Dove mi trovo – di Jhumpa Lahiri

recensione di Giovanna Pandolfelli

Dove mi trovo
Leggendo Dove mi trovo, primo romanzo scritto in lingua italiana da Jhumpa Lahiri edito da Guanda nel 2018, sembra quasi di assistere al seguito della sua prima opera autobiografica scritta in italiano nel 2015, In altre parole.

Per tale motivo, al fine di capire questo romanzo, ritengo necessario fare un passo indietro.

Jhumpa Lahiri è un’affermata scrittrice americana, prima donna asiatica a vincere il premio Pulizer
nel 2000 con L’interprete dei malanni.

Infatti, pur essendo cresciuta negli Stati Uniti, è di origine bengalese, i suoi genitori sono emigrati dall’India prima a Londra, dove è nata Nilanjana Sudeshna, detta Jhumpa, e, poco dopo, si sono traferiti definitivamente negli Stati Uniti.

Qui Jhumpa è cresciuta in bilico tra la tradizione indiana e il desiderio di integrazione nella comunità statunitense ospitante.

Di doppia appartenenza, doppia nostalgia, migrazione, tradizioni e integrazione parla la Lahiri nei suoi romanzi in lingua inglese.

Per liberarsi della tensione causata dall’appartenere a due culture, Jhumpa Lahiri solca una terza via, quella dell’italiano, sua lingua elettiva, che ha studiato con tenacia e profonda dedizione, trasferendosi anche per un lungo periodo a Roma.

Pubblica così In altre parole, una sorta di diario in cui esprime tutta la forza della lacerazione dell’essere cresciuta tra due mondi, della tensione causata dalla continua pressione in casa ed all’esterno, della ricerca affannosa di affermare la propria identità, di trovare un luogo metaforico in cui sentirsi se stessa.

L’Italia e l’italiano hanno rappresentato il suo altrove, un vero e proprio topos culturale in cui ritrovarsi.

Ed arriviamo a Dove mi trovo: un romanzo nella misura in cui l’io narrante, pur identificandosi per molti aspetti con l’autrice, rappresenta un personaggio fittizio.

Una donna sola che vive in una città italiana non ben definita e narra le sue vicende quotidiane con l’accuratezza di dettagli e lo spirito di osservazione tipici della prosa di Lahiri.

Il romanzo si dipana attraverso quegli stessi luoghi dove l’autrice andava cercando se stessa già nella precedente opera già citata, luoghi concreti: sul marciapiede, per strada, al bar, in trattoria, sul balcone, ma anche metaforici in primavera, al sole, ad agosto, tra sé e sé, allo specchio, fino a giungere negli ultimi tre capitoli a spazi simbolici ed evocativi, a due passi, da nessuna parte, in treno.

Questi rappresentano la chiave d’interpretazione del romanzo: la protagonista, mai chiamata per nome, conduce un’esistenza senza legami, senza mete, senza un’identità vera e propria, in un eterno vagabondare da un posto ad un altro pur non appartenendo a nessuno di essi.

“Siamo costretti ad essere vicini, sempre raggiungibili, eppure mi sento alla periferia di tutto”, farà pronunciare l’autrice al suo io narrante a proposito dei colleghi di lavoro con i quali non ha alcun tipo di rapporto.
Il senso di estraniamento si fa sempre più forte man mano che il romanzo prende forma, sino a riguardare se stessa e la propria immagine riflessa allo specchio:

“mi rendo conto di avere un viso che mi ha sempre deluso. Ogni sguardo mi costa ecco perché tendo ad evitare gli specchi”.

Come non rilevare il paragone con il fastidio che l’autrice dichiara di provare ogni qual volta i suoi tratti somatici le sono d’intralcio al processo di integrazione tanto agognato, così ben descritto nell’opera In altre parole?

La protagonista va oltre l’immagine, va in cerca dell’ombra, intesa come riparo dal sole, ma anche
come zona buia di ognuno di noi, spettro del passato.

“Non si può sfuggire all’ombra inesorabile di questa stagione, o a quella della propria famiglia. Al tempo stesso mi manca l’ombra favorevole di qualcuno”.

La donna incontra nel suo cammino la sua sosia, il suo alter ego, una sagoma che le somiglia e al contempo si distingue da lei, nella ripetizione della dicotomia che accompagna tutta la produzione narrativa della Lahiri: la doppia identità.

“La mia sosia, vista di spalle, mi fa capire: sono io e non lo sono, vado via e resto sempre qui.”

Il quesito sul dove ci si trovi realmente raggiunge l’apice e trova risposta in un terreno altro, concreto eppure intangibile: la parola, quel luogo in cui una scrittrice si muove, si esprime e vive.
“Esiste un posto dove non siamo di passaggio? Disorientata, persa, sbalestrata […]: in questa parentela di termini mi ritrovo. Ecco la dimora, le parole che mi mettono al mondo.”

Con un linguaggio essenziale eppure ricercato, Jhumpa Lahiri si muove con coraggio e determinazione in una lingua appresa da adulta, per passione, per elezione, da cui si è sentita attratta, talora rompendo i canoni linguistici fino a sconfinare in un’interlingua tutta sua.

Forse anche più che nel primo libro in italiano, emergono incertezze linguistiche, talvolta calchi dall’inglese, registri linguistici misti, divenuti ormai un suo segno distintivo letterario.

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Sinossi

Sgomento ed esuberanza, radicamento ed estraneità: i temi di Jhumpa Lahiri in questo libro raggiungono un vertice.

La donna al centro della storia oscilla tra immobilità e movimento, tra la ricerca di identificazione con un luogo e il rifiuto, allo stesso tempo, di creare legami permanenti.

La città in cui abita, e che la incanta, è lo sfondo vivo delle sue giornate, quasi un interlocutore privilegiato: i marciapiedi intorno a casa, i giardini, i ponti, le piazze, le strade, i negozi, i bar, la piscina che la accoglie e le stazioni che ogni tanto la portano più lontano, a trovare la madre, immersa in una solitudine senza rimedio dopo la morte precoce del padre.

E poi ci sono i colleghi di lavoro in mezzo ai quali non riesce ad ambientarsi, le amiche, gli amici, e «lui», un’ombra che la conforta e la turba.

Fino al momento del passaggio.

Nell’arco di un anno e nel susseguirsi delle stagioni, la donna arriverà a un «risveglio», in un giorno di mare e di sole pieno che le farà sentire con forza il calore della vita, del sangue.

Questo è il primo romanzo di Jhumpa Lahiri scritto in italiano, con il desiderio di oltrepassare un confine e di innestarsi in una nuova lingua letteraria, andando sempre più al largo.

Titolo: Dove mi trovo
Autore: Jhumpa Lahiri
Editozione: Guanda, 2018