Godless – il western al femminile di Netflix
di Romina Angelici
Mai titolo fu più azzeccato per una serie.
Da piccola guardavo film western con mio padre.
Da grande ho visto questa serie western con mio marito.
I sentimenti di orrore sono gli stessi che mi comprimevano lo stomaco ora come allora. Almeno prima c’erano le musiche di Ennio Morricone a ingentilire il tutto. Ma queste non sono da meno, devo ammettere, composte da Carlos Rafael Rivera.
Oggi fatico a trovare un tocco di poesia in una serie come Godless dove i bisogni primari come sopravvivere e trovare compagnia sembrano guidare l’istinto primordiale degli uomini, molto vicini al mondo delle bestie.
Stento a riconoscere l’attrice di Downton Abbey, Michelle Dockery, che ha scelto questo ruolo spinta da un copione irresistibile e la notevole partecipazione femminile che prevedeva, così insolita per l’idea -o il preconcetto- di western tradizionale che abbiamo. Michelle smette subito gli abiti di paillettes di Lady Mary e ora gestisce un piccolo ranch, dopo essere rimasta vedova, insieme alla suocera indiana e al figlioletto.
Come lei a La Belle -cittadina realmente esistita anche se per le riprese è stata usata Santa Fe-, nel New Mexico, ci sono altre 83 vedove, divenute tali per colpa della miniera che ha inghiottito in un colpo solo tutti i loro mariti.
Lo sceriffo non dimostra una particolare coraggiosa durezza ma sarà risolutivo in diverse circostanze.
Godless – la trama
La trama è piuttosto elementare anche se poi si snodano delle storie secondarie al suo interno:
Nel 1884, Frank Griffin è un fuorilegge che va alla ricerca del suo ex amico e figlio adottivo, Roy Goode, che lo ha tradito. Tutto diventa complicato per Frank Griffin quando scopre che Roy si nasconde in una città chiamata La Belle, dove le donne regnano. Loro faranno di tutto per proteggere la loro città dalla vendetta di Griffin, il quale aveva giurato di uccidere chiunque avesse aiutato Goode.
Trattandosi di una miniserie in 7 puntate distribuita da Netflix non sento la necessità di un seguito.
In quanto ambientata nel vecchio West trovo superfluo dire che le immagini sono crudi e violente, e che non si può consigliare la visione di questa serie per puro intrattenimento.
Ma ho deciso di non volermi soffermare solo su quelli che io considero aspetti negativi.
Innanzitutto, la nota curiosa, che mi sembra importante segnalare, e che ha poi condotto alla presente scelta, è che ideatore, regista e sceneggiatore è Frank Scott, classe 1960, che ha poi ricoperto gli stessi ruoli per La regina degli scacchi, con risultati molto più apprezzabili, secondo me. Il sodalizio con il premio Oscar Steven Soderbergh non poteva che portare buoni frutti.
Inoltre, c’è una certa atipicità in questo western che notoriamente è affidato e incentrato su un cast tutto al maschile mentre in questo caso le signore di La Belle reclamano a gran voce la loro parte, dolorosa o forte che sia, e conferiscono una nota di grazia femminile di cui si sente tanto bisogno o almeno forniscono un intermezzo -o sarebbe meglio dire un diversivo- alla catena di uccisioni e sparatorie altrimenti interminabile. Come è.
Oltre alla scenografia molto curata e all’ambientazione ricreata in ogni dettaglio estremamente curato, alla tipologia classica di personaggi western del bandito, del ricercato, dello sceriffo, si cerca di aggiungere un approfondimento psicologico delle rispettive personalità in gioco per rispondere sicuramente a una più esigente sensibilità moderna (che non si accontenterebbe più forse de Il buono, il brutto e il cattivo).
L’epilogo finale dunque culminerà in un regolamento dei conti tra lo spietato e psicopatico Frank Griffin interpretato da Jeff Daniel -quello di The Walking Dead per gli appassionati ma che per questa serie ha vinto l’Emmy Award 2018 come attore non protagonista- e il figlioccio adottivo che lo ha tradito, Roy Goode, che coinvolgerà l’intera La Belle con esiti sorprendenti.
Non voglio rovinarvi il finale ma ricordatevi che un western non è tale se non c’è un duello, poi però con un’insospettabile guizzo, lo sguardo della cinepresa coglie e ci regala nuovi e diversi orizzonti.
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