Maria Luisa d’Aquino: la poetessa

“rosa d’autunno”

 

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a cura di Patrizia Bove

Maria Luisa D'Aquino

Maria Luisa d’Aquino fu poetessa, giornalista e scrittrice, nata nel 1908 e morta nel 1992.

Vorrei scrivere con lo stile elegante e raffinato che ho trovato nelle sue opere: cinque raccolte di poesie, un romanzo, un libro di racconti, una pubblicazione che contiene gli articoli della rubrica “Mosconi” che, dal 1945 al1976, ha tenuto sul quotidiano “Il Mattino”.

Vorrei parlarvidi lei, di tutte le sue sfaccettature di donna di cultura, moglie appassionata, madre amorevole e combattiva, con il linguaggio chiaro e spontaneoche caratterizza il suo diario dei giorni di guerra, pubblicato in un romanzo dal titolo “Quel giorno trent’anni fa”, edito da Guida nel 1975.

Proverò a realizzare questo mio intento, pur sapendo che è difficile racchiudere in un insieme di parole la complessità di una donna che ha attraversato gli anni più bui del Novecento con una forza incredibile ed è riuscita a superare momenti disperati senza perdere la capacità di guardare alla vita come a un dono prezioso e inestimabile.

Maria Luisa d’Aquino non è stata solo una poetessa, una scrittrice e una giornalista di successo, definita dai suoi contemporanei- da Benedetto Croce a Salvatore Di Giacomo- la “Saffo della poesia napoletana”, ma è stata anche un esempio di resistenza, coraggio e forza di volontà.

Rimasta vedova nel 1943, con cinque figli da crescere, ha scritto memorie preziose che raccontano il dolore straziante per la perdita dell’uomo amato, la caparbia determinazione di una madre nel proteggere i suoi figli, la volontà di una giovane donna che si rifiuta di soccombere a un destino crudele.

Quanto avrei voluto conoscerla…

Magari in quel di San Lorenzello, il borgo sannita da lei tanto amato, dove ha vissuto dal 7 dicembre 1942 fino alla fine della guerra e dove è ritornata, negli anni di pace, per dimorare nella casa di famiglia, luogo custode delsuo perduto amore.

Quanto vorrei poter affermare: “ho parlato con lei e, dalle sue parole, ho attinto il senso del dolore e la gioia di vivere e ho conosciuto la profondità delsentimento d’amore, che lei definiva essenza profonda e indivisibile della giovinezza”.

Nella realtà, Maria Luisa d’Aquino è giunta a me attraverso le parole di chi l’ha conosciuta personalmente e il ricordo amorevole di suo figlio: il giornalista Luciano Lombardi.

Eppure, sono le parole che lei stessa usa, nelle sue liriche e nei suoi racconti, che più di tutto mi hanno restituito la sua persona. Attraverso i suoi scritti ho “sentito” il suo cuore e tutto il suo dolore di donna.

Ho avuto un attimo in cui mi è sembrato di smarrire me stessa…ho avuto l’impeto di fuggire, di essere sola, di correre come fuori senno, nell’ora ancora buia, per la campagna silenziosa e gridare…allargando i confini del mio dolore…”

“Eppure, senza morire, io sono morta. Mi sento l’anima dilaniata dai morsi voraci di una belva che si è avventata su di me…”

“Sono come una fiala vuota da buttar via su un marciapiedi in mille pezzi: una fiala che conteneva l’essenza della mia felicità…”.

L’essenza della sua felicità era Umberto, l’uomo che aveva sposato appena diciassettenne, l’uomo che la desiderava “come ogni uomo vuole la propria donna; con trasporto, con amore, con comprensione soprattutto”.

Da lui, Maria Luisa aveva avuto cinque figli maschi: Giacomo, Ettore, Gianfranco, Luciano e Guido. “I nostri figli sono nati dal nostro amore e non da un automatico atto sessuale”, scriveva nel suo diario.

Questi figli in futuro si realizzeranno nella professione e, ognuno in un campo, diventeranno noti. Giacomo sarà direttore de “Il Mattino” con Sergio Zavoli, Presidente di Assostampa Campania e del Circolo della Stampa di Napoli; Luciano sarà giornalista, direttore del GRUno, primo e storico conduttore del programma medico-scientifico della RAI “Check-up”, nonché Capo ufficio stampa del Presidente della Repubblica Sandro Pertini; Gianfranco diventerà Direttore d’orchestra, arrangiatore, Direttore musicale del Festival di Sanremo; Ettore e Guido apprezzati musicisti.

Quando, il 17 settembre del 1943, il loro papà, il Tenente Colonnello dei Bersaglieri Umberto Lombardi, fu trucidato dai nazisti, il più grande di loro aveva undici anni, il più piccolo solo tre mesi.

Maria Luisa d’Aquino, ovvero Donna Maria Luisa, come veniva chiamata in paese, si vestì di nero- lei che amava gli abiti colorati- e iniziò la battaglia per la sopravvivenza.

Eccomi, dunque, alle prese con la vita” – scriveva- mentre cercava di procurarsi da mangiare vendendo i suoi abiti, le lenzuola, i centrini di casa. I bambini avevano un appetito “allarmante” e lei li nutriva con dovizia, offrendo a turno l’uovo fresco- quando lo trovava- o zuccherando il latte una mattina ad uno e quella dopo all’altro. Guido succhiava dal suo seno.

