RAGAZZA, DONNA, ALTRO – di Bernardine Evaristo

Recensione di Veronica Sicari

ragazza donna altro

Ragazza, donna, altro è una raccolta di racconti di Bernardine Evaristo, edita da Sur nel novembre 2020.

Con Ragazza, donna, altro, Bernardine Evaristo si è aggiudicata il Man Booker Prize, a parimerito con Margaret Atwood.
Con riguardo a questo testo forse è improprio, o quanto meno riduttivo, parlare di una semplice raccolta di racconti. Si tratta, più correttamente, di un vero e proprio romanzo corale.

Nei singoli capitoli che compongono le cinque parti nel quale è suddiviso, viene narrata la vita di ognuna delle protagoniste, tra loro intrecciate con fili talvolta più robusti, talvolta più esili, in una rete di connessioni che richiama le teorie femministe più recenti.

Ed invero, le vite raccontate hanno diversi punto di contatto, sono legate da parentele di sangue o di amicizia. Sono storie di integrazione, di accettazione e di autocoscienza.

L’occasione che dà il via alla lunga narrazione, che per punteggiatura e stile utilizzato (dalla prima alla terza persona, dal discorso diretto a quello indiretto) ricorda il flusso di pensiero tanto caro a Virginia Woolf, è il debutto al National Theatre di Londra dell’opera teatrale di una delle protagoniste, Amma.
Bernardine Evaristo si fa carico di mostrare la multiculturalità della società inglese contemporanea, e le difficoltà che le donne afrodiscendenti, forse più degli uomini, hanno dovuto affrontare per trovare il loro ruolo in quel frenetico mondo che cambiava velocemente. La complessa ricerca di un punto di incontro tra la propria appartenenza etnica e la spesso tracotante e respingente occidentalità.

Amma e le altre sono, infatti, afrodiscendenti, benché di nazionalità britannica: le loro storie costituiscono, di fatto, un pretesto per parlare di intersezionalità. Amma, è femminista, nera e omosessuale, ha incarnato per diversi anni della propria vita l’outsider, un’artista che, per dirla con le sue parole:

“ha passato interi decenni nella nicchia, da ribelle, a lanciare bombe a mano contro l’establishment che la escludeva finché il mainstream non ha cominciato ad assorbire ciò che un tempo veniva considerato estremo, e lei si è ritrovata a sperare di entrarci cosa che è successa solo tre anni fa quando alla guida del National Theatre è arrivato il primo direttore artistico donna.”

Scopriamo la sua storia, dall’adolescenza ai primi passi nel teatro, narrata in prima persona ma anche dalle altre, in un gioco di scatole cinesi grazie al quale l’autrice riesce, con poche battute, a caratterizzare i suoi personaggi, regalandoci delle personalità complesse e realistiche, sebbene talvolta eccentriche.

Il racconto prosegue con Yazz, figlia di Amma, e del suo modo di vivere la propria condizione di giovane donna, figlia di artisti, totalmente imbevuta nella modernità della sua epoca, ma alla costante ricerca delle proprie origini e radici. Grazie a Yazz, l’autrice ha l’occasione non soltanto di tratteggiare la difficile situazione dei giovani neolaureati, ma anche di introdurre la complessità del rapporto madre-figlia:

“è lei il sostegno emotivo della madre, lo è sempre stata e
sempre lo sarà.
è il fardello dei figli unici, specialmente se sei femmina
e quindi più affettuosa per natura”.

Il rapporto madre-figlia è analizzato anche nella storia delle vite di Bummi e Carole. In questo caso, a fronte del desiderio della madre di trasmetterle le tradizioni del proprio paese d’origine, la Nigeria, fa da contraltare il disperato tentativo della figlia di integrarsi a pieno nella società britannica, anche a costo di rinnegare le proprie radici.

Tutte le protagoniste hanno ben chiaro il peso del colore della loro pelle e dei propri natali, in una società non ancora pronta ad ammettere la diversità.

Ne è consapevole Bummi, laureata a pieni voti in matematica in Nigeria, che finisce per comprendere, quando era già troppo tardi che

“quella laurea di prima classe presa in un paese del Terzo Mondo non avrebbe avuto alcun valore nel suo nuovo paese.”

