Undici solitudini di Richard Yates
Voce all’Altrove
Recensione di Cynthia Collu
Undici solitudini è una silloge di racconti di Richard Yates pubblicata nel 1962 e riedita da Minum Fax nel 2018.
Capolavoro, che parola abusata! Eppure non saprei trovarne di migliori per questa splendida raccolta.
Di cosa tratta Undici Racconti?
Degli undici racconti che costituiscono la raccolta, “Costruttori” è l’ultimo, e ne diventa il capolavoro.
Il coperchio giusto per chiudere il contenitore alla perfezione, il tetto adatto per finire in bellezza la splendida casa.
Come dice Bernie, tassista che vuole che siano scritti dei racconti traendoli dalle sue esperienze di lavoro, a Bob, lo scrittore che non riesce a scrivere il suo romanzo, Una casa, cioè, bisogna che abbia il tetto.
“Ma ci troveremmo nei pasticci se cominciassimo a costruirla dal tetto, no?Prima del tetto si devono costruire le mura, no? E prima delle mura si devono gettare le fondamenta, no? E così via. Prima delle fondamenta si deve scavare nel terreno una bella fossa, vero? Ho ragione?» […]
Dunque, supponiamo che lei si costruisca la casa in questo modo. Qual è la prima domanda che deve porsi a opera compiuta?
Dove sono le finestre?
Bernie si riferisce alla scrittura di un racconto, ed è singolare che Yates metta in bocca a un non scrittore una verità che sta nella pelle e ne dna di ogni vero scrittore.
C’è una voce fuori campo, in “Costruttori” che subito ci avverte.
“Gli scrittori che scrivono di scrittori possono produrre facilmente il peggior genere di aborti letterari. Questo lo sanno tutti.Incominciate un racconto con un «Craig spense la sigaretta e si avviò deciso alla macchina da scrivere», e non troverete negli Stati Uniti un solo editore che andrà avanti a leggere la frase successiva.”
Peccato che Yates riesca invece a scrivere un capolavoro, il racconto perfetto sotto ogni punto di vista: scrittura, dialoghi, ritmo, struttura e finale.
Perchè leggere Undici solitudini?
Già, il finale.
Perché alla perfezione Yates ci arriva proprio ammettendo che questa non si può raggiungere, che la sua casa (il suo racconto) “non è costruita molto bene”: fondamenta fragili, pareti travi e travicelli messi alla rinfusa, e probabilmente una buca nel terreno che non è stata scavata come si deve.
Eppure, proprio confessando i difetti del suo racconto, Yates trova un finale (un tetto) che invece mette in rilievo la bellezza straordinaria del tutto, e “Costruttori” assurge di prepotenza all’Empireo dei più bei racconti che siamo mai stati scritti.
Da collocare accanto a “Colline come elefanti bianchi” e a “Un giorno ideale per i pesci banana.”
Imperdibile.
E dove sono le finestre? Da dove entra la luce?Bernie, vecchio amico, perdonami, ma per questa domanda non ho la risposta. Non sono neppure sicuro che questa particolare casa abbia delle finestre. Forse la luce deve cercar di penetrare come può, attraverso qualche fessura, qualche buco lasciato dall’imperizia del costruttore.Se è così, sta’ sicuro che il primo a esserne umiliato sono proprio io. Dio lo sa, Bernie, Dio lo sa che una finestra ci dovrebbe essere da qualche parte, per ciascuno di noi.
Consiglio spassionato: leggetelo!
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Sinossi
Dopo la pubblicazione di “Revolutionary Road”, il primo romanzo di Richard Yates, il critico americano Alfred Kazin scrisse:
«Questo romanzo riassume la nostra epoca con più spietatezza di ogni altro, ma anche con più pietà».
Le undici storie qui raccolte, pubblicate per la prima volta nel 1962, presentano un altro momento della stessa ricerca e contengono forse quanto di più definitivo Yates abbia mai scritto: in ogni racconto non si potrebbe dire di più con meno parole, perché si intuisce sempre che è accaduto molto più di quanto è detto.
La lezione di Hemingway – l’essenzialità della scrittura – è qui portata alle sue estreme conseguenze grazie alla capacità di far scaturire il significato di un’esistenza da un semplice fatto illuminante.