“Ansia” di Barbara Gabriella Renzi

 

Rattrappito nuvolo volto di uccellino spaurito batteva sognando il tempo. La parete erbosa della sua mente si perdeva fra le sotterranee tane di ragno.

E i pelosi ragni rodevano vermi fra i lunghi, tenui fili di bava di seta. E la rana persa fra le venature della notte cominciava a cantare; poi un’altra seguiva il gracchiante trillo e un’altra intonava con rauca voce la melodia del buio e un’altra sussurrava alle stelle il suo sogno e un coro timido e strisciante invadeva la notte e i fili verde scuro dei tuoi pensieri.

Facce bluastre e ossute delle ombre della notte, suoni sibilanti, foglie di cartaceo fruscio annuvolano le pupille e inzuppavano i lievi veli dei sogni: pioviggina martellante il silenzio. La tua memoria sui sdraia sul terreno fuligginoso dei ritagli di cielo fra i rami, assurda, pensierosa, chiude il suo sguardo nel nudo di ragni. Piano affoghi fra le dure foglie di uno stagno secco.

La fronte succhiata dai capelli, il fumo opaco di suoni e di figure, le palpebre assonnate, i disegni dai sinuosi riverberi, il battito d’ali d’albatro a gocce respiravano l’aria tesa, il vento di gelo che rosicchia le ossa: tremuli brividi. E le nebbie degli animi, anelli di mezzelune, si condensano sul tuo pallido viso e le rocce pelose d’arbusti si dipingono di rossi squillanti rivolti.

Il cielo, strisciante e in un deserto di parole i raggi del sole rasentano le freddi pareti della mente e la folla d’ansia si annida nello sguardo: un volo di vespe ronza nella memoria, delinea le nere pupille. L’ombra viola in fondo al bicchiere guarda fissa i gesti tuoi muti; si arriccia la tua pelle e la smania di ridere, di gridare, di essere cattivi si aggomitola fra le note del tempo. BAT-TE-RE IL TEM-PO. Fiacco, debole bagliore di luna fra l’ingordigia della tristezza opaca.

Le ombre si stanno sfaldando fra il carnevale delle immagini: solitario pianto di sfogo. Ti accovacci sulle ginocchia.

Apri lo sportello della credenza.

Prendi la pentola. Chiudi l’armadietto.

Ti alzi, apri l’acqua e ne riempi il tegame.

Poi, lento, il tuo sguardo si perde fra le onde concentriche di molli gocce.