Una famiglia quasi perfetta (Daughter) di Jane Shemilt
Newton Compton Editori – Giugno 2015 – Pagine: 330
La famiglia come una lastra di cristallo: basta un crepa per ridurre tutto in mille pezzi. Jenny è un medico, sposata con un famoso neurochirurgo e madre di tre adolescenti. Una vita che scorre tranquilla nel fiume del tran tran quotidiano. Ma un giorno accade qualcosa che ne sconvolge l’esistenza: Naomi, la figlia quindicenne, non fa ritorno a casa dopo la scuola. Naomi è scomparsa nel nulla, e le autorità brancolano nel buio. Eppure la risposta si cela proprio nei dettagli, fra le pieghe di quel guardarsi, senza vedersi. In un doloroso e profondo percorso a ritroso, Jenny si ritrova a combattere contro la propria cecità, contro le convinzioni che l’hanno portata a considerare la propria condizione, quella dei figli e del marito, come solide. Nel baratro della disperazione in cui precipita, analizza ogni comportamento precedente alla scomparsa di Naomi, fissando nel proprio sguardo e in quello degli altri due figli: Ed e Theo, e il marito Ted, il vuoto celato all’apparente normalità.
Un diario lucido, disperato, in cui ogni giorno è teso all’ascolto. Il racconto di una madre che cerca di non soccombere alla sofferenza per poter coltivare la speranza di ritrovare la figlia. Commovente e devastante, il tentativo di non cedere alle ipotesi più crude, quali lo stupro e l’omicidio, in merito a quanto può essere accaduto a Naomi.
“Le strade scorrevano fuori dal finestrino, piene di persone che non erano Naomi”.
Struggente, la ricerca delle espressioni del viso della figlia, nella memoria e nelle foto, per poterne cogliere le sfumature che non aveva saputo cogliere prima della sua scomparsa.
“Per sempre”: è fin lì che spazia il tuo sguardo prima che la vita ti ferisca… Ma niente dura. Non i luoghi, non le persone, non l’amore, nemmeno gli anni fugaci dell’infanzia. La perdita, invece, dura.
Raramente ho letto dei trhiller scritti con una maestria e con una componente emotiva e analitica così profonda. Jane Shemilt costruisce un intreccio che coinvolge e sconvolge il lettore, con uno stile asciutto e intenso, in cui i dialoghi sono la diretta conseguenza di ciò che non è mai stato detto e affrontato.
Un libro che coniuga la suspence con la riflessione, e che spalanca lo sguardo su quello che diamo per certo e assodato, all’interno dei rapporti e delle dinamiche che ci appartengono.
Silvia Lorusso
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