Il fregio della vita – di Emilio Jona

Recensione di Emma Fenu

fregio vita

Il fregio della vita è un romanzo di Emilio Jona edito da Neri Pozza nel 2019.

Il fregio della vita è una cicatrice nascosta nelle viscere, fra le pieghe delle illusioni e delle disillusioni.

È una carrellata di immagini compendiarie, fatte di pennellate pastose e umori, che si congiungono in un cerchio dove vagito e gemito si toccano, in un parto che è agonia senza soluzione di continuità.

E in quel frattempo fra alfa e omega, c’è eros, prima putto poi boia, angoscia e, infine, thanatos.

Pensate stia parlando solo del fil rouge, in senso letterale, dell’opera di Munch, quello nel cui urlo questa epoca si specchia,quello che ha intitolato “Il fregio della vita” una sua serie di ventidue opere.

No, vi parlo di una storia nella Storia, di un uomo e una donna nel e fuori dal tempo, come lo furono Adamo ed Eva scacciati dall’Eden, come lo furono nelle parole così drammaticamente laiche di Mark Twain.

Siamo a Vienna durante gli anni Trenta – Quaranta, quando una coppia di sposi, di cui lei è ebrea per parte di padre, si tormentano nell’incomunicabilità di un sentimento contorto, controverso, serpentiforme. Velenoso.

Adamo vede in Eva il riflesso deformato del proprio desiderio idealizzato, mentre Eva vede in Adamo la negazione del proprio essere femmina, ossia cervello, cuore, ventre e vulva.

In questo gioco pericoloso di gelosia e sofferenza – provate per disperazione e da far provare per rivalsa – sfuggono gli anni, i minuti e i secondi inghiottiti, masticati e sputati nella voragine del nulla, della noia di esistere.

La costruzione narrativa di Emilio Jona è estremamente interessante, originale e avvincente: la narrazione prende avvio con la confessione di un anziano ad uno sconosciuto, che divide con lui la panchina.

L’anziano muore improvvisamente e il destinatario della sua valigia, contenente un diario segreto diviso in quaderni e una misteriosa lettera, si trova ad essere proprio l’uomo incrociato per caso, il quale diventa il terzo punto di vista della vicenda, sempre la medesima, ma profondamente diversa a seconda di chi la racconta o la commenta.

Questione di prospettive, dunque.

Non a caso lo sconosciuto è un nano. Certo, per sottolineare che la diversità non ha contesto storico e non è solo xenofobia, ma, a mio avviso, proprio per far comprendere come ad ogni altezza metaforica ci sia una percezione diversa dell’Altro.

“Giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male

E allora la mia statura non dispensò più buonumore
A chi alla sbarra in piedi mi diceva “Vostro Onore”
E di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio
Prima di genuflettermi nell’ora dell’addio
Non conoscendo affatto la statura di Dio.”

De Andrè, Piovani, Bentivoglio

Il finale, straziante, porta il lettore a riflettere e a riflettersi.

Il fregio della vita lo portiamo tutti: è il segno dei denti dei progenitori sulla mela. Da quel morso di disobbedienza e piacere nacquero Caino e Abele. Chi fu, dei due, nostro padre?

Ovunque lei sia stata quello era l’Eden”. Mark Twain

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Sinossi

Un romanzo che, muovendosi nel solco della tradizione mitteleuropea, si svolge tra il 1934 e il 1938 tra Vienna e le montagne del Grossglockner, tra l’assassinio di Dollfuss e l’annessione dell’Austria al Terzo Reich, ed è basato su tre personaggi: un marito, una moglie e un nano.

Inizia con la dolente elaborazione letteraria delle proprie vicende matrimoniali narrata da uno dei protagonista, ormai ottantenne, a un passante, occasionalmente incontrato su di una panchina del lungo lago di Bregenz.

Un personaggio chiave che diventerà custode delle storie sentimentali dei due coniugi.

Lui, il marito, è un uomo controverso e tormentato, gelosissimo della sua sposa.

Lei, ebrea, è alla scoperta della sua dirompente sessualità.

La loro storia è sfaccettata, con pennellate che ricordano la complessità, ma anche la violenza, della pittura cubista.

Entrambi sono dominati dai propri demoni e come tali ciechi a quanto si prepara nell’Austria che sta covando il nazismo.

Si tratta di un viaggio nel passato, tra le luci e le ombre del proprio io e dei propri idoli, un passato che riemerge come un fiume carsico in piena, limaccioso e pieno di detriti, che deborda e invade il presente, un passato che non è più un passato, ma solo una dimensione del presente.