“Il bambino che disegnava parole.” di Francesca Magni
Recensione Lisa Molaro.
“Il bambino che disegnava parole. Un viaggio verso l’isola della dislessia e una mappa per scoprirne i tesori” scritto dalla giornalista Francesca Magni e pubblicato, a settembre 2017, dalla Giunti Editore.
Ho da poco terminato di leggere questo libro e definirlo romanzo è riduttivo.
Dentro queste pagine, un mondo!
In un’immagine, la mappa concettuale del romanzo, impaginata dall’autrice su progetto grafico di Filippo, il figlio.
Francesca Magni è una giornalista, una scrittrice, una moglie, una mamma; è una progettatrice d’interni.
Rileggo l’ultima frase che ho scritto, una progettatrice d’interni…
Cosa c’è di più “interno” dell’ambiente che coltiviamo dentro di noi?
Nel 2016, sul suo blog, Francesca Magni ha iniziato a parlare della dislessia conosciuta attraverso suo figlio Filippo, che nel libro chiamerà Teo.
Com’è arrivata a scriverne, lo scopriremo leggendo.
Come sia arrivata a masticare il bolo della dislessia, imparando a metabolizzare un boccone dagli ingredienti poco noti, lo viviamo attraverso il suo romanzo.
In un susseguirsi di aneddoti, di ricordi e quotidianità, scopriremo la genesi di un corso in opera.
In seconda persona singolare, il narratore si rivolge alla madre senza metterla, però, in posizione centrale ma garantendo il suo punto di vista all’interno di un nucleo, quello famigliare, che attornia questa parola che fa paura a molti: Dislessia.
Attraverso le parole scritte dall’Autrice, ho conosciuto una famiglia normale: un padre, una madre, un figlio maggiore e una figlia minore.
Dalla pancia, al mondo.
Singoli individui che costruiscono il proprio quotidiano con battute di complicità, attimi d’ilarità o di sconforto. Presenze, mancanze, favori e ripicche, carezze e litigi.
Figli.
Figli prima in età fanciullesca e poi in periodo adolescenziale.
E genitori.
Genitori che rincorrono desideri, combattono con le aspettative, con il passato, il presente e il futuro.
Una famiglia normale in cui ognuno è particolare a modo proprio.
C’è che suona l’arpa, chi costruisce mappe concettuali usando i pezzettini colorati dei Lego, chi inventa parole e chi, fin da piccolo, ignaro delle proprie difficoltà, con determinazione, ha messo le basi per un buon futuro.
Ognuno con il proprio passato, ognuno con le proprie peculiarità… o forse dovrei scrivere specificità.
Questa è la storia di Teo, un bambino molto intelligente che, fin da piccolo, conosceva tutti i nomi scientifici degli insetti e dei dinosauri
eppure quelle benedette scarpe con le stringhe…
E compilare il diario correttamente? Un’impresa titanica!
Perché dover scrivere quei compiti da fare, proprio sotto quella data e non, magari, fra tre mesi? E che cosa cambia scrivendo semplicemente “bla bla bla”?
“Per le verifiche di matematica portare fogli pro bla a qua bla bla bla bla”, le parole si trasformano in una parodia di se stesse, fingono di essere scrittura ma non lo sono più, continuano per diverse righe fino, immagini tu, al completamento dell’avviso.”
Eppure alle elementari Teo era uno dei migliori e questo aveva spostato quell’asticella, quella di risolvere certi dubbi che ancora solamente s’intravedevano.
I segnali…
“Dunque se la diversità è grande, non va esibita perché diventerebbe circo voyeuristico; se la diversità è determinata da qualche cosa di invisibile, non sappiamo come raccontarla o preferiamo fingere che non sia”
Più Teo cresceva e più, ovviamente, peggiorava il suo stato emotivo, c’era quell’ansia da prestazione e quella concretezza di essere diverso.
Anomalo senza spiegazione.
Attacchi di panico, note dolci che escono da un’arpa delicata, sorrisi evidenziati e lacrime a volte nascoste e altre lasciate scorrere, abbandonate, sfrenate, in discesa.
Un violino in Re minore farà pensare a una salita in montagna.
