Charlotte Brontë: la letteratura non è affare di donna

Voce alle indimenticabili

a cura di Patrizia Bove

charlotte brontë
Charlotte Brontë fu un’indimeticabile… Seguitemi in questo articolo.

«La letteratura non può essere l’affare di una donna: ed è bene che non lo sia! Più una donna è impegnata nei doveri che le si confanno, meno tempo avrà da dedicarle, sia come vocazione sia come svago…».

Così scriveva il Poeta Laureato (poeta ufficialmente premiato da un sovrano con l’alloro poetico e investito del compito di comporre poemi in occasione di eventi ufficiali) Robert Southey a Charlotte Brontë, a marzo del 1837, in risposta ad una sua lettera accorata nella quale gli chiedeva di esprimere un giudizio sulla qualità dei suoi “tentativi poetici”.

Lei gli rispose (lettera datata 16 marzo 1837):

«… Temo, signore che mi consideriate molto sciocca… ma io non sono la creatura indolente e sognatrice che sembra emergere dalle mie parole.

Mio padre è un ecclesiastico dal reddito limitato ma sufficiente ed io sono la figlia più grande. Siccome ha speso per la mia istruzione tutto ciò che poteva, senza fare torto agli altri figli, terminati gli studi ho ritenuto mio dovere lavorare come istitutrice.

In tale veste ho di che tenere occupati per tutto il giorno non solo i pensieri, ma anche la testa e le mani e non mi resta un minuto per le fantasticherie…»

Sembra la risposta di una donna determinata ad affermare le sue intenzioni, eppure, la dichiarazione finale è di tutt’altro tenore:

«Confido che mai più vagheggerò di veder pubblicato il mio nome; se dovesse venirmene il desiderio, penserò alla vostra lettera e lo reprimerò…».

Charlotte offre, dunque, a Southey la risposta che questi si aspettava: dimessa e ubbidiente, in linea con i tempi e con il ruolo squisitamente domestico e subalterno della donna dell’Ottocento, un’epoca in cui si riteneva indecoroso, per una donna, compiacersi della propria arte, anche se esercitata soltanto per svago.

Chi era Charlotte Brontë?

Eppure, la vita delle sorelle Brontë era tutta dedita alla letteratura e alla scrittura.

Orfane di madre, morta quando la prima dei sei figli -Mary- aveva solo sette anni, le figlie del reverendo Patrick Brontë ed il loro fratello Branwell vissero nell’austera canonica paterna, immersa nella brughiera, fino a quando il padre non le mandò in un collegio femminile dove, per la rigida disciplina e per le restrizioni alimentari, le sorelle più grandi, Mary ed Elisabeth, si ammalarono, fino a morire prematuramente.

La tragedia indusse il padre a riportare a casa le figlie Charlotte ed Emily.

Qui le ragazze vivevano felici per il contatto con la natura aspra e selvaggia della brughiera e per la possibilità di dedicarsi alla lettura di giornali e libri di cui la loro casa abbondava. Le letture f avorivano ancora di più la loro attitudine alla scrittura, e, immerse in un mondo fantastico, creavano racconti e poesie.

Un amore così profondo per la scrittura, dunque, non poteva svanire solo per un giudizio severo e Charlotte, nonostante la delusione provocata dalle parole del Poeta Laureato, continuò nel suo proposito di diventare una “scrittrice”.

Compiva, con grande senso del dovere, tutti i lavori e gli obblighi domestici che le venivano affidati ma, appena possibile, metteva su carta fogli e fogli di pensieri, riflessioni e fantasie inusuali per una ragazza che viveva nell’ambiente ristretto di Haworth.

Questo non le impediva di tenere i piedi a terra: educata alla frugalità e al rigore, considerava proprio dovere sollevare il padre dall’onere di mantenere lei e le sue sorelle e, come figlia maggiore, riteneva necessario trovarsi un’occupazione remunerativa.

Fu così che nel 1842, allo scopo di aprire una scuola tutta loro, Charlotte ed Emily, si recarono a Bruxelles, per concludere i loro studi e migliorare il loro francese.

Charlotte aveva ventisei anni, Emily ventiquattro.
Nessuna delle due aveva esperienza in campo sentimentale.
Charlotte era troppo ribelle per poter accettare di “stare zitta” di fronte ad un uomo.

«Non potrei mai stare tutto il giorno seduta con la faccia seria di fronte a mio marito» scrisse ad un’amica,
«Riderei, farei dell’ironia, direi tutto quello che mi passa per la testa» Ed ancora: «Non lasciarti convincere a sposare un uomo che non potresti mai rispettare; non dico amare… quanto alla passione travolgente sono convinta che non sia auspicabile…perché raramente, se non addirittura mai, è ricambiata… Sono abbastanza convinta che non mi sposerò mai.»

Eppure, fu proprio a Bruxelles che Charlotte incontrò l’amore, nella persona del professore di Retorica Costantin Hèger.

Centosettantacinque anni dopo …

Centosettantacinque anni dopo, accade che, in una sera di giugno del 2017, per quegli strani intrighi del destino, a duemila chilometri di distanza da Bruxelles, chi sta scrivendo abbia conosciuto il pronipote di Costantin Hèger.

Raccontarvi i risvolti di questa conoscenza è irrilevante ai fini della storia. Devo dire, però, che il suo nome è Paul Haskell, americano di nascita, residente a Parigi,

Paul è nipote di Paul Hèger (1846-1925) professore all’Universitè Libre de Bruxelles e stretto collaboratore di Ernest Solvay, autore, con il premio Nobel olandese, il fisico Hendrick Lorentz, delle regole dell’Istituto di Fisica.

