Violenza alle donne. Una prospettiva medievale – di A. Esposito, F. Franceschi, G. Piccinni
Voce alle Donne
recensione di Emma Fenu
Violenza alle donne. Una prospettiva medievale è un saggio a cura di di Anna Esposito, Franco Franceschi e Gabriella Piccinni edito da Il Mulino nel 2018.
Di cosa tratta Violenza alle Donne?
Nella famiglia medievale c’era una netta distinzione dei ruoli fra maschi e femmine: al padre competeva l’autorita sulla moglie, sottomessa, e sui figli. Questa egemonia prevedeva dei limiti, ma sappiamo quanto i limti possano diventare fluidi.
Solo nel Quattrocento, secondo il dititto canonico, una donna poteva ottenere la separazione per sevizie, ma queste dovevano essere valutate gravi, immotivate, reiterate e con pericolo di morte.
Certo non bastava un occhio nero ogni tanto, che era l’espressione dell’educazione che un uomo doveva somministrare all’interno della propria casa, soprattutto se la consorte era di umili origini.
Oltre alla violenza fisica, esisteva quella psicologica che si esercitava nei matrimoni combinati e nella reclusione monacale: entrambe rientrano nella violenza economica che mira a spogliare la donna di proprietà e risorse economiche.
Nella migliore delle ipotesi, le donne adulte dovevano essere assistite (e non solo consigliate) da un parente maschio nella gestione dei beni.
E, per la violenza economica, non parliamo solo di ereditiere, ma anche di lavoratrici sottopagate che si consumavano nell’esguire lavori faticosi: filatrici di lana e seta, tessitrici, domestiche bambine retribuite solo con una dote per le nozze, fanciulle ridotte dai padroni a schiave sessuali che, dopo aver partorito, diventavano balie da latte.
Come potevano riscattarsi? Avendo accesso alla cucina o occupandosi direttamente della preparazione dei pasti, non era per loro difficile avvelenare uomini e donne, con il risultato di finire al patibolo, come streghe.
Una categoria che fu vittima di violenze indicibili erano le donne pubbliche che diventavano tali per miseria, per stupro in pubertà, per le barbarie operate sui loro corpi da eserciti nemici e, soprattutto nelle classi più povere, per la maldicenza che le portava all’allontanamento dalla casa paterna o maritale.
Aggiungiamo che lenoni e clienti, per proteggere le donne per bene dai loro appettiti, erano giustificati nel sfogare i propri istinti perversi sulle povere malcapitate.
Nel saggio Violenza alle donne. Una prospettiva medievale sono molti i temi trattati con precisione, attingendo a altri saggi, documenti storici, storie vere, ben particolareggiate, e verbali. Sarebbe impossibile e poco confacente a una recensione farne un riassunto.
Mi soffermerò su alcuni aspetti, invitandovi a consultare il testo personalmente, per trovarvi molto di più di quanto un mio contributo può e deve fornire.
Un capitolo è riservato alle ingiurie contro le donne ed è di estremo interesse per quanto concerne l’attuale questione del sessismo linguistico: la parola, infatti, denuncia ciò che la società ritiene infamante.
Ovviamente gli insulti più comuni furono meretrice e puttana, con le varianti regionali di bagascia, cagna, malafemmina, troia, vacca. E molte altre, talmente tante che non è necessario enumerale.
Pretaia era colei che veniva accusata di avere rapporti sessuali con il prete; imbozzamarito era l’amate di un uomo sposato; ma non solo di carattere sessuale furono tali offese. Non è difficile indovinare l’altro settore semantico: strega, masca, fattucchiera, maliarda, ladra, cattiva, falsa, bastarda e, infine, pazza.
Per quanto concerne il fenomeno dell’inquisizione, il volume analizza la presenza di uomini – strega, anche se in numero minore, e ritiene che la discriminazione sessuale sia una parte, molto importante, ma che non può essere la spiegazione esaustiva del fenomeno.
Ovviamente si offendevano, tramite le donne, anche i maschi: il ternine figlio di puttana ha antiche origini.
Le offese non si sibilavano, ma si urlavano in piazza, in modo che la buona fama della vittima fosse compromessa e che fosse emarginata in virtù della già citata maldicenza.
Ai giudici spettava valutare le pene e decidere la somma con cui la vittima doveva essere risarcita: ovviamente l’offesa era stereotipata ossia non corrispondeva a comportamenti sessuali dietro compenso o a malefici, ma erano accuse così sudbole da essere arrivate fino a noi, usate contro una donna a prescindere da eventuali colpe, ma solo per il fatto di essere femmina (puttana o strega).
Perchè leggere Violenza alle donne?
Il saggio corale Violenza alle donne. Una prospettiva medievale nasce dall’esigenza di riflessione sulle radici di un fenomeno attuale, ossia la violenza di genere, affinchè si intrattenga un dibattito diacronico che non scada nell’ovvietà, ossia nella consapevolezza che la violenza contro le donne è sempre esistita, ma che evidenzi come una determinata società leggittima e codifica comportamenti e valori, o pseudovalori, in base a ragioni economiche, giuridiche e culturali che le sono proprie.
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Sinossi
Le forme di violenza esercitate nel Medioevo contro le donne compongono un catalogo impressionante: percosse in nome del diritto del marito a «correggere» la moglie, del padre a costringere e punire la figlia, del padrone a battere la serva; ingiurie connesse al comportamento femminile;
stupri, segregazioni, omicidi in nome dell’onore tradito; spoliazione di beni, a partire dalle eredità e dalle doti; matrimoni e monacazioni forzate; manipolazione delle coscienze e violenze inquisitoriali; maltrattamenti, prevaricazione e discriminazione nel mondo del lavoro.