Perché respiri ancora di Lorenzo Bottone

Giorni infiniti, confusi con la notte. Perpetui nei loro moti. Mischiati con il tempo che sembra fermo, incapace di passare.

Quanti ne ho attraversati, senza difese, a mani nude. Recuperando brandelli di cuore sconquassato, sparsi qua e là tra i corridoi della vita: lunghissimi tunnel, freddi e silenziosi, dove combatti a più riprese con te stesso, cercando di non finire al tappeto e di restarci per sempre. Battagliando quei continui pensieri che logorano, subdoli, la mente, annullando qualsiasi parvenza di identità rimasta. Provando a resistere a chi trita e ritrita sentimenti e volontà col solo intento di ridurti in anonima poltiglia, di cui, poi, non si sa che fare. Quindi da buttare.

Profonde, mastodontiche gallerie interrate nello spirito, dispiegate fino ai punti più remoti dell’esistenza. Buie da far tremare i polsi e incutere paura.

Cresciamo così, con la fobia del buio, in cui il nero occulta ogni traccia di vero.

Eppure si dice che l’apparenza inganna. Che non è tutto oro quel che luccica. Per ogni cosa ci sono aspetti negativi e positivi. Pro e contro. Limiti e pregi. Come nelle persone.

Liberi di scegliere se soffermarsi solo sulle negatività, così da convincersi che sia tutto brutto, da evitare, oppure valutare anche gli aspetti positivi, le qualità esclusive che non potrebbero essere trovate altrove. E dare il giusto peso. L’equilibrio alle cose.

Perché proprio quello che potrebbe sembrare soltanto il limite del buio, il suo difetto marchiano, in realtà ne è anche la qualità più importante. Necessaria. Nel buio più cupo, infatti, risalta la luce, anche una piccolissima fiammella diventa distinguibilissima. Riconoscibile. In pieno chiarore sarebbe anonima.

E se anche un piccolo scintillio acquista tale valore, figuriamoci un bagliore: riesce ad orientare, a far ritrovare la strada. A salvare. Perché il buio diventa una condizione di vita quando si sgretolano le sicurezze di cui ci fidavamo. Soprattutto quando si trasformano, per proprio volere, le persone sulle quali avevamo costruito, ponendole come basamenti imprescindibili per la nostra esistenza.

Sbagliando.

Per eccesso di fiducia, in buona fede, ma sbagliando. Clamorosamente. Pochi sono in grado di saper essere certezza. Molti di più sono quelli capaci di rottamare relazioni e persone, come giocattoli vecchi che hanno stancato. Abili nel rispondere soltanto alla vocazione del proprio egoismo.

È proprio allora, mentre zoppicanti si va a tentoni nell’oscurità per trovare un’uscita, che può comparire una luce in lontananza. Dalle inaspettate sembianze umane. Con un nome, una storia. Ossigeno che rianima chi, ogni giorno, rischia di soffocare per asfissia emotiva. La boccata di aria buona che rimette in circolo sangue pulito. Brezza fresca di un mattino d’estate capace di convincere che sarà una giornata gradevole, anche se sai che poi farà caldissimo. Lo scoglio a cui aggrapparsi per non lasciarsi travolgere dalla tempesta, dalla forza becera delle onde impazzite, dai flussi violenti del mare che travolgono tutto.

Con un cuore. Soprattutto con un cuore.

E mentre il tuo si è fermato, sfinito dalle tante botte prese, sanguinante per essere andato in guerra all’arma bianca, senza armature né protezioni, ammaccato per essersi schiantato contro un muro che non si è lasciato scavalcare neanche dall’amore, senti una carezza dolce che sfiora lividi e ferite. Senza far male. Discreta. Delicata.

E ti accorgi che non tutto è finito.

Perché respiri ancora.

 

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