Il patto dell’acqua di Abraham Verghese

Voce al Sogno
Recensione di Tiziana Tixi

 

il patto acqua

 

 

Il patto dell’acqua è un romanzo di Abraham Verghese edito da Neri Pozza nel 2023. Il testo è arricchito dai disegni di Thomas Verghese; ingegnere e artista, è cugino dell’autore.

Di cosa tratta Il patto dell’acqua?

Il patto dell’acqua è una saga familiare; essa abbraccia tre generazioni, dal 1900 al 1977. Ma l’epopea di Parambil si nutre di altre storie; di altre piccole epopee personali. Come corsi d’acqua sparsi, esse confluiscono l’una nell’altra; e, insieme, gonfiano il fiume da cui tutto è iniziato e in cui tutto finisce.

Una storia macchiata dallo stigma di un oscuro Morbo; un “tumore del pensiero”. Una patologia che annovera tra i sintomi anche l’eccentricità. E a volte uccide.

Piangono e si stringono, madre e figlia. Per l’ultima notte dividono il letto; per l’ultima notte ognuna respira il respiro dell’altra. Il giorno dopo la bambina andrà sposa; un buon matrimonio, con un uomo facoltoso. Ma perché quell’uomo dovrebbe sposare una ragazza povera, priva di dote? Forse le nascondono qualcosa?

Egli ha quarant’anni, è vedovo; ha un figlio. La madre si arrende al languore; la bambina ascolta. Ascolta il sonno della donna; ascolta il grido del cuculo; ascolta il mormorio del torrente. Poi la prima immagine dell’ultima alba; il bagliore argenteo dell’acqua nella risaia.

Eccolo, lo sposo; odora di terra. E di sgomento. Dovrebbe prendere in moglie quella bambina tremante? Lui che ha già un figlio da allevare? Allora fugge. Ma cosa ne sarebbe di lei, abbandonata davanti all’altare?
Sarebbe condannata alla solitudine, marchiata dal disonore. Lo sposo traccia una croce sul registro; la sposa vi scrive il proprio nome. Sono marito e moglie.

Un silenzio assordante avvolge Parambil; un’assenza inquietante accoglie la bambina: manca l’acqua. Manca la sua voce familiare, rassicurante. La nuova signora è una figlia senza madre, una moglie ancora figlia.

La terra di Parambil è terra di mezzo verso l’età adulta; la sposa affonda i piedi nell’infanzia. Di notte le lacrime di molay sono un silenzioso grido di nostalgia; di giorno è lei stessa ammachi. È la “mammina” di JoJo, il figlio di suo marito; ognuno vede nell’altro la propria solitudine.

E diventano madre e figlio. Il giorno in cui compie sedici anni, ella lascia per sempre la terra di mezzo. Quel giorno i suoi occhi vedono in piena luce ciò che era nell’ombra. I silenzi di suo marito sono ascolto; l’ascolto si traduce in premurose attenzioni.
Comprende che egli è come una noce di cocco; coriaceo all’esterno, pieno di un prezioso tesoro. Quella notte conduce la moglie oltre la soglia dell’infanzia; ella diventa donna. Così la ritrova sua madre; donna, degna moglie del thamb’ran, signora di Parambil.

E quasi mamma; la giovane molay aspetta un figlio. Il suo grembo serba la Vita che terrà in vita Parambil; ella sarà la matriarca: tutti la conosceranno come Grande Ammachi. La Grande Madre della dinastia; e della comunità. Dea Madre creatrice; di uomini e donne, di libertà e liberazione.

La scuola, l’ospedale; creature nate dalla sua volontà e per sua volontà. Ella dà alla luce una femmina; Baby Mol, due volte bambina. Questo resterà il suo nome, questo resterà lei stessa.
Bambina, donna; donna bambina. Il Morbo, dormiente nella genealogia di Parambil, rivendica una preda. Spia; sceglie; attacca. Grande Ammachi non può più ignorare quella maledizione; non può più ingoiare le domande, soffocare i dubbi. Non può e non vuole; ora ha una figlia.

Suo marito le porge una triste eredità familiare; è una logora pergamena.
Rappresenta l’Albero dell’acqua; esso indica i nomi degli antenati e i sintomi di ciascuno.
Una croce sull’acqua è il simbolo di chi è morto per annegamento. Il compito di redigere questi lugubri annali è affidato alle donne. Grande Ammachi sa che toccherà anche a lei scrivere con mano tremante il nome di uno dei suoi cari.

