La ciclicità femminile e l’autoderminazione
di Sara Lea Cerruti
I temi della ciclicità femminile, della sessualità e dell’identità delle donne mi affascinano sin dall’adolescenza, poiché dovetti rivolgermi a svariate “professioniste” (ginecologhe e psicologhe) per sbloccare la mia irregolarità e i forti conflitti vissuti con le figure genitoriali.
Dopo un breve periodo di assunzione della pillola e inconcludenti sedute psicoterapeutiche assai costose, decretai che quelle “professioniste” non avrebbero continuato a “testare” su di me le loro teorie empiriche spacciate per “scientifiche”.
Fortunatamente, durante gli anni del liceo psicopedagogico ebbi modo di fare un piccolo stage di qualche mese presso una scuola materna: in quei pochi mesi il mio ciclo mestruale fu più che regolare.
Ingenuamente, attribuii questa regolarità al contatto con i bambini, ma in seguito capii che fu l’essermi assunta la responsabilità per la mia ciclicità a migliorare considerevolmente la situazione.
Iniziai così ad interrogarmi su quanto i condizionamenti familiari e sociali producono una visione distorta della nostra femminilità e come questa si manifesti nei tanti disturbi della nostra ciclicità.
Sappiamo da tempo che le emozioni e gli ormoni sono intrinsecamente collegati, ma ancora sottovalutiamo quanto peso abbiano le somatizzazioni sulla nostra salute: esempi comportamentali negativi, pregiudizi e tabù, infatti, possono produrre una catena di sentimenti mortificanti nella psiche di un/a bambino/a.
Dal 2007 lavoro come educatrice minorile e nel sostengo alla genitorialità.
Contemporaneamente, in questi dieci anni, mi sono interessata di medicina integrata, spiritualità femminile, psicologia junghiana, femminismo e diritti civili, convogliando le mie teorie in workshop e gruppi di studio.
Dopo alcune specializzazioni, da qualche anno offro consulenze e percorsi individuali volti a sostenere giovani e adulte nella costruzione di un’identità femminile in grado di sbloccare autonomamente eventuali disturbi della ciclicità. Il mio percorso è molto articolato e in questi dieci anni ho avuto modo di seguire da vicino gli sviluppi di svariate correnti di pensiero legate alla costruzione identitaria del femminile moderno.
Autrici come Paula Weideger (“Mestruazioni tra fisiologia e psicologia, tra mito e realtà” del 1977 – USA), Clarissa Pinkola Estés (“Donne che corrono coi lupi” del 1992 – USA), Lara Orwen (“Her Blood is Gold” del 1993 – Inghilterra), Raffaella Malaguti (“Le mie cose” del 2005 – Italia) e Alexandra Pope (Mestruazioni” del 2007 – Australia) sono state tra le prime scrittrici a cercare di sfatare “miti e tabù” sulle mestruazioni
Si sono aperte le porte ad un genere letterario che nel 2015 è “esploso” mediaticamente, portando testate giornalistiche come il “The Guardian” o “Internazionale” a nominare il fenomeno come una vera e propria “Rivoluzione Mestruale”.
Dalle “pioniere” del genere si sono poi diramate differenti correnti di pensiero: la più “spirituale” è nata dalla vecchia new age degli anni ’90 e ha spopolato con il crescente fenomeno della “spiritualità femminile”: secondo questo filone, le potenzialità della donna vengono equiparate alla Grande Madre (che tutto crea e distrugge, senza doversi giustificare).
Il secondo filone, quello più “politico”, è nato con i movimenti femministi di seconda generazione (chiamati anche “girl power”), che alimentano di più gli interessi individuali che il benessere delle comunità di cui si occupano.
Nel filone “spirituale” troviamo oggi autrici come Elena Piarollo (“Sangue Magico” del 2010 Italia), Miranda Gray (“Luna Rossa” del 2011 – Inghilterra), Deanna L’am (“Da fanciulla a donna” del 2013 – USA) e Sajeeva Hurtado (“Piena di vita” del 2017 – America Latina), le quali basano l’attendibilità dei loro scritti incastrando a forza le teorie della medicina integrata con la psicoanalisi junghiana e teorizzando una serie di feticci per “guarire” i principali disturbi del ciclo femminile.
In tutte le sfumature del fenomeno, il tratto comune è l’esasperazione della figura della “Donna-Dea” che esalta sé stessa in una spirale di dipendenza con donne con cui fare “fronte comune” contro chi non ha “vera” fede nella Dea.
Per approfondire quest’ultimo discorso, suggerisco la lettura di “L’aggressività femminile” della psicanalista Marina Valcarenghi.
Nel secondo filone, cioè quello “femminista-ecologista”, troviamo autrici recenti come Erika Irusta (“Diario de un Cuerpo” del 2017- Spagna), Elise Thiebaut (“Questo è il mio sangue” del 2017 Francia), Demi Spaccavento (“The Bright Girl Guide” del 2018 – Australia) e Nadua Okamoto (“Period Power” del 2018 – USA) che basano l’attendibilità dei loro scritti incastrando a forza la psicologia spiccia del coaching/counseling “al femminile” con il femminismo di seconda generazione chiamato dai media “girl power” o “femminismo bianco” (emerso prepotentemente sui social dopo i fatti del 2015 in cui alcune influencer furono censurate da Instagram, perché avevano mostrato pubblicamente del sangue mestruale).
