Non si può più dire niente? di AA. VV
Voce ai Diritti
Recensione di Veronica Sicari
Non si può più dire niente? 14 punti di vista su politicamente corretto e cancel culture è una raccolta di saggi scritti da autori diversi, edito da Utet nel 2022.
Di cosa parla Non si può più dire niente? 14 punti di vista su politicamente corretto e cancel culture?
14 voci diverse, di autori appartenenti a mestieri e professioni tra loro differenti, su uno dei temi maggiormente discussi nel dibattito pubblico – soprattutto social: il politicamente corretto e la consequenziale cosiddetta cancel culture.
Di cosa parliamo quando ci riferiamo al politicamente corretto? E cos’è in effetti la cancel culture?
A queste domande sono stati chiamati a fornire una risposta gli autori, tra i quali Matteo Bordone, conduttore radiofonico e televisivo; Federico Falloppa, professore di Italian Studies e Linguistica presso l’Università di Reading, in UK; Jennifer Guerra, giornalista e scrittrice; Vera Gheno, sociolinguista e autrice di diversi testi sul linguaggio.
La raccolta contiene punti di vista diversi tra loro, perché diverse sono le voci del dibattito in questione, che spesso, soprattutto sui social media, assume toni piuttosto accesi e polemici.
Invero, molti tra gli autori iniziano la propria riflessione a partire dal momento e dal luogo nel quale si è elaborato il concetto di politicamente corretto e di cancel culture.
Si tratta di fenomeno importato da oltreoceano, che già da diversi anni infiamma il dibattito, anche accademico, americano.
Sull’interpretazione ed effettiva natura del dibattito made in Usa, tuttavia, nei vari saggi viene data una lettura differente.
Di fatto, il politicamente corretto è la locuzione con la quale– oggi – si individua la scelta linguistica di avvalersi di termini, significati e concetti rispettosi dell’altrui sensibilità.
Nel momento storico nel quale viviamo, si è fatta più pregnante l’esigenza di scardinare sistemi di oppressione sistemici e le gerarchie sociali che tendono a discriminare chi non ricopre posizioni di privilegio.
Patriarcato, razzismo, abilismo, misoginia, omolesbotranfobia che si manifestano – purtroppo anche fin troppo di frequente – in azioni concrete (atti di violenza, siano essi fisici o meramente psicologici), in politiche sociali, economiche e legislative in senso stretto.
Basti pensare alle vicende che hanno interessato il disegno di legge Zan, che prevedeva l’introduzione di aggravanti in caso di crimini fondati su sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità.
Proposta di legge bocciata anche in ragione del feroce dibattito politico e sociale fondato sull’equivoco della tanto temuta teoria gender.
Si tratta di sistemi di oppressione talmente normalizzati da non risultare, spesso, nemmeno visibili, se non da parte di chi li subisce, con la conseguenza di rimanere vittima, nella migliore delle ipotesi, di una costante invisibilizzazione.
La maggiore sensibilità e attenzione per tali temi, portata avanti anche e soprattutto dai nuovi movimenti transfemministi, ha dato il via ad una vera e propria battaglia politica, che si esprime anche per il tramite dell’analisi del linguaggio del quale ci serviamo ogni giorno per esprimere noi stessi e le nostre opinioni.
Non è che non possa più dirsi niente: semplicemente, da più parti si chiede una maggiore attenzione a ciò che si dice.
Di conseguenza, trattandosi di temi complessi spesso liquidati con una semplificazione che ne appiattisce la natura e lo scopo, risulta piuttosto acceso il confronto tra chi cerca di sensibilizzare sul tema linguistico e chi, invece, percepisce tali nuovi esigenze come limitazioni della propria libertà individuale.
Figlia di tale polarizzazione, invero poco utile e proficua, è la levata di scudi contro un paventato tentativo di distruggere non soltanto le nostre abitudini, e nei casi più melodrammatici, la nostra stessa identità, ma anche la nostra arte, in tutte le sue forme e manifestazioni, da quelle elevate (opere dell’ingegno artistico di personalità rilevanti nel mondo della letteratura, dell’arte, della cinematografia di ogni tempo) a quelle più mainstream (radio, televisione, spettacoli).
Da più parti si paventa il timore di una cancel culture, ossia di una costante opera censoria, attraverso un’imposizione dall’alto di schemi espressivi privi di quella libertà di manifestazione del pensiero che nel nostro Paese trova tutela e riconoscimento costituzionali all’art. 21 della Costituzione.
Ma è davvero questo ciò che sta accadendo?
Esiste davvero un potere nascosto e penetrante, detenuto da pochi soggetti, che cerca di distorcere le nostre abitudini?
La lingua, quella parlata, quella scritta, è realmente un monolite incapace di subire mutamenti al mutare della società dei parlanti e delle loro esigenze?
Si tratta di domande e relative risposte che, benché possano apparire banali, in realtà tradiscono un preciso posizionamento in chi decide di fornire una risposta.
Quando questa viene data attraverso i canali social, il rischio di venir subissati da critiche, attacchi, o nei casi più estremi, di minacce, è estremamente elevato.