Nella corsa sfrenata senza traguardo della sopravvivenza, Maria Luisa consumava le sue giornate concedendo molto poco a sé stessa. Eppure, appena diciannovenne, aveva ricevuto parole lusinghiere dal drammaturgo, scrittore e giornalista (nonché deputato del Regno d’Italia) Roberto Bracco a cui aveva sottoposto il suo primo libro di poesie.

La poesia correva, feconda, nelle sue vene e parlava la lingua dell’amore: il napoletano. Una lingua appropriata alle sfumature amorose, adatta a definire, anche attraverso suoni e cadenza, il sentimento carnale e le passioni.

Apprezzata dai grandi intellettuali del tempo, da Salvatore Di Giacomo a FerdinandoRusso, Ernesto Murolo, Libero Bovio e Benedetto Croce, Maria Luisa d’Aquino fu amica di Sibilla Aleramo, a cui inviò -con dedica- la sua raccolta di poesie “Rose d’autunno”.

Negli anni bui della guerra e della solitudine, Maria Luisa si rifugiava nella poesia. È sempre l’amore il protagonista delle sue opere: amore che si tramuta in sofferenza.

Vari mesi dopo la morte del suo Umberto, annota nel suo Diario:

Scrivo versi. In poco più di un mese ho scritto otto liriche. Per sentire di nuovo la poesia, io avevo bisogno ancora di soffrire; è un prezzo assai caro. Se avessi dovuto concludere un patto col mio destino, non lo avrei firmato a costo di restare senza canto tutta la vita”.

Eppure, anche lei era stata felice e, dalla sua felicità, erano venuti fuori versi intensi e passionali:

“Ma che te dico a ffà: te voglio bbene,

quanno’sti tre parole songo poco

pe’ ddìchello ca tengo dint’e vene,

e ca m’abbrusciacomme fosse fuoco?”

 

scriveva in Parole d’amore, nella sua prima raccolta di poesie dal titolo Vocche (1931).

 

L’amore era la sua ragione di vita e, quando quello dei sensi le fu precluso, Maria Luisa cantò l’amore per la sua terra: per Napoli e per la sua San Lorenzello. Due luoghi a lei molto cari, due “posti dell’anima” in cui rifugiarsi per ritrovare l’energia giusta ad affrontare la vita.

A San Lorenzello, borgo incantevole in provincia di Benevento, il suo rifugio era Palazzo Massone, una casa settecentesca, dimora avita di sua madre, la nobildonna Angéle Roche, divenuta sposa di Ettore d’Aquino dei Principi di Tropea, discendente di una delle Serenissime 7 Grandi Case del Regno di Napoli.

Il borgo di San Lorenzello, con i suoi scorci, le sue stradine, la gente semplice ed affettuosa, le resterà per sempre nel cuore, tanto che vorrà andarci a morire.

“Aspro di rocce s’erge Monterbano

Ricco alle falde di bei boschi ombrosi

Come una mandria stanca che riposi

San Lorenzello vi si adagia piano”

 

San Lorenzello, per Maria Luisa, era dunque il luogo della poesia; Napoli la città dell’amore, che le diede la possibilità di vivere pienamente.

Iscritta all’Ordine dei giornalisti di Napoli, Maria Luisa d’Aquino curò l’Ufficio stampa del Comando Militare napoletano e collaborò a numerose testate, dal “Roma” alla “Gazzetta del Mezzogiorno”, al “Risorgimento” e soprattutto a “Il Mattino” per il quale fu titolare di una rubrica di moda con lo pseudonimo di Lady Lou e poi della rubrica “Mosconi”, quelli celebri di Matilde Serao.

Alla rubrica “Mosconi”, Maria Luisa d’Aquino conferì un taglio meno salottiero di quello della famosa fondatrice, impostandoli in forma di commento a fatti di cronaca e di costume.

Figli di un tempo scampato alla guerra, alla morte e alle censure del fascismo, i “Mosconi” di Maria Luisa d’Aquino, con la prefazione di Pasquale Nonno, sono riproposti in un libro dal titolo “La mia Napoli”, edito nel 1990.

Vita piena, quella di Donna Maria Luisa! Una vita indimenticabile, vissuta nella consapevolezza della sua caducità.

Crepuscolare, nella poesia come nella vita -che sentiva in modo struggente- Maria Luisa d’Aquino, si considerava una “rosa d’autunno”.

Una rosa Tea, la più bella delle rose d’autunno, quella dal colore rosato e dall’arbusto perenne pieno di spine, utile per difendersi dalle insidie di una vita vissuta pienamente, come un dono meraviglioso.

La sua penna, elegante e raffinata, regala al lettore parole e versi intensi e profondi che vibrano di sentimento e di passione.

Come la Tea spande nell’aria il suo odore persistente, così Maria Luisa d’Aquino raggiunge il cuore di chi legge con versi forti e gentili, profumati d’amore e di bellezza.

Ninno, cuoglie sti rrose

Ca so’ rrose d’autunno,

e ca so’ cchiù addirose

d’’e rrose ‘e tutt’ ‘o munno.

 

Manco ‘e rrose d’abbrile

Tèneno chist’addore

ca è forte e ca è gentile,

ch’arriva fino a ‘o core.