“Il marinaio” di Fernando Pessoa

Recensione di Viola Carrara

“Il marinaio” di Fernando Pessoa

Unica opera teatrale del famoso poeta portoghese, “Il marinaio” è, come egli stesso lo definisce, un dramma statico in un quadro: tre fanciulle che dialogano fra loro in una stanza rotonda sulla cima di una torre al centro della quale si trova una quarta fanciulla stesa all’interno di una bara. I loro discorsi stentano a cominciare, a prendere una direzione. Nessuna vuole parlare, eppure tutte si ritrovano a farlo.

Una fanciulla vorrebbe raccontare il suo passato, se mai è esistito, e subito capiamo di trovarci in una dimensione ambigua. Nessuna sa se abbia oppure no avuto un passato e nemmeno se abbia senso raccontarlo, ma soprattutto nessuna è davvero convinta di voler riempire il vuoto del silenzio con la conversazione.

Qualcuna ha paura che parlando si finisca per raccontare solo la finzione, perchè parlare è dire qualcosa che è già stato, e forse già smarrito, oppure nemmeno mai esistito data la scarsa memoria delle narratrici.

Si trova del disagio a cercare di dare un filo logico al dramma, proprio come le tre fanciulle trovano del disagio nell’approdare su un argomento di conversazione, o quantomeno su un dato di realtà. Niente, proseguendo nella lettura, sembra poter essere preso come tassello di un puzzle da cui cominciare per dare forma all’intreccio.

Qualcuna ha paura che restando però in silenzio si possa scomparire nel vuoto e nell’assenza di senso che lo caratterizza.

Si giunge così a una conclusione condivisa (forse più che altro dal lettore, stufo ormai di dover combattere contro qualcosa di onnipotente: lo smarrimento), e cioè che niente vale la pena. Se, come dice il famoso terapeuta Paolo Quattrini, la libertà di una persona è quella di fare qualcosa di valore di ciò che le capita per destino, siamo qui nella più totale prigionia dell’animo umano, disarmato, inerme, completamente impotente di fronte a ogni possibilità di iniziativa.

Il sogno del marinaio

Solo allora, quando ormai ognuna si è privata della responsabilità di dare significato alle cose, una fanciulla comincia il racconto del marinaio, un sogno di un uomo che, naufragato su un isola deserta si inventa un mondo immaginario per sfuggire al dolore provocato dal ricordo della sua patria ormai perduta. Ma ancora una volta la narrazione viene interrotta, perchè l’incedere delle parole e dei loro significati crea scompiglio nel cuore delle vegliatrici, così abituate ad essere tutto e niente, così abituate all’assenza di realtà che, quando la storia comincia a farsi sostanza, le assale il panico.

Si apre qui un enigma, questa volta ben delineato: la fanciulla non sa dire il finale. Potrebbe essere stato tutto solo un sogno del marinaio, al caldo sotto le coperte nella sua terra natia. La terza possibilità, inquietante e mostruosa, è che la narratrice e le sue compagne che la stanno ad ascoltare nella torre del castello siano esse stesse le creature di un sogno, dei fantasmi.

L’inquietudine

Una tale inquietudine, resa così bene ne “Il marinaio”, di sentirsi un fantasma, può esser stata congetturata solo da un anima che la sentiva al suo interno: quella dell’autore. Creatore di diverse correnti, da egli stesso superate, creatore di autori fantasmi cui faceva scrivere le sue opere ( i cosiddetti eteronimi ), impiegato di giorno e poeta rivoluzionario di notte, Pessoa doveva sentire fortemente l’inquietudine di non sapere chi egli fosse. Uno stacco che non gli permettesse di sentire la sua essenza, o che glielo permise solo tramite questi sdoppiamenti di persona e quell’enorme castello di finzioni a cui riusciva a dare vita, sfogando così tutta la moltitudine di esseri da cui si sentiva abitato.

Sembra essere uno sfogo il dramma de “Il marinaio”, composto tutto d’un fiato in una notte, uno sfogo delle sue incertezze più assillanti, gelidamente rintanate nei meandri della sua mente, che non risparmiano niente, dato che tutto è messo in dubbio: la corporeità, la realtà, il tempo.

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Nome libro: Il marinaio
Autore: Fernando Pessoa
Genere: teatro
Editore: Einaudi
Data edizione: 2012
Pagine: 62