Decenni, secoli di ingiustizie e dolore appesantisce il loro cammino. Lo percepisce la controversa Nzinga che, dopo esser stata in viaggio in Ghana, confessa a Dominique lo sgomento provato dinnanzi alle stanze nelle quali venivano rinchiusi i prigionieri africani prima di essere spediti in America come schiavi:

“in quel momento tutta la storia dolorosa di quattrocento anni di schiavitù mi è entrata nel corpo come non era mai successo prima e non ce l’ho fatta, sono scoppiata a piangere”.

Nelle storie delle protagoniste si mescolano anche le tematiche connesse alla lotta di emancipazione femminista, e del discutibile ruolo della donna nel matrimonio.

Vite straordinarie, come quella di Hattie, o tremendamente ordinarie, come quella di Shirley, e tuttavia connesse in un’unica narrazione.

“si rese conto che quello che finora aveva ritenuto un suo problema personale era, in realtà, applicabile a molte donne, a masse intere di donne, costrette dai mariti a restare a casa quando sarebbero state più che disposte a impiegare utilmente il cervello come forza lavoro qualificata, donne come lei, che impazzivano di noia e di banalità.

Penelope si imbarcò nella missione di convincere Giles a farla tornare al lavoro, mentre lui ancora insisteva perché rimanesse a casa, com’era nell’ordine naturale delle cose fin dall’inizio dei tempi
io caccio – tu badi alla casa
io porto a casa la pagnotta – tu fai il pane
io faccio i bambini – tu tiri su i bambini. […]
finché una mattina lui spaccò con un pugno la vetrata della porta d’ingresso, urlandole che era fortunata se il pugno non se l’era beccato in faccia prima di andarsene sbattendo la porta.”

Anche il tema del privilegio, inteso come possibilità di godere di vantaggi preclusi o concessi in base alla classe sociale di provenienza, viene affrontato dall’autrice in maniera efficace. Esempio evidente è il raffronto tra la storia di riscatto di Carole e la china intrapresa dalla sua compagna di
scuola, LaTisha.

Tracciando questi appassionati percorsi di autocoscenza e scoperta di sé, l’autrice affronta anche la questione queer.
Interessante il personaggio di Megan/Morgan, che si autodefinirà, ad un certo punto, non-binary:

“Megan era in parte etiope, in parte afroamericana, in parte del Malawi e in parte inglese che a suddividerla così suonava strano, perché di base era
semplicemente un essere umano tutto intero.”

Forse è proprio questo il messaggio, forte e potente, che scaturisce da questa mirabile opera, Ragazza, donna, ragazza, di Bernardine Evaristo: nonostante, parafrasando il celebre verso di Walt Whitman, ognuno di noi contenga moltitudini, altro non siamo – e forse proprio questo siamo – esseri umani tutti interi.

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Sinossi

Una grande serata per Amma: un suo spettacolo va in scena per la prima volta al National Theatre di Londra, luogo prestigioso da cui una regista nera e militante come lei è sempre stata esclusa. Nel pubblico ci sono la figlia Yazz, studentessa universitaria armata di un’orgogliosa chioma afro e di una potente ambizione, e la vecchia amica Shirley, il cui noioso bon ton non basta a scalfire l’affetto che le lega da decenni; manca Dominique, con cui Amma ha condiviso l’epoca della gavetta nei circuiti alternativi e che un amore cieco ha trascinato oltre­oceano…

Dalle storie (sentimentali, sessuali, familiari, professionali) di queste donne nasce un romanzo corale con dodici protagoniste: etero e gay, nere e di sangue misto, giovani e anziane; impiegate nella finanza o in un’impresa di pulizie, artiste o insegnanti, matriarche di campagna o attiviste transgender.

Cucite insieme come in un arazzo, le loro vite (e quelle degli uomini che le attraversano) formano un romanzo anticonvenzionale e appassionante che rilegge un secolo di storia inglese da una prospettiva inedita e necessaria.
Titolo: Ragazza, donna, altro
Autore: Bernardine Evaristo
Edizione: Sur, 2020