“Signore, forse non vuoi guarirci da questo male per ragioni che non capisco. Ma se non puoi o non intendi farlo, allora mandaci qualcuno che può”.

Il Morbo è infido; nemmeno il dottor Rune è in grado di formulare ipotesi, meno che mai diagnosi. Egli è un medico di buon cuore; la Medicina è una missione. Rune fonda il lebbrosario di Saint Bridget, un luogo nevralgico per tutta la vicenda. Lì si incrociano le vite
di tanti personaggi; lì iniziano e finiscono alcune storie; lì si decidono alcuni destini.

All’età di trentacinque anni Grande Ammachi è di nuovo incinta; Philipose è l’erede maschio, il futuro thamb’ran. Ma non c’è pace per lei, né per Parambil; stirpe maledetta, stirpe malata —c’è differenza?

L’Albero dell’acqua si arricchisce di un nome. Philipose ha solo dieci anni quando salva la vita a un bambino. Grande Ammachi desidera ardentemente che il figlio diventi medico; forse Dio ha voluto indicargli quella missione? No; piuttosto gli ha indicato che non regge la sofferenza e la malattia.

Philipose non ha dubbi sulla propria vocazione; cos’è altrimenti quella passione per la parola scritta? Cos’è quell’estasi per il magico modo in cui essa lo trasporta in terre lontane? Il ragazzo arriva a Madras gonfio di speranze; le prime lezioni al Christian College sono deludenti.

Qual è il problema? Philipose non è inadeguato, non ha difficoltà di apprendimento. Ma un problema c’è. Insormontabile. Il Morbo agisce su di lui in modo subdolo. Egli torna a Parambil sconfitto ma non vinto; farà di quel brusco risveglio un sogno luminoso. La vita sta tessendo il futuro di Philipose; sul treno che lo porta a casa incontra una ragazza. Possibile che sia proprio lei? Sì, è la bambina che egli aveva conosciuto al Saint Bridget; ora giovane donna. Una bellezza indiscutibile unita a un ingegno brillante; e a un portentoso talento artistico.

Il viaggio in treno assume il valore di una epifania; due certezze si rivelano a Philipose. La terra di Parambil è nella sua carne, nelle sue ossa; ogni sua cellula è nella terra di Parambil. Elsie sarà sua moglie; a qualsiasi costo.

Farà di tutto per essere degno di quella creatura fuori dal comune. Il giovane vince un concorso letterario; diventa l’Uomo qualunque che parla dalle pagine di una nota rivista. È arrivato il momento; si sente pronto per chiedere la mano di Elsie. L’Uomo qualunque ha compiuto un’impresa straordinaria; quella donna tanto voluta ora dorme accanto a lui: è sua moglie.

La loro vita è un idillio; Philipose scrive le sue “unfiction”, Elsie dipinge. E dà alla luce un maschio. Lo spettro del Morbo è sempre in agguato; il buio cala su Parambil. Ognuno sceglie di perdere l’altro; ma nessuno vive per sé, ché ognuno ha perso il proprio sé. Grande Ammachi vive per tutti.

La nuova luce è Mariamma. Mariamma, come la nonna paterna; solo adesso conosciamo il nome di Grande Ammachi. Ma per Philipose quella creatura è l’ennesimo tradimento di Dio; una femmina: sua figlia. Nipote e nonna sono legate come il tralcio alla vite, anche in senso evangelico; saranno per sempre l’una nell’altra, unite dal sangue e dal nome. E dall’amore.

Mariamma è un Paraclito. È stata mandata a consolare la gente di Parambil; una benedizione di cui si accorge anche suo padre. La nascita è stata salutata con l’accensione di una lampada; che possa illuminare la sua strada. E così è. Mariamma vive la sofferenza, la vede intorno a sé, la tocca. I malati non sono piaghe, non sono organi infetti, o membra deformi; sono persone.

La coscienza del dolore svela a Mariamma la propria vocazione; sarà un medico. L’attesa messianica di Grande Ammachi è terminata; la sua preghiera è stata ascoltata. La missione di Mariamma è quella di dare un nome al Morbo che ha ucciso o menomato i suoi avi; di disarmarlo e vincerlo.

Perché solo se si conosce il nome del serpente è possibile cacciarlo. Lo studio di quella patologia metterà a nudo un segreto che squarcerà come un fulmine la vita della giovane; la luce ne illuminerà le origini e tanti strappi saranno ricuciti.

