“Forte come la tempesta” di Fabiola Falcone

Pioggia che bagna il volto,
Lava via ogni promessa
Se solo mi avessi dato ascolto
Tu forte come la tempesta,
Corri rapida, pronta ad ogni mio bisogno,
Mi insegni ad essere me stessa
Nel buio non riesco a prendere sonno
si spezza una fragile creatura,
In una notte che non lascia spazio ad un sogno.

Era una notte buia e tempestosa, io e Roby ancora eravamo in viaggio verso casa.

Lesue mani stringevano con forza il volante e notai, nei suoi occhi, una certa preoccupazione.

Tanti gli argomenti su cui avrei avuto piacere discutere ma, in quel momento, le uniche parole che uscirono dalla mia bocca furono: “Fermiamoci un po'”.

Non mi prestó attenzione.

Era testarda e non le piaceva ammettere di aver sbagliato; quella strada l’avevamo percorsa almeno un migliaio di volte, ma il sentiero in cui ci eravamo ritrovate non mi era familiare.
Il temporale impediva il GPS di connettersi e riconoscere la nostra posizione.
C’eravamo perse.
“Roby, ma sai dove stiamo andando?”
La pioggia cadeva rapida, sempre più veloce e, complice la stanchezza, impedì a Roby di vedere quella maledetta curva.

L’auto si schiantò, sul lato sinistro, contro la parete rocciosa.

Non mi ricordo nient’altro se non il suono di una sirena e mi risvegliai, qualche ora dopo, in ospedale.
Stavo bene, con qualche dolore e qualche ago nelle braccia; ero completamente cosciente del mio corpo, potevo muoverlo e mi sembrava di non riportare gravi fratture.

Cercai con lo sguardo Roby.
Gli infermieri non rispondevano alle mie domande e un senso di panico m’invase; arrivò il dottore e cercò di tranquillizzarmi: era viva ma aveva subito un forte trauma.
Lo pregai di portarmi da lei e la vidi distesa su un letto bianco.
Lei che non chiedeva mai favori, che aveva sempre fatto tutto in piena autonomia, ora dipendeva da un macchinario che l’aiutava a respirare.

Mi avvicinai, zoppicando, e osservai il suo bellissimo e innocente volto sfigurato da numerosi tagli.
Quello stesso volto che aveva illuminato tutte le mie mattine, quello al quale pensavo tutte le volte che mi sentivo triste o arrabbiata.

Fu la prima volta che la vidi indifesa: i suoi occhi rispecchiavano quella fragilità che mi aveva sempre nascosto, la quale, fino a quel giorno, ignoravo che avesse.

Lei, il mio esempio, la mia forza. Il mio modello di vita.

La donna che poteva raggiungere tutto quello che voleva e che non aveva paura di niente.

Quella cui ambivo a diventare e alle quale, in confronto, mi sono sentita spesso inadeguata.
Oggi ero io più forte di lei, per la prima volta. Ma questo non mi faceva piacere.
Cercò di regalarmi il suo miglior sorriso, anche in questa situazione pensava a non farmi preoccupare.
Avrei voluto abbracciarla, stringerla a me, come quando facevo da bambina, ma le avrei causato danno e mi limitai ad accarezzarle dolcemente il viso e quei suoi lunghi capelli color paglia con i quali mi divertivo a fare treccine e boccoli.
Trattenevo le lacrime.

Volevo che mi consolasse, volevo appoggiare la mia testa sulle sue spalle e sentirmi dire “andrà tutto bene”, come aveva sempre fatto.

Mi bastavano quelle tre parole per trovare il coraggio di affrontare qualsiasi difficoltà.
Con la voce tremante glielo dissi io. Non aveva lo stesso effetto, entrambe sapevamo che era una bugia.

Un senso di colpa mi colpí: avrei dovuto essere più incisiva, fermarla prima.

Le baciai le mani e lei, con gli ultimi residui di energia me le strinse forte, mi guardò negli occhi con infinita dolcezza e mi disse: “Non fermarti mai, anche quando ti senti persa”, poi chiuse le palpebre, sciolse la morsa e sussurró: “sarò sempre al tuo fianco”.

La sua anima prese il volo verso il cielo, donando un po’ di luce a quella notte, buia e tempestosa.