Questo neofemminsmo tende ad inglobare in sé l’attivismo ambientalista-animalista e l’attivismo per i diritti degli LGBT+Q, demonizzando il “patriarcato” senza, però, sapere realmente cosa esso sia.
Molti degli atteggiamenti di “empowerment” volti all’autodeterminazione femminista strumentalizzano il ruolo (e il corpo) delle donne, legittimando atteggiamenti sessisti che mantengono lo “status quo” e permettono ad alcune categorie di donne bianche (di ceto medio-alto) di ricoprire posizioni economicamente vantaggiose nei contesti più disparati (soprattutto nelle multinazionali).
Per approfondire quest’ultimo discorso, suggerisco la lettura di “Perché non sono femminista” dell’attivista americana Jessa Crispin.
Un ultimo neo-filone è nato recentemente per “rivalsa” rispetto agli altri due: quello di stampo medico-scientifico.
Ultimamente molte ostetriche, ginecologhe, neurobiologhe, psicologhe, psicoterapeute, dietiste, ecc. lamentano le “invadenze” di altre professioniste (che non ritengono altrettanto professionali) nel loro campo d’influenza, in particolare sul versante “fertilità e procreazione”.
Autrici come la Dott.ssa Alisa Vitti (”Women Code” del 2016 – USA), la Dott.ssa Lara Briden (“Period Repair Manual” del 2017 – USA), la Dott.ssa Nina Brochmann (“Il libro della vagina” del 2017 – Norvegia) e la Dott.ssa Pabla Perez (“Ginecologìa Natural” del 2018 – Spagna) portano avanti campagne di informazioni “corrette” rispetto al tema della ciclicità femminile, per ritornare in vetta tra le professioniste di settore dopo che, per quasi un secolo, il monopolio farmaceutico ha garantito a queste categorie “scientifiche” di svolgere svariati esperimenti sulla fertilità delle donne, a discapito delle donne stesse.
Fatti eclatanti di poca professionalità si ritrovano nell’aumento dell’obiezione di coscienza, nell’incremento degli studi su anticoncezionali e pillole abortive, nella pressoché totale assenza nei consultori comunali e, parallelamente, nella crescente apertura di studi privati costosi.
Per approfondire quest’ultimo discorso, suggerisco la lettura di “Aborto: perdita e rinnovamento” della psicoterapeuta Eva Pattis Zoja.
Quindi, in questo rimescolamento di ruoli, non si “salva” nessuno?
Dipenderà dagli esiti. Il panorama letterario sul genere è talmente in fermento da non poter stabilire ad oggi come esso evolverà: la globalizzazione “a fini commerciali” del femminismo e l’accesso ad informazioni “lampo” e “superficiali” di qualsiasi tipo tramite i social portano la ricerca pedagogica e sociologica di cui faccio parte a domandarsi come il fenomeno si ripercuoterà sulle generazioni future.
In questo panorama di scoperte solo apparentemente “rivoluzionarie” (siamo più nell’ambito della “scoperta dell’acqua calda” che di vere novità), la maggioranza delle donne si trova ancora, dopo secoli, a fare i conti con una realtà che le priva di autonomia intellettuale: nessuno di questi filoni di pensiero “al femminile” riesce, di fatto, a non strumentalizzare il libero arbitrio, la politica, l’economia, il corpo femminile o la religione per convalidare la propria tesi e “surclassare” le altre professioniste sul “podio” della vittoria.
L’ideale sarebbe fare un passo indietro e domandarsi dove si vuole arrivare.
Le società cambiano in base alle necessità dei soggetti che le vivono ogni giorno.
Pensare in termini capitalistici porta molte professioniste/femministe/religiose all’arrogante conclusione di essere le uniche a sapere cosa sia meglio fare e pensare per noi donne (e a imporlo attraverso tutta una serie di strumenti più o meno dubbi).
Ragionare in termini comunitari, invece, significa riconoscere la possibilità di ognuna di noi di autodeterminarsi, offrendo “semplicemente” il proprio esempio personale e il proprio sostegno professionale: è nella relazione con l’altro da noi, con il “diverso”, che riusciamo a vedere chi siamo e come possiamo migliorarci tutte inseme.
In questo discorso ho volutamente escluso l’incidenza degli uomini nella costruzione di una nuova identità femminile: non per sottolinearne una potenziale inutilità, ma perché ritengo che per parlare della nostra controparte maschile si debba fare un passo indietro e riconoscerne un ruolo altrettanto in evoluzione.
La trasformazione dell’identità femminile (e maschile) delle nuove generazioni deve essere accompagnata attraverso il riconoscimento delle peculiarità (fisiche, emotive, psicologiche e spirituali) di ogni singolo individuo, permettendogli di inserirsi positivamente nel contesto sociale in cui vive.
Credo sinceramente nella necessità di trovare al più presto punti di contatto interdisciplinari tra professioniste che permettano di costruire una “criticità creativa” nella mente di chi s’interroga su di sé come donna e come parte attiva di una comunità in continua evoluzione.
Fortunatamente molte operatrici di settore, stanno giungendo alle mie stesse conclusioni per far fronte al crescente bisogno di creare esempi propositivi per le nuove generazioni.
Il mio augurio è quello di vedere al più presto professioniste in grado di costruire un dialogo costruttivo tra loro e creare nuovi strumenti per donne (e uomini) che desiderano impegnarsi attivamente nel costruire insieme una società in grado di sostenere veramente le necessità di ogni suo partecipante.