Perché leggere Il patto dell’acqua?

Un romanzo è finzione; innegabile. Altrettanto innegabile ciò che apprende Philipose; la narrativa è la grande bugia che dice la verità su come va il mondo. Mai una affermazione è stata più appropriata.

Il patto dell’acqua è una rappresentazione plastica del mondo; è il mondo. Verghese non risparmia dolori, non lesina drammi, non sempre prevede un lieto fine. Come accade nella vita. Spesso i suoi personaggi si trovano a sopportare l’insopportabile; ad affrontare prove dopo prove. Come accade nella vita. Vane sono le speranze, vane le preghiere. Come nella vita. Ma, come nella vita, da ogni dolore i personaggi escono purificati; e più forti.

Verghese tratta la sofferenza con una delicatezza tale da renderla tollerabile; la trasfigura in poesia dell’anima. Le pagine sono intrise di un misticismo autentico; di una energia buona, forte, selvaggia come l’istinto vitale.

Il patto dell’acqua è Fede; in Dio, certo. Ma anche nell’Uomo; in quella scintilla divina che è in ogni uomo, che lo rende capace di amare, di patire e com-patire. E di toccare il cielo, strappare le stelle; e restituirle ai propri simili nella mano che si tende, che guarisce, che accarezza.

È preghiera, come la vita stessa — se spesa per il Bene — è un inno di lode.

È il canto corale delle coscienze che formano la coscienza universale. L’Uno e il Tutto; l’Uno è il Tutto. La Realtà è reale, le forme, i corpi sono reali; ma la loro individualità è illusione. Tutto è maya.

Verghese è solito citare Rilke ai propri studenti; li esorta a “vivere la domanda”. Non serve affannarsi a cogliere ora il senso di ciò che accade. Viviamo hic et nunc; il tempo, che scorre come acqua di fiume, porterà con sé le risposte.

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Sinossi

Travancore, Costa di Malabar, 1900.

Una ragazzina di dodici anni cerca di prendere sonno tra le braccia di sua madre. Domani lascerà la casa in cui è cresciuta per andare sposa all’uomo cui è stata promessa. Colui che diventerà suo marito, il nuovo padrone della sua vita, ha trent’anni di più, è vedovo, con un figlio ancora bambino.

La piccola sposa va incontro al suo futuro così come è stato deciso da altri, come hanno fatto sua madre e la madre di sua madre prima di lei.

“Il giorno più brutto nella vita di una ragazza è il giorno del matrimonio. Poi, se Dio vuole, le cose migliorano” le viene detto.

Il vedovo è un buon partito, come loro è parte di quell’antichissima comunità di cristiani convertiti da san Tommaso diciotto secoli prima, e per qualche strano motivo accetta una moglie senza una rupia di dote, anche se si mormora che la sua stirpe sia afflitta da una strana maledizione: in ogni generazione almeno una persona muore affogata.

E in quello che oggi si chiama Kerala l’acqua è ovunque, plasma la terra in una trina di laghi e lagune, accompagna col suo canto sommesso le esistenze, si nutre dei monsoni, collega tutto nel tempo e nello spazio.

La sposa viene accolta con affetto nella nuova casa e, nell’arco della sua lunga, straordinaria vita, conosce la gioia di un grande amore, patisce il dolore di infinite perdite, assiste a cambiamenti epocali. La sua famiglia si espanderà e si ritirerà con le nascite e le morti.

Finché arriverà una nipote che porterà il suo nome, studierà medicina e giungerà a una scoperta sconvolgente.

Evocazione luminosa di un’India in cammino verso la sua trasformazione politica e culturale, celebrazione di un popolo antico immerso in una natura ancora prepotente, Il patto dell’acqua è il nuovo romanzo di Abraham Verghese, “che espone il lettore a una bellezza cui altrimenti non potrebbe accedere” (The New York Times); un libro-mondo di straordinaria potenza che custodisce tutti gli eventi preziosi dell’esperienza umana.

Abraham Verghese è medico, docente e vicepresidente del Dipartimento di Medicina presso la Stanford School of Medicine. Il patto dell’acqua è stato scelto da Oprah Winfrey per il suo Bookclub.

Titolo: Il patto dell’acqua
Autore: Abraham Verghese
Edizione: Neri Pozza, 2023