Il mio nome è Eloise – di Maria Luisa Seconnino

 

Il buio della sera mi ha colto di sorpresa, la luminosità proveniente dal PC poggiato sulle mie ginocchia mi bastava a far luce nella stanza.

Il bicchiere di whiskey che stavo bevendo mi aiutava invece a galleggiare nell’oscurità’ emotiva in cui ero piombata da alcune ore e cioè da quando ero rientrata a casa dal lavoro.
Oggi avevo finito nel primo pomeriggio, stranamente presto considerando i miei orari d’ufficio che, negli ultimi mesi, mi avevano portato a rincasare non prima delle 20.
Avendo tempo, avevo deciso di farmi un bagno caldo, preparare una cena un po’ più elaborata rispetto ai cibi precotti che io e Michael mangiavamo di solito la sera e poi chissà, forse con qualche bicchiere di vino in più, ci saremmo rilassati abbastanza da fare l’amore.
Michael negli ultimi tempi sembrava di ottimo umore e questo m rincuorava, anche per lui i sei mesi precedenti, e cioè quelli dopo il licenziamento, erano stati davvero duri: la casa editrice, per cui lavorava, stava attraversando un momento di grave crisi economia ed avevano tagliato il personale,
iniziando da quelli più anziani.

Ritrovarsi a cinquant’anni senza lavoro non è un’esperienza da augurare a nessuno: il mondo ti crolla addosso, non vuoi ricominciare a fare gavetta, ma non hai nemmeno l’età per andare in pensione.

In un mercato lavorativo serio, l’esperienza sul campo sarebbe stata premiata, ma noi viviamo in Italia e questo non è un paese che ti dà facilmente seconde possibilità.
Ero ancora al cellulare con l’ultimo cliente, quando entrando in casa, raccolsi distrattamente la posta da terra.
La sfogliai: bollette della luce e del gas, l’estratto conto del mese, tutte lettere indirizzate sia a me che a Michael, visto che gestivamo insieme tutti i contratti.
Nel mucchio c’era però anche un’altra lettera che era indirizzata solo a me, non riportava il nostro indirizzo, ma solo il mio nome, dedussi che era stata consegnata a mano.
Finalmente conclusi la telefonata con il cliente, mi sfilai le decolté, perdendo cinque centimetri di altezza ed a piedi nudi mi diressi al divano, stringendo la mia lettera.
Ricordo che pensai fosse qualche pubblicità o qualche sconto profumeria, così l’aprii certa di trovare un regalo per me.
Mi sbagliavo, non era un coupon omaggio, ma una lettera scritta con una grafia a me sconosciuta.

“Il mio nome è Eloise , frequento Michael da qualche mese.

Mi ha detto che il vostro matrimonio è finito e che condividete il vostro appartamento per motivi di praticità, ma che tra di voi non c’è alcun sentimento d’amore.
Michael mi ha giurato che sei tu a premere affinché lui continui a stare sotto al tuo stesso tetto, per motivi legali, ma, mi ripete, non affettivi.
Ti scrivo d’impulso, perché oggi ho saputo di essere incinta: aspetto un figlio da lui.

Io lo amo e sono certa che anche Michael mi ama.
Vorrei che tu confermassi le sue parole perché penso sia giunto il momento di dare una svolta alla nostra relazione e di formare il nostro nucleo familiare.
Ti lascio il mio recapito telefonico : 073456987
Spero di poter parlare presto con te.
E.”

Rilessi la lettera più volte, non potevo credere alle parole scritte.
Mio marito aveva un’altra donna? Michael avrebbe avuto un figlio da questa sconosciuta? Chi era questa Elisa Manfredi? Ah no, Eloise.
Per prima cosa pensai di fare una ricerca su internet, volevo darle un volto, forse la conoscevo.
Di Eloise Manfredi ce n’erano molte online, ma nessuna sembrava avere una connessione con il mio Michael.
Nella lettera c’era anche un numero di telefono, avrei dovuto chiamarla per avere chiarimenti?
No, non me la sentivo.
Telefonarle sarebbe significato dare importanza a quella lettera, ritenerla reale ed invece quelle dovevano essere tutte follie, uno scherzo di qualche mitomane, oppure una donna che, ferita dal rifiuto di mio marito, si stava vendicando con quelle bugie.
Andai sulla pagina Facebook di Michael e cercai tra i suoi amici, ma non c’era traccia di questa Eloise.
Mi ricordai che Michael era iscritto alla pagina della casa editrice per cui lavorava così andai a controllarla e lì la trovai: tra gli utenti di quel gruppo c’era una certa Eloise Manfredi.
Dalla foto online potevo vedere che aveva i capelli corti color biondo cenere, corporatura magra, non particolarmente formosa, forse aveva intorno ai trenta anni, ma ne dimostrava di meno, era una donna dall’aspetto anonimo.
Rilessi di nuovo la lettera: “… frequento Michael da qualche mese”.

Da quando? Qualche mese, dice nella lettera.
Cioè da quando Michael era stato licenziato? Era iniziato nel periodo in cui lo avevo sentito distant e frustrato?
Lo stesso periodo in cui la mia carriera invece stava facendo un passo avanti ed io tornavo a casa tardissimo ed esausta, a causa delle infinite riunioni di gestione del nuovo gruppo aziendale?

