“Le dee del miele” di Emma Fenu

Recensione di Lisa Molaro

“Il cielo è perpetuo e la Terra perenne. La ragione per cui il Cielo può essere perpetuo e la Terra perenne è che non vivono che per se stessi” – Tao te Ching, VII.

In copertina una donna si specchia… quale delle due? Candore e ardore, purezza e passione, fiamme e ghiaccio. Cos’è vero e cos’è riflesso?

Quanto la Dea può scindersi? Quante volte e in quanti volti?

Le palpebre serrate, sigillate da ciglia incollate da lacrime mai sgorgate nelle gote.

Schegge di ghiaccio conficcate nelle carni.

Il battito del cuore segna la vita e la morte, mentre l’Eden si divide in quattro rami e uno di questi, quello del miele, scorre creando solchi su un campo da arare, distinguendo le zolle infertili da quelle  feconde.

Sono nata sul confine fra due mondi, lingua di terra fra un castello che volgeva al declino, lasciando dietro di sé il pudore della memoria, e un torrente che si insinuava, ospite inatteso, fra orde di occhi increduli.

 

Cos’ho trovato, io, in questo romanzo?

Ho trovato quel ramo di miele che, al pari del latte per i neonati, nutre Demetra. Quel dono di prosperità e ricchezza, di fertilità e abbondanza; non solo da partorire attraverso carni stanche e stremate ma figlie di tradizione, fede, superstizione, immaginazione, paura, dolore, sofferenza, famiglia.

Il romanzo, in parte autobiografico, mescola sapientemente il reale con l’irreale, il concreto con l’intangibile, la carne con lo spirito. Mescola il marrone con il blu.

Gli anelli di fumo che l’incenso fa mentre brucia, inanellano le storie di Caterina, di Lisetta, di Michela, di Marianna e di Eva…

donne quasi generate dalla bocca di San Michele, di San Bernardo, di Sant’Ausanna o di San Giovanni.

Come sempre mi accade, quando la bellezza di un romanzo me lo permette, assorbo le emozioni al punto da visualizzare, quasi in modo onirico, parole chiave, atmosfere, colori e sensazioni. I miei pensieri prendono forma in mondi paralleli – non è questo, per tutti, il bello della lettura? – e, fin dall’inizio di questa lettura, mi sono ritrovata dinanzi un “mio” ipotetico filo sul quale appendere i vestiti ad asciugare; mi sono lasciata coinvolgere e, metaforicamente, le stoffe mutavano, talvolta io ero alla luce del sole, in un florido giardino (Eden fecondo e profumato di rose) e altre ero vicino al focolare le cui fiamme facevano gocciolare acqua santa dalla trama grezza di lino color carne arsa al vento.

Il filo della fede, della passione della carne e dello spirito, le ferite fatte dalle lame sottili laceravano carni su cui la spada di San Michele non era riuscita ad essere abbastanza incisiva, proteggendo sguardi che andavano preservati puri e innocenti.

Miele che gocciola su una treccia impastata con amore, treccia che viene spezzata in due, esattamente a metà. Un angelo decide di rispettare la tradizione e di sedersi lì, dove la piuma dell’ala ha trovato modo di rimanere attaccata al dolce colore dell’ambra.

Le labbra delle Dee si appoggiano al miele, mentre il rigagnolo scorre; pare quasi bacino la Terra su cui camminano, leggere.

Le stoffe gocciolano olio di sangue che rianima il fuoco delle pire, o gronda, copioso, dalle mani dei giudici e degli assassini.

La terra sarda si nutre di misteri inquietanti e di spiriti senza pace e la magia e la fede si fondono come il lievito nella pasta, ingigantendo le paure inconsce di un popolo paradossalmente fatto di balenti, ossia di uomini valorosi, fieri e coraggiosi, che difendono dove lo stato latita e riparano torti subiti da altri, in cambio di nulla.

Le stoffe sono ricamate con fili di una fede che non ha bisogno di lusingare lo sguardo o da fili di seta che compongono “tono su tono” un’ iniziale da sfiorare con polpastrelli delicati, ingannando attese e sguardi alla finestra, mentre fiocchi di neve, simili a fate, danzano indisturbati.

Accanto alla finestra, Lisetta osservava fluttuare

fiocchi di neve: piccole fate, come janas diurne, can-

dide e mute, che danzavano solo per lei.

 

Ringrazio quindi Emma Fenu (non solo per avermi citata nei suoi ringraziamenti) ma per avermi fatto conoscere, seppur in un modo romanzato, persone che ha nel cuore. Ringrazio, infine, la madre della scrittrice per averle letto la Divina Commedia fin da quando era piccolissima, talmente piccola da non poter capire i concetti che le venivano letti ma non per questo meno capace di respirare cultura da trasmettere poi, crescendo, attraverso i suoi romanzi.

Una storia, quella che ho appena terminato di leggere, che è più storie insieme.

Un romanzo che è tanti romanzi.

Una donna che è molte donne in contemporanea.

Un romanzo che, quindi, è Donna.

Titolo: Le dee del miele
Autore: Emma Fenu
Editore: Milena Edizioni; 2 edizione (5 maggio 2017)

Sinossi:

“Le dee del miele” è una storia ispirata alla realtà, che si snoda attraverso tutto il Novecento, ambientata in una Sardegna intrisa di mito e memoria. In tale contesto, in cui si fonde un universo parallelo di spiriti, fate e demoni, spetta al mondo muliebre vegliare sulla vita e sulla morte. Le protagoniste sono, infatti, quattro donne: Caterina e Lisetta, fanciulle che non si conoscono ma che diverranno consuocere, Marianna, figlia adottiva di Lisetta ed Eva, figlia di Marianna. Sono creature diverse fra loro, per ceto sociale e vissuto, ma legate dai fili del destino fino a divenire parte l’una dell’altra, tramite un cordone ombelicale di sangue, luna, farina, miele, mistero, esoterismo e agnizioni. Sarà Eva a riannodare il filo rosso di mestruazioni, parti e aborti delle sue antenate e a scoprire il vero segreto del “dono” di famiglia.