Bach e la sua musica così fine, così perfetta. Come la matematica, dirà tuo marito…
Non voglio svelare ulteriormente la trama, ognuno deve viverla attraverso i propri occhi, il proprio vissuto, le proprie competenze o esperienze. Posso dire, però, che a dodici anni, Teo, potrà dare un nome alla sua ansia. Avrà un certificato in mano.
Dislessia.
Conoscere il nome di colei che dirige parte delle attività neuronali di Teo, renderà fisico l’invisibile, permettendo di ideare strategie per uscire da quei labirinti che, prima, non si sapeva nemmeno avvicinare.
“Credo che Spinoza abbia ragione, quando dice che la comprensione del proprio dolore può essere una delle attività più esaltanti del mondo. [Martha C. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni]
Un romanzo, questo di Francesca Magni, che si legge in fretta nonostante le pagine non siano poche.
La scrittura è fluida, personale, scorrevole e capace di renderci partecipi del narrato, come se ci fossimo sempre trovati al fianco dei protagonisti. Riga dopo riga l’emozione lotta con una realtà non sempre capace di dialogare.
Numerosi gli spunti di riflessione sulla scuola moderna, sui rapporti interindividuali.
Una società liquida in cui, chi nuota con uno stile diverso dalla massa, rischia di annegare.
Digitare, progettare, codificare, creare connessioni social, interagire, scrivere in fretta, ragionare, decidere in pochi secondi… se non riesci a stare al passo rischi di essere tagliato fuori nel tempo di un click.
Avere gli strumenti per affrontare tutto questo è, ovviamente, fondamentale.
Gli strumenti esistono!
Basilari la famiglia, la scuola, gli insegnanti, la fiducia in se stessi e la conoscenza.
Sì, perché è la conoscenza che ha sempre smosso le montagne, la curiosità di capire ciò che s’ignora, trovare le cause per compensare le mancanze, sviscerare, analizzare, imparare.
Le neuroscienze sostengono che una scuola basata sulla prestazione stimoli solo la memoria episodica, destinata all’oblio. Esercizio, ripetizione e confronto dovrebbero prendere il posto delle continue verifiche con voto. Perché oggi la domanda da porsi su ogni studente non è Quanto è intelligente?, ma In che modo è intelligente? In che modo accede alla conoscenza? Non più quanto rende nelle prove, quelle che la scuola propone da decenni sempre uguali, ma Come può esprimere al meglio ciò che sa. “Come” diventa la chiave di tutto.
“Il suo cervello sembra annotare le informazioni mnemoniche su foglietti di carta che accumula in un magazzino dalle finestre con i vetri rotti; il vento ci entra spesso con la violenza delle correnti d’aria, e molti foglietti volano via, si perdono, per sempre, occorre tornare a scriverli, ed è come se fosse la prima volta, portarli con pazienza nel magazzino e posarli sulle pile già fatte.”
Come può un bambino essere capace, da solo, di tener fermi i foglietti?
Si può obbligare un miope a guardare senza lenti o occhiali?
Può un destrorso scrivere, in fretta, con la mano sinistra e, magari, in modo speculare?
Penso ad alcuni dei più importanti scienziati della nostra storia, ritenuti dislessici, con beneficio del dubbio dato che non possono più fare i test di certificazione.
Leonardo Da Vinci, Galileo Galei, Tesla, Marconi e Einstein, il quale, però, per sua stessa ammissione, presentava dei disturbi dell’apprendimento.
Chissà quanti altri ancora…
Di certo non si tratta di persone stupide, giusto? Indubbiamente non hanno un cervello inferiore alla massa, vero?
Tutti, però, erano eccentrici; tutti ragionavano “a modo loro”.
Non tutti i dislessici sono dei geni, del resto nemmeno tutti i normo lettori lo sono.
Alla fine del romanzo, Francesca Magni allega un’importantissima appendice ricca di approfondimenti, di specifiche, anche neurobiologiche.
Evidenzia i diritti, legittimati, di ogni persona, studente o meno che sia.
Perché il diritto di sapere, deve poter essere alla portata anche di chi è diversamente abile nell’apprendere.