Siamo davvero sicuri che non si possa più dire niente?
Perché leggere Non si può più dire niente? 14 punti di vista su politicamente corretto e cancel culture?
Non si può più dire niente? 14 punti di vista su politicamente corretto e cancel culture cerca di fornire una risposta.
O sarebbe più corretto dire, arricchisce il dibattito con punti di vista che cercano di illustrare la reale situazione, a partire da ottiche diverse.
Nel silenzio della lettura individuale, meno chiassosa e certamente più introspettiva rispetto al veloce avvicendarsi di post e link usa e getta che inonda le nostre piattaforme, ogni lettore e ogni lettrice potrà certamente arricchire il proprio personale punto di vista, abbandonando perentorie prese di posizioni e riscoprendo quella fumosa, e pur tuttavia arricchente, galassia di sfumature di grigi che favorisce l’incontro tra opinioni e posizioni benché tra loro diverse, senza la necessaria belligerante contrapposizione alimentata dai nuovi mezzi di comunicazione.
Forse il mezzo più antico per tramandare il pensiero – la scrittura su carta – può aiutare a dipanarsi nelle nuove logiche e nei nuovi equilibri di questa società in continua mutazione.
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Sinossi
Proposte di legge per contrastare le discriminazioni, discussioni parlamentari sui sostantivi femminili, regolamenti aziendali che sanzionano comportamenti inappropriati, circolari scolastiche su tematiche di genere, partite sospese per cori razzisti.
Da tempo i temi distinti ma incrociati di politicamente corretto e cancel culture sono all’ordine del giorno, investendo la sfera privata e quella pubblica, i litigi in famiglia o tra amici e le prese di posizione su giornali cartacei, programmi televisivi, podcast, blog, riviste online e social network.
Sono temi che spopolano proprio sui social, dove macinano commenti e polemiche, creando una frattura in un certo senso politicamente inedita: nella contrapposizione tra chi nega l’esistenza della cancel culture e chi si lamenta che “non si può più dire niente” non viene per forza ricalcato il dualismo classico tra sinistra e destra, o tra progressisti e conservatori. Vediamo infatti che il licenziamento di un attore o il macero di un libro innescano discussioni infuocate anche tra persone che su molti altri temi (economici, politici, sociali) sono perfettamente d’accordo.
Che cosa sta succedendo?
Mentre i media cavalcano il dibattito rilanciando pseudonotizie acchiappaclick su censure a Omero o Biancaneve, la contrapposizione tra i fronti si consuma per lo più in litigate pubbliche sui social o singoli interventi lanciati online o offline come una voce nel deserto, attorno a cui si rinserrano i ranghi della rispettiva fazione. Ognuno finisce sempre così per parlare ai convertiti, senza che si costruisca un dibattito che sia anche un dialogo costruttivo.
Come antidoto alla polarizzazione, in questo libro si incontrano idealmente quattordici persone che non sono affatto d’accordo tra loro, ma sono disposte a sedersi a un tavolo di confronto. Ognuna ha scelto di inquadrare il tema secondo i suoi campi di interesse, le sue esperienze e professionalità: linguistica, televisione, comicità, filosofia, storia, sociologia, teatro, pedagogia, politica e quant’altro.
Così, nel cercare una risposta alla domanda Non si può più dire niente?, questi quattordici punti di vista aprono inevitabilmente ad altre domande e risposte, che restituiscono complessità al nostro intricato presente.
I contributi:
Matteo Bordone: Una cosa di due, tre giorni al massimo ovvero Anatomia di un merdone; Elisa Cuter: Qualcosa di sinistra. Una critica marxista alla wokeness; Federica D’Alessio: No debate. Sesso, genere e una discussione che non s’ha da fare; Giulio D’Antona: Louis, Dave e gli altri. La comicità e il suo pubblico; Federico Faloppa: Breve storia di una strumentalizzazione. Alle origini dell’espressione “politically correct”; Liv Ferracchiati: Eventi bizzarri in attesa di una Filosofia del futuro. Quel che so sul politicamente corretto; Vera Gheno: La lingua non deve essere un museo. La necessità di un linguaggio inclusivo; Jennifer Guerra: Inquadrare l’elefante. Il politicamente corretto come frame di destra; Christian Raimo: Un caso esemplare di discriminazione. Ripartire dall’educazione linguistica democratica; Daniele Rielli: Il re woke. Il politically correct come tribalismo morale; Cinzia Sciuto: Il vicolo cieco dell’identità. Identity politics e cancel culture; Neelam Srivastava: Cancellazione o palinsesto? L’eredità coloniale e gli spazi pubblici in Italia; Laura Tonini: Ci scusiamo con tutti i nostri telespettatori. Tv, cancel culture e politicamente corretto; Raffaele Alberto Ventura: Dieci tesi sul politicamente corretto. Nuovi codici e nuovi conflitti.
Titolo: Non si può più dire niente? 14 punti di vista su politicamente corretto e cancel culture
Autore: AA. VV.
Editore: Utet, 2022