“Il rumore del silenzio”
di Fabiola Falcone

A me, Lei, non è mai piaciuta.

Per anni ho cercato di cambiarla ed ero convinta di essere riuscita nel mio intento ma, a quanto pare, mi sbagliavo.

Eccola là: seduta a quel tavolo, in mezzo a cinque tazze di caffè e tre cappuccini. Attorno a Lei ci sono persone solari e spigliate. Formano un simpatico quadretto.

Lei sorride, annuisce ma non parla.
Ancora una volta la vedo schiava dei suoi silenzi e incapace di esternare quello che ha dentro.

Siamo tornate a casa e abbiamo litigato.
Si é messa a piangere e mi ha rinfacciato il fatto di averla obbligata a stare in mezzo agli altri.

Mi dice: “In questi anni siamo state felici”.

Ha ragione. Stanca di vederla soffrire, ho deciso di assecondarla: ci eravamo isolate, rimanevamo solo io e Lei, proteggendoci a vicenda da quei fantasmi del passato che, stamattina, sono tornati a bussare alla nostra porta.

Avevamo costruito un mondo immaginario dove, per me, Lei era così perché era fatta così, ma non potevo vivere in eterno in quel mondo frutto della nostra fantasia; le sagome che incrociano il nostro cammino sono persone fatte di carne ed emozioni.

Sinceramente sentivo il bisogno di condividere le mie gioie non solo con Lei, avevo bisogno di riempire la mia vita con qualcun altro.

Ieri sera, a sua insaputa, sono uscita: due calici di vino, quattro risate, quel ragazzo carino che mi ha raccontato i fatti suoi, un’amica che cerca la mia complicità per spettegolare un po’, le ore passano rapide e, con il sorriso sulla bocca, torno a casa serena.

Non mi sentivo così felice da tanto tempo e mi accorgo che, a me, stare in mezzo agli altri e sentirmi parte di qualcosa piace tanto.

Proprio per questo, stamattina, l’ho trascinata a bere il caffè con i miei nuovi amici.
Ma nessuno la coinvolge nel discorso e, Lei, resta silenziosa.

Un’ennesima litigata, un’ennesima lacrima che scende dai suoi occhi.

Io e Lei ci conosciamo da sempre, da quando eravamo bambine: a quei tempi Lei condivideva con me il suo disagio, il dolore e le ferite causate da quel “ma tu non parli mai” che le diceva la gente, notando il suo silenzio.

Il suono delle parole non dette ci martellava e ci radeva al suolo.

Crescendo, io mi sono aperta al mondo esterno, ho cercato di allontanarla ma Lei era sempre presente e, quando notai la sua voglia di essere diversa, l’ho accolta nuovamente nel mio quotidiano.

So quanto le hanno fatto male quei tentativi di miglioramento non andati a buon fine.

E, allora, mi sono promessa che non smetterò mai di portarla fuori con me: la trascino a ballare, la espongo davanti al grande pubblico e la trasporto nel calore della gente.

Ho la speranza che un giorno si possa aprire anche Lei, che si sciolga da quell’imponente gabbia che si è creata e che possa cantare libera nel Mondo.

Lei continuerà a far rumore coi suoi silenzi, in questa costante lotta tra accettazione e cambiamento.

Lei non mi piace e non mi è mai piaciuta ma siamo giunte a un compromesso: Lei si sforza di cambiare, io cerco di accettarla come parte di me.