi, un tappeto rosso-dorato andava formandosi sul pavimento erboso della rotonda, vestendola di sfumature. Piccolo Acero resisteva imperterrito e concentrato, le sue foglie sembravano gioielli opachi, aggrappati ai rami sottili come indomiti guerrieri. Papà Acero divenne finalmente nudo ed esalò l’ultimo respiro il primo giorno di dicembre, poi si addormentò.

«Papà… sei morto? Rispondimi papà…» urlò Piccolo Acero, disperato.

«Tranquillo, figliolo, tuo padre è solo andato in letargo, io lo seguirò a breve» rispose Mamma Acero, fiera.

«E io? Come farò senza di voi? Mi sentirò solo…» si lamentò Piccolo Acero, piangendo linfa.

«Ti addormenterai anche tu e non soffrirai per niente. È il ciclo naturale delle cose» cercò di tranquillizzarlo lei, prima di addormentarsi.

«Mamma… mamma!» chiamò invano Piccolo Acero, ottenendo silenzio come risposta. Adesso era solo, le sue foglie crepitavano come carta straccia, svogliate, ormai scevre dei bellissimi colori autunnali.

La prima foglia di Piccolo Acero si staccò il nove dicembre, volò un poco nell’aria fredda e umida, quindi si posò lentamente a terra. Il giorno dopo, un fastidioso vento di tramontana inviò gelide mani invisibili sulla città e per le foglie del piccolo alberello non ci fu scampo: se ne andarono tutte assieme, apparendo agli automobilisti che si fossero fermati a guardarlo, come il lancio di coriandoli di un allegro gigante. Piccolo Acero non se ne lagnò più di tanto, essendo nato da poco non aveva esperienza e doveva fidarsi di mamma e papà. Finalmente, nudo e indifeso, infreddolito ed esausto, si addormentò. L’inverno arrivò con gelo, brinate mattutine e qualche spruzzo di neve. I tre aceri dormirono per tutto il tempo. Il traffico rumoreggiò d’intorno, incurante.

Quando Lei arrivò con i primi tepori di aprile, i tre aceri si svegliarono ingioiellati di mille gemme smeraldo.
«Si muore per rinascere» decretò Piccolo Acero, che aveva imparato la lezione.

 

 

 

 

 

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