Fotogrammi slegati – di Pier Bruno Cosso
recensione di Maria Piras
I fotogrammi scorrono dentro la pellicola del tempo, delle rimembranze, delle autoriflessioni, delle mancate opportunità, scorrono davanti ai nostri occhi e a un certo punto trovano una connessione, un filo indivisibile che li lega tra loro.
“La gente normale pensa che i cinghiali non abbiano sentimenti, non abbiano pensieri.Be’ gli animali lo sentono il buco nel petto della morte, lo strazio di quando lei è qui che si stringe intorno alla gola”.
“La realtà attuale annienta ma il ricordo di una spiaggia,la morbidezza di una sabbia bianca e morbida tra le dita vivifica e da un senso al presente”.
Più che un desiderio di vittoria, in Fotogrammi slegati sulla vita c’è una grande consapevolezza della caducità umana ma anche il nostro essere unici pur indossando diverse maschere.
“Perché un libro di racconti? Perché un racconto dura quanto un sogno, è un conosco di luce che illumina una zona scura dove pensavi non ci fosse niente”.
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Sinossi
In queste storie il filo conduttore è nelle zone d’ombra dell’animo umano.
Tutti i personaggi non sono nati per vincere. Partono sconfitti, e devono risalire la china con fatica per conquistare qualcosa; qualcosa che certe volte sfugge.
Così l’avventura diventa una lotta con sé stessi e con i guai.
Viaggiando tra le pagine ci si scontra con il vizio del gioco, l’emarginazione di un quartiere malfamato, la mancanza assoluta di rispetto della natura, o la terribile piaga della violenza sulle donne.
Per fare qualche esempio di tormento che, spesso, cerchiamo di non vedere, voltandoci dall’altra parte.
Mentre qui, con questi guai, ci si sporca le mani.
La scrittura, con una cifra alta, porta dentro le vicende come dentro un guado, contaminando con le sue sensazioni, le sue immagini, e quello sguardo introspettivo sempre un po’ incantato.
Non a caso lo scenario molto spesso è la Sardegna, perché la Sardegna è solitudine, è vento, ma anche sangue.