“Mary e la rivincita di Frankestein”

di Erica Brusco

 

16 giugno 1816

Arroccata sul pendio di roccia, si ergeva l’austera facciata di Villa Diodati, la «bellissima villa con le Alpi alle spalle, e il lago di fronte» che Lord Byron aveva preso in affitto a Cologny, vicino a Ginevra.

Era un’estate molto particolare: l’anno precedente in Indonesia, nell’isola di Sumbawa, c’era stata una potente eruzione del vulcano Tambora che aveva lanciato nell’atmosfera ingenti quantità di cenere vulcanica. La temperatura globale si era così abbassata influenzando tutto il globo anche l’anno successivo che, per il clima gelido e inconsueto, fu soprannominato “anno senza estate”.

La giovanissima Mary si affaccia alla finestra. Quando alza lo sguardo sulle montagne, un fitto velo di nebbia bianca si stende sotto un cielo ingombro di nuvole. Il maltempo imperversa ingabbiando il sole in una sorta di penombra sinistra. Tutto fa respirare un’inquietante seppur calma fissità.

Solo le fiamme del camino riscaldano i muri nella loro danza scoppiettante.

«Temo che la nostra passeggiata sia da rimandare anche oggi.» Sbuffa Mary, rimettendo la tenda al suo posto. La noia oramai la spazientisce. Spirito inquieto, non le riusce di stare ferma.

Lord Byron, il suo medico personale John Polidori e Percy, compagno di Shelley, sono riuniti nel salotto immersi nella lettura di storie germaniche di fantasmi, quando Lord Byron ha un’illuminazione. A mezzogiorno si legge alla luce delle candele, i libri scarseggiano, si leggono e rileggono le stesse storie di fantasmi.

«Cari amici di letture e poesie, perché non facciamo una gara di scrittura?»

«Una gara?» Ripete Percy.

«Sì, ognuno di noi dovrà scrivere una storia terrificante da leggere nei prossimi giorni.»

Mary sorride, intrigata dall’idea. É una combattente. Le piacciano le sfide.

«Mi sembra un’ottima idea.» Dice.

Le sue parole sono seguite da una sonora risata di Lord Byron.

«Perché questa risata?» Chiede lei.

«Una donna che scrive storie di paura? Mi pare molto improbabile che possa vincere.» La canzona.

Le ragazze dovevano essere gentili
e obbedire alle regole.

Le ragazze dovevano essere silenziose
e ingoiare punizioni e dolore.
La bandirono dalla società
perché amava un uomo sposato.
Gli amici la oltraggiarono.
Il padre la cacciò di casa.
Ma lei non si nascose.
Non si lasciò zittire.
Lottò contro la crudeltà della natura umana.
Scrivendo.

Risponde Mary con i suoi versi. Detesta quello stereotipo maschilista. Ha preso della madre, che tanto aveva lottato per i diritti delle donne.

 «Non avertene a male Mary, partecipiamo tutti.» La sostiene il compagno.

Ecco, dunque, il barone Dottor Victor Frankenstein, l’aristocratico infelice e tormentato che, affascinato dai magnifici progressi della scienza moderna, vuole creare una essere incapace di dolore, intelligente e umana. Une creatura che sfiderà la morte.
Purtroppo, però, la Creatura a cui darà vita è mostruosa, ripugnante, infelice e solitaria. Ricambia l’antipatia degli umani uccidendo quelli più vicini al suo creatore, tra cui la sua fidanzata, Elisabeth. Insegue, poi, il barone colpevole della sua nascita per mezzo mondo, fino al polo Nord, dove, travolto dall’umana e incurabile infelicità, si dà fuoco per evitare che altre creature seguano le sue orme.

 

 

 

 

 

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