A proposito di Fertility Day.
a cura della Redazione Maternità e figli
La campagna pubblicitaria per il fertility day infuria e impazza nella rete.
Credo che, per una volta, caso eccezionale, la posizione presa dal Ministro Lorenzin e, di conseguenza, dallo Stato italiano, abbia unito in un fronte indignato tutti quelli che, fino a ieri, si scannavano sui temi caldi e tiepidi riguardanti la maternità.
Mai visto, vi assicuro, così unanimi e concordi abortisti e antiabortisti, cattolici e laici, mamme, nonne, giovani e meno giovani… inutile elencarli tutti.
Noi di Cultura al Femminile stiamo accogliendo nel nostro gruppo tanti commenti (provate a immaginare, siamo più di dodicimila iscritti!) e tante considerazioni: il tema è caldo, non c’è che dire.
Questa campagna pubblicitaria sta passando sull’Italia, soprattutto sulle italiane, che si sentono a vario titolo offese, insultate, maltrattate, prese in giro, come uno tsunami.
Ne parliamo anche sul nostro sito? Mi sono chiesta. Andiamo avanti a fare polemica?
No. Ma credo che qualche considerazione sia d’obbligo, per dare voce anche fra queste pagine al disagio che abbiamo colto fra le nostre utenti e che anche noi, come donne, abbiamo provato di fronte alle simpatiche pubblicità della Lorenzin.
Se volete leggere delle statistiche interessanti, vi invito innanzitutto a leggere questo articolo http://www.linkiesta.it/it/article/2016/09/01/poche-storie-in-italia-non-si-fanno-figli-perche-le-donne-non-lavorano/31643/ che mette in relazione numeri che, immagino i nostri ministri dovrebbero avere sottomano. Sostanzialmente, si mette qui in relazione il basso numero dei figli non all’egoismo dei genitori mancati ma alle condizioni in cui vive la donna in Italia.
La scoperta dell’acqua calda, si potrebbe dire: le donne devono scegliere spesso fra lavoro e impiego. Peccato che con un solo stipendio mantenere figli sia un’impresa difficile. Ve lo posso assicurare per esperienza diretta.
Il lavoro in Italia non è in molti casi conciliabile con la famiglia. In altri Paesi ci sono arrivati, noi no. Anche questo è ormai frase fatta.
Pensavo, stamattina, al nostro gruppetto che si occupa di maternità su questo sito. Siamo approdate qui, a scrivere per voi di questo tema, perché in un modo o nell’altro le nostre storie di maternità sono difficili, o lo sono state.
Esperienze diverse, ma nello stesso tempo simili, ci hanno portato a volerle condividere: di facile, nella maternità, non c’è niente.
Ed ecco il primo stridore in questa campagna: tratta con levità priva di tatto un argomento su cui non si deve e non si può scherzare.
Potrebbe avere tutte le ragioni dal mondo, ma i termini sono così sbagliati da essere vergognosi.
Può anche essere vero che per avere figli non servono tutti i soldi che crediamo noi.
Forse però ne servono di più di quanto non creda la Lorenzin: un tablet si può acquistare coi proventi di un lavoro precario, la scorta di pannolini mensile che serve a un neonato magari no. La manicure (della donna egoista che non fa figli, secondo i parametri del fertility day) costa molto meno della retta dell’asilo nido. Che peraltro è nella gran parte dei casi, privato, perché le strutture pubbliche sono soprannumerarie.
Spezziamo una lancia, dai: è vero anche che i figli non richiedono poi tutti i soldi che crediamo, si può vivere con meno orpelli ed essere più felici.
Però sarebbe bello poter mandare i bambini in scuole meno fatiscenti, con docenti motivati, che non perdono la speranza della pensione, con personale adeguato alle dimensioni della struttura. Sarebbero belle aule con arredi moderni, allegri. Sarebbe bello che i collegamenti informatici scuola famiglia fossero efficienti e risparmiassero a tutti ore buttate via.
Sarebbe bello che la sanità pubblica fosse a misura di paziente.
Sarebbe bello che il supporto alla maternità fosse orientato alla vita.
Invece, lo sappiamo: non è così.
Andate un po’ a vedere quello che è uscito in rete col l’hashtag #bastatacere e ne vedrete delle belle.
Il fertility day, inoltre, è stato impostato malissimo: attenti, perché non è rivolto a tutti! Solo per i responsabili.
Se, sostanzialmente, lo stato decide che la tua maternità gli costa troppo, già sai fuori dal cerchio della fiducia.
E guardate che basta poco, molto poco.
Non entriamo poi nel merito di chi, a vario titolo, fertile non è.
Non sono queste persone il bersaglio del fertility day. Se non potete concepire, questa campagna non vi interessa perché non è, lei per prima interessata, a voi. È chiaro, infatti, che questa pubblicità deve arrivare a un target ben preciso: coppie stabili, giovani, etero, conviventi o sposate. Fertili e responsabili.
Fuori pure le quarantenni, bacchettate perché fanno figli unici (oltretutto costano troppo alla sanità pubblica: devono fare esami extra, e se non li fanno è peggio perché potrebbero partorire bambini con handicap che costano ancora di più);
Fuori le coppie che per qualunque motivo non sono fertili (come sopra: sono un costo aggiuntivo alla sanità pubblica con questa loro mania di avere figli a ogni costo).
Fuori tutte le coppie che pensano all’adozione.
Fuori tutti quelli che, se volessero figli, aggiungerebbero costi a un bilancio statale già disastrato.
La campagna, insomma, ha un significato specifico: l’Italia ha bisogno di bambini e a farli devono essere quelli che allo Stato costano meno.
Ha una sua logica, non c’è che dire. Ma l’errore è che questi giovani potenziali genitori non sono così friendly come pensava la Lorenzin e non hanno voglia di scherzare su ovuli e spermatozoi.
No, in realtà nessuno ha voglia di scherzarci su, non dopo i tredici anni, quando ti viene insegnato, spero, ad avere rispetto del tuo corpo.
Quello che non ci piace, proprio per niente, è che ancora una volta si punti il dito contro alle donne. Perché studiano e ritardano la nascita dei figli (come, scusa?), perché capita anche che di fare le mamme non se la sentano. Soprattutto, in un’Italia che di spazio per le mamme, a ben guardarci non ne ha, a meno che non vivano di abnegazione e sacrifici. Le nonne nostre lo hanno fatto, forse noi vogliamo qualcosa di più.
Si può fare meglio, suvvia. Si può cambiare mentalità.
Allo stesso modo non ci piace, in effetti, che lo Stato entri a gamba tesa, e pure con toni scherzosi (ripeto: scuuusa???), in una sfera intima come questa.
A chi non è capitato l’incontro con qualche conoscente pronto a dispensare consigli e giudizi? “Ancora niente cicogna?” se sei a zero; “adesso basta” se il numero di prole (tua) soddisfa le sue esigenze; “ancora???” se il pancione che porti in giro è accompagnato da un’età non più verde e non è il primo.
“Un pacco di fatti tuoi”.
Ecco: forse la rete è questo, che, in modo molto articolato, sta rispondendo a questa colossale impertinenza.
Capiamo i motivi di questa campagna. Siamo tutti preoccupati per come vanno le cose, ma forse, e scusate l’ennesima frase fatta, avremmo voluto vedere usati diversamente i soldi delle nostre tasse.
La vera fertilità è una questione non solo fisica, ma di cuore e di testa.
Complimenti a chi, per parlare di fertilità, è riuscito a generare solo sterili discussioni.