Non è un libro di denuncia alle istituzioni scolastiche, anzi, ne evidenzia l’importanza, mettendo gli insegnanti su piedistalli fondamentali per l’inserimento degli alunni nella società.
Fondamentali quanto la famiglia.
Quello di Francesca Magni è un romanzo-documento importante da leggere sia da chi nella dislessia brancola, sia da chi vuol semplicemente capirne di più.
Lo so che ho scritto tanto, so anche che il tempo per leggere, spesso, è poco… ma, anche se non sono dislessica, questo è un argomento che mi tocca il cuore, come tutte le solitudini, del resto.
Nessuno dovrebbe lottare da solo, mai.
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Titolo: Il bambino che disegnava parole. Un viaggio verso l’isola della dislessia e una mappa per scoprirne i tesori
Autore: Francesca Magni
Editore: Giunti Editore (13 settembre 2017)
Collana: Narrativa non fiction
Sinossi:
Teo è un bambino intelligente, bello, dalla personalità spiccata, bravissimo a scuola.
Fino a che, con l’approdo alle medie, qualcosa non sembra spezzarsi irreparabilmente e lui entra in una crisi sempre più ineludibile. Quando i genitori, spiazzati da quella che sembra essere una precoce adolescenza, chiedono aiuto, gli specialisti sono unanimi nel loro verdetto: semplicemente, Teo è dislessico.
Da sempre. Fino a 12 anni è riuscito a nasconderlo utilizzando tutte le “strategie compensative” a disposizione della sua mente vivacissima, adesso – di fronte alla crescente complessità dello studio e delle sue grandi ambizioni – non riesce più a farlo, e la sensazione di inadeguatezza covata a lungo genera un panico buio, distruttivo.
Inizia per lui, per i suoi genitori, per sua sorella Ludovica, per la famiglia intera un viaggio.
Innanzitutto nel proprio stesso passato, per leggere a ritroso i segni di un problema che forse non riguarda solo Teo, ma che in lui per la prima volta si esprime con la perentorietà di un’urgenza.
E poi fuori, nel mondo degli psicologi, dei neurologi, della scuola: che è la prima linea, il confine cruciale dove una difficoltà individuale può imboccare la via buia del disagio o trasformarsi in una straordinaria risorsa per tutti.
Link utili:
«All’asilo i miei disegni erano indecifrabili, così dice il mio papà. Ma i grossi
problemi sono iniziati con la scuola elementare. Scrivevo male e leggevo
peggio. Ero continuamente sollecitato a fare meglio e, siccome la cosa non
avveniva, sono arrivate le brontolate, poi i brutti voti e la costrizione a riscrivere
il compito dopo aver strappato la pagina. Questa punizione mi gettava nella
disperazione più violenta perché per me aver scritto quella pagina aveva voluto
dire una grande fatica fisica e mentale. Purtroppo anche mia mamma credeva
che fosse svogliatezza (non sapeva nulla della dislessia) e a casa si metteva a
fare l’aguzzina come facevano in classe i miei insegnanti: mi faceva piangere e
qualche volta scappava la pacca o il pizzicotto. A scuola non riuscivo a stare
attento, ero sempre distratto e sul mio viso calava come una maschera
inespressiva. (Mattia, 19 anni) »
«Quando leggo non riesco a riconoscere bene le parole e così faccio fatica
a capire quello che c’è scritto. Io lo so che sono dislessico, ma gli altri non ci
credono. Gli insegnanti dicono che non ho voglia ed è vero che io non ho più
voglia, ma io ho provato a imparare a leggere come gli altri ma non ci sono
riuscito e non ci riesco.(Gianluca, 14 anni) »
GIACOMO STELLA, Storie di dislessia, Firenze, Libri Liberi, 2002, p. 95
GIACOMO STELLA, Storie di dislessia, p. 64
Anche mio figlio si chiama Filippo ed é dislessico riconosciuto in terza elementare..oggi é in prima media e tutto quello che ho letto sembra scritto da me figlio figlia e marito.Lacrime e risate..insieme. La strada è lunga e qualche giorno la vedo più facile ma spesso la vedo molto ripida.Grazie
Grazie a lei per aver condiviso questo pensiero. Lacrime, risate e la certezza di non doversi mai sentire soli.