Lo vedevo stranito in quel periodo, questo è vero, e cercavo di stargli vicino, di fargli capire che non aveva importanza chi portasse a casa lo stipendio, perché quello che era mio era suo e viceversa.

Gli dicevo che le cose sarebbero migliorate, che doveva avere pazienza ed infatti erano migliorate.
Un paio di mesi fa un amico gli aveva offerto una posizione come redattore in una nuova start up, la sua esperienza serviva alle nuove leve; non avevo dunque ragione a dirgli che tutto si sarebbe sistemato?
Ma allora perché?
Perché avere una relazione con un’altra donna?
Questa Eloise stava dicendo la verità?
E poi un figlio. Ma ci rendiamo conto di cosa stiamo parlando?
Mio marito che fa un figlio con un’altra, impossibile.
Il mio Michael non mi farebbe mai del male, il mio Michael non mi tradirebbe mai.
Rilessi ancora la lettera e poi mi versai un bicchiere di whiskey.

Cosa faccio? La chiamo? No, chiamo Michael.

Dove ho messo il telefono? Non è in borsa. Dove l’ho messo? Dannato telefono! Calma, devo stare calma.
Respira, ricordati di respirare.
Quando sono entrata stavo parlando con il cliente, ho raccolto la posta e poi ho chiuso la conversazione, ah si, eccolo sul tavolo.
Cerco di fermare il tremore delle mani per far scorrere la ricerca delle ultime chiamate effettuate: ecco il numero di Michael.
Mi risponde dopo pochi squilli, come sempre.
«Ciao, si sono a casa, ho finito prima oggi e sono tornata per rilassarmi e preparare una buona cena» sembra il solito Michael, la solita conversazione che abbiamo quando uno dei due rincasa e l’altro è ancora fuori.
Mi prende in giro perché voglio cucinare qualcosa di buono, mi viene da sorridere a pensare all’ultima volta che c’ho provato ed alla fine abbiamo mangiato pizza surgelata perché avevo fatto bruciare l’arrosto.
Glielo dico per telefono o aspetto che rincasi? No, non ce la faccio ad aspettare: sgancio la bomba.

«Senti, ho ricevuto una lettera. Conosci una certa Eloise Manfredi?»
Il silenzio raggelante dall’altro capo del telefono mi conferma che quello che c’è scritto nella lettera è vero.

Chiudo la conversazione senza aspettare ulteriormente un tentativo di spiegazione.

Il cellulare ricomincia a squillare ed il nome di Michael compare sul display, ma non gli rispondo, anzi, lo metto a faccia sotto, non voglio nemmeno sapere che è lui che prova ad inventare qualche scusa.
Rileggo per l’ennesima volta la lettera, questa volta con una consapevolezza diversa: “Mi ha detto che il vostro matrimonio è finito e che condividete il vostro appartamento per motivi di comodità, ma che tra di voi non c’è alcun sentimento d’amore.”
Le aveva detto questo? Come aveva potuto? Forse davvero il nostro matrimonio era finito ed io non me ne sono resa conto?
Possibile che non avessi intuito che lui aveva una relazione con un’altra che faceva sesso con un’altra?
No, come avrei potuto. Lui era distante, si, questo è vero, ma era depresso per il lavoro.
Si, facevamo meno sesso, ma avevamo orari inconciliabili: io tornavo sempre tardissimo la sera ed il fine settimana lo dedicavamo alla spesa ed alla pulizia di casa, il sesso era l’ultimo dei nostri pensieri.

E chi era quest’altra? Cosa ha in più di me? È più bella? Non direi dalle foto. Più intelligente? Io non sono da meno. Allora cosa?
Perché mi hai tradita, perché si tradisce un patto d’amore?

Me lo avrebbe mai detto? Penso di si, visto che a questo punto c’è anche un figlio di mezzo. Ma lui lo sa già del figlio?
Puoi far squillare quanto vuoi questo maledetto telefono, non ho voglia di parlare adesso, devo capire cosa ci è successo.
Se era depresso ed infelice, come sembrava, perché non cercare il mio conforto invece di tradirmi?
Perché?
Si è fatto buio, non ho voglia di accendere la luce, non ho voglia di specchiarmi nelle superfici riflettenti dei mobili della cucina, o delle finestre dell’appartamento.
Voglio scomparire, sono un animale ferito a morte.
Era questo che volevi ottenere Michael? Volevi farmi male? Eri geloso del mio successo e volevi punirmi? Sentendoti inutile ed emarginato dalla società, a causa del licenziamento, volevi ferire me, che invece stavo avendo successo?
Volevi farmi sentire che, nonostante tutta la mia fatica, i miei sacrifici, resto una donnetta che può essere facilmente sostituita?
Oppure hai voluto ferire ulteriormente te, tradendo me, l’unica persona che amavi?

Dove ti hanno condotto questi stupidi giochi di potere Michael? Ti sei reso conto che abbiamo perso tutti?

Lo scattare della serratura mi strappa ai miei pensieri, per riportarmi nell’oscurità della stanza e della realtà.
La figura di Michael si scaglia in controluce nel vano della porta appena aperta.
La lettera è sul tavolo, che lo aspetta.
Io no.