Piccole donne – di Greta Gerwig
recensione di Emma Fenu
Piccole donne è un film del 2019 scritto e diretto da Greta Gerwig.
Fanno parte del cast: Saoirse Ronan, Emma Watson, Florence Pugh, Eliza Scanlen, Laura Dern, Timothée Chalamet, Meryl Streep, Tracy Letts, Bob Odenkirk, James Norton, Louis Garrel e Chris Cooper.
Ho appena visto l’ultima, e per precisione la settima, rivisitazione cinematografica del classico Piccole Donne di Louisa May Alcott.
Hanno molto da raccontarci, a seconda della fase della vita in cui si accolgono.
Veniamo al film.
La storia inizia con una Jo non più ragazzina che, nel 1868, si è trasferita in una pensione di New York e sogna di fare la scrittrice, tirando a campare; è il periodo, per la protagonista, della crescita, dell’indipendenza dal nido e dell’arrivo del grande amore.
E del telegramma che annuncia il peggioramento della salute di Beth: poche righe che fanno finire l’infanzia con uno strappo e fanno iniziare a cucire la trama dei ricordi.
La pellicola è costruita su un gioco di flashback fra presente, che si diviene futuro, e passato, che diviene romanzo.
Non vi racconterò la trama: beato chi ancora non la conosce e la scoprirà nel corso della visione.
E beato anche chi la conosce e andrà a cercare il testo originale e si ritroverà sotto gli occhi parole che credeva di ricordare, ma che in quasi vent’anni si sono modificate, inglobando la famiglia March nelle memorie falsate della propria vita da bambina. Beata me.
Il punto di vista e di analisi di Greta Gerwig è molto interessante e si sofferma sul conflitto fra sorelle senza edulcorarlo.
C’è odio e amore fra loro: sono imperfette, gelose, frivole, avventate, crudeli, eppur solidali, forti, oneste, complesse.
Sarebbe stato facile cadere nello stereotipo: Jo, la ribelle; Meg, la donnina di casa; Beth, la dolce e malata; Amy, la capricciosa. E invece le protagoniste sono umanamente incoerenti e, al contempo, fedeli a se stesse, non all’immagine che si pretende da loro. Sbagliano, si rialzano, si ritrovano e vincono.
Il rapporto fra Jo e Amy è il più intenso e significativo perchè giocato sulla competizione, non a caso la più piccola andrà in Europa al posto della maggiore e sposerà l’uomo da lei respinto e non a caso una si definirà nella differenza dall’altra, per poi trovarsi donne e sorelle, non così dissimili.
Guardate il film. Ne vale la pena. Non le conosciamo mai abbastanza le sorelle March, come non conosciamo mai abbastanza le luci e le ombre delle donne della nostra famiglia e di noi stessi.
Vi stimolo con una riflessione.
Quando Jo, per raccimolare i soldi del biglietto del treno che servono a sua madre, vende i propri capelli e si presenta a casa con una zazzera scompigliata, nella versione del 1994 Amy dice: “I tuoi capelli erano il tuo orgoglio!”; nel 2019 la frase cambia “I tuoi capelli erano l’unica cosa bella che avevi!”.
Una differenza non da poco.
Nella seconda frase si sta esplicitando il comune sentire per cui Jo sarà pure intelligente e con un cuore d’oro, ma è brutta. E ciò che impensierisce non è l’aspetto fisico della giovane, ma il fatto che esso sia un elemento che la caratterizza in famiglia.
Sono andata a rivedere il testo originale.
Ebbene sì, a Jo viene detto che di bello ha solo i capelli.
Ma non glielo dice Amy. Glielo dice sua madre.
Piccole donne ribelli vi aspettano.
Buona visione e… Buona notte.