Paul Hèger è l’ultimo dei quattro figli di Costantin (1809-1896), professore di retorica e prefetto dell’Athenées Royal de Bruxelles, nonché insegnante nella scuola privata della sua seconda moglie Claire Zoë Parent. La scuola dove si iscrissero Charlotte ed Emily nel 1842.

Nel raccontarmi questo evento, trattato in maniera piuttosto marginale nelle biografie di Charlotte Brontë, Paul Haskell suscitò in me una grande curiosità, soprattutto quando, con un sorriso sornione, mi raccontò gli avvenimenti che spinsero suo nonno Paul a donare, nel 1913, al British Museum la numerosa- e per l’epoca, scandalosa- corrispondenza tra Costantin e Charlotte …

Il “cigno nero” di cui si innamorò Charlotte

In una lettera di Charlotte alla sua amica Ellen – a maggio del 1842- il Professore era così descritto:

«Monsieur Hèger è Professore di retorica, un uomo forte e intelligente, ma dal temperamento oltremodo collerico e irritabile- un po' nero, brutto e con una faccia che cambia espressione- alle volte somiglia a quella di un gatto pazzo, altre volte a quella della jena ridens – occasionalmente abbandona queste pericolose attrattive per assumere un’aria che diresti cento volte più mite e cortese di quella di un gentiluomo (…)»

Insomma, Costantin aveva un fascino controverso che, però, fece breccia nel cuore della giovane Charlotte che soffriva tantissimo in Belgio, in un ambiente dove vigevano rapporti interpersonali freddi e distaccati.

«Qui nessuno mai s’infiamma di passione, la flemma che addensa il loro sangue è troppo collosa per mandarlo in ebollizione…Il “cigno nero”, Mister Hèger, rappresenta l’unica genuina eccezione alla regola (…)»

L’innamoramento per il Professore si fece strada lentamente ma fu inesorabile e, quando Charlotte lasciò Bruxelles -nel 1844- il legame venne coltivato attraverso una fitta, ma pressoché unilaterale, corrispondenza.

Alle lettere di Charlotte, infatti, Costantin rispose di rado: addirittura, alcune le strappò con disprezzo. Fu la moglie a trovarle e a ricucirle, pensando di trovare le prove di un tradimento. Ma non trovò niente, solo l’infatuazione di Charlotte che scriveva lettere bellissime:

«… è molto umiliante non saper dominare i propri pensieri, essere schiave di un rimorso, di un ricordo, schiave di un’idea fissa e dominante che tiranneggia lo spirito. Perché non posso aver per voi soltanto l’amicizia che voi avete per me, né più né meno?»

Addirittura, lui ad un certo punto delegò alla moglie le risposte e lei intimò Charlotte di scrivere non più di una lettera ogni sei mesi.
È evidente che Costantin Hèger non meritava affatto l’amore di una donna coraggiosa e moderna rispetto all’epoca vittoriana, come Charlotte Brontë.

Indimenticabile Charlotte Brontë…

Una donna che seppe dare voce alla propria esistenza.
Una voce “indimenticabile” che si afferma attraverso i suoi romanzi, da Jane Eyre a Shirley e Villette: romanzi forti e controcorrente, come lei.

Lei che riteneva fosse sbagliato dare per scontato che le eroine dovessero essere belle e lo dimostrò con una protagonista bruttina e piccoletta come Jane Eyre; lei che diventò scrittrice continuando ad assolvere i doveri che si confacevano ad una donna; lei che ebbe per le sorelle più piccole un amore materno e che seppe valorizzare i loro talenti con maggior convinzione rispetto ai suoi; lei che si innamorò di un uomo sposato, incurante dello scandalo che quell’amore avrebbe provocato; lei che aveva una visione moderna degli uomini che riteneva “strane creature”, educate male:

«… Le femmine sono protette come se fossero deficienti, mentre i maschi vengono lasciati liberi nel mondo come se fossero più saggi fra tutti gli esseri viventi e non potessero perdere la retta via.»

Per pubblicare i loro romanzi le sorelle Brontë adottarono lo pseudonimo maschile dei Fratelli Bell.

Jane Eyre uscì con lo pseudonimo di Currer Bell; Cime tempestose di Emily con lo pseudonimo di Ellis Bell e Anne, col nome di Acton Bell, pubblicò Agnes Gray.
Jane Eyre ebbe un successo immediato. In una recensione del 1847 fu dichiarato:

«Decisamente il migliore romanzo della stagione… Chiunque ne sia l’autore …»

Stesso successo non fu attribuito a Shirley, romanzo che Charlotte pubblicò nel 1849 col proprio nome. Lei scrisse così a chi la stroncò:

«Desideravo essere valutata come AUTORE e non in quanto donna, lei ha rozzamente impostato la sua critica proprio su una questione di genere… forse non riuscirà a capire perché mi addolora… eppure il dolore c’è ed anche l’indignazione»

Charlotte morì nel 1855, probabilmente per iperemia gravidica. Aveva sposato, per volontà del padre, un reverendo anglicano. Aveva quarantuno anni. Tra il 1848 e il 1849 erano morti il fratello Branwell e le sorelle Emily e Anne.

A noi resta la sua voce, unica ed indimenticabile.