Adelina da giovane era talmente bella che suo padre, povero contadino, fece fatica a tenere a bada i tanti pretendenti. Per darle un futuro rassicurante, con i pochi risparmi messi da parte, il suo genitore le fece frequentare una scuola per ricamatrici. Così venne data in sposa ad un ricco commerciante, che durante una traversata per lavoro morì per mare; la giovane donna rimase vedova ancor prima di godersi, col suo consorte, l’immenso patrimonio e la vita coniugale. 

In paese tutti conoscevano la bella e sfortunata Adelina che, nonostante il lascito, rimase rinchiusa nella villa padronale, per un lungo periodo. Quando decise di uscire, ormai invecchiata, gran parte dei compaesani l’avevano dimenticata. Da quel giorno, tutte le mattine, andava in piazza del paese e si sedeva sul muretto adiacente alla chiesa. Indossava sempre un cappellino di paglia diverso e abiti variopinti che ogni giorno aveva cura di alternare. Portava con sé sempre tante borse di lino ricamate, stracolme di stoffa bianca. Accostava al suo fianco una scatola di legno con motivi arabeschi, l’apriva e tirava fuori rocchette di fili colorati. Sollevava attentamente la veste fin sopra alle ginocchia, con delicatezza estraeva un panno dalla borsa e lo tendeva sulle cosce. Cominciava sempre con il cilindretto di colore rosso, una volta infilato il filo nell’ago, ricamava parole e raccontava storie. “Vieni bambina mia” usava dire a qualsiasi donna che la guardasse con curiosità, “siediti accanto ad Adelina, ti racconterò una storia” le coraggiose si accostavano e talvolta si sedevano. E dopo pochi minuti l’inconsapevole fortunata era caduta nella rete della trama della vecchia donna del muretto. Lei sapeva leggere storie negli occhi e le trascriveva in versi di ordito. Ricamava dapprima il nome della capitata in vermiglio e poi continuava con altre tinte. La sua mano nodosa scivolava velocemente sulla stoffa, e il filo che pareva uscire direttamente dal palmo, come un ragno, dava forma ad una tela rifinita. Adelina raccontava e lasciava raccontare, intrecciava fili della trama della vita altrui a quelli suoi, fino a che un intreccio nuovo non fosse apparso sulla tela. Le esterrefatte passanti, grate del dono, ricambiavano sempre con un abbraccio da lei richiesto. Morì dopo molti anni.

La storia di Adelina venne tramandata, dai suoi compaesani, alle generazioni successive. Dimostrazione del suo meticoloso lavoro furono gli arazzi raccolti ed esposti al museo del capoluogo. La mostra venne intitolata in suo onore “La ragna-matta” nomignolo attribuitogli dai bambini, ormai adulti, del posto. A promuovere l’evento fu un’illustre docente universitario, nipote di Adelina. All’ingresso del museo, come opera prima, venne esposto un lenzuolo di culla appartenuto a sua madre. Nel telo, unico nel suo genere per fattura e colori, era ricamata la storia di una vita, di un sogno e di una scelta. Il lenzuolo ricamato da Adelina fu il primo abbraccio offerto alla sua unica figlia adottiva quando venne prelevata dal brefotrofio ancora neonata. 

 

 

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