“Le libere donne di Magliano” di Mario Tobino
Recensione di Lina Mazzotti
Nella verde e placida campagna Toscana, sul Colle di Santa Maria in provincia di Lucca c’è il manicomio di Magliano.
Una struttura in cui “abitano” 1040 malati divisi in due reparti maschile e femminile, duecento infermieri, diciannove suore e medici.
Siamo negli anni ’50 e il protagonista, voce narrante, è uno psichiatra che racconta di un microcosmo al femminile delirante e nel contatto quotidiano di una umanità fatta di emarginazione passando attraverso le umiliazioni della terapia.
“Le celle sono piccole stanze dalle pareti nude”
Come sono i ritratti di queste donne spettinate, vestite con la divisa del manicomio, senza trucco, senza ornamenti, eppure ci sono squarci di bellezza, si intravedono le storie, i pensieri e si riesce a posare su di loro uno sguardo di fraternità che non lascia insensibili alla sofferenza.
“Fuori c’è la vita, la gioventù, la bellezza, la gioia che ride e qui mille matti rinchiusi, prigionieri dei loro deliri, sudati, sporchi, poveri. Il manicomio è pieno di fiori, ma non si riesce a vederli.”
Desiderio profondo del dottore è coltivare la piccola parte ancora normale dell’animo delle malate e farla fiorire.
Donne dimenticate, recluse e povere ma che lo psichiatra le chiama libere perché la pazzia sgomina tutte le ipocrisie, i freni inibitori e le sue “matte”, scatenate durante l’estate in abbracci gli paiono creature sommamente libere, anche se in una libertà dolorosa, ma vittoriose e vere.
Lì in quei cortili sono sé stesse, finalmente ambasciatrici di quella dea strana e terribile che è la follia.
La vita dentro l’ospedale psichiatrico scorre a un’altra velocità rispetto al mondo di “fuori” dove la gente si considera sana e il medico vede sfilare tante storie di ordinario squilibrio che coinvolgono non solo le ricoverate ma anche le infermiere e le suore che in quell’inferno lavorano.
Ci sono rigide regole organizzative nel manicomio e nei corridoi, nelle antiche scale, nelle camerate e nelle celle si agitano i deliri che sembrano poi placarsi in questi racconti con l’umiltà dei resoconti del medico.
Perché frequentando per tanti anni l’ospedale è diventato amico della delirante Berlucchi, dell’agitata signora Maresca, della malinconica Cora, timorosa della vita, che mostra l’aspetto più normale e allo stesso tempo più misterioso della follia.
Si sente vicino all’altruismo della Lella che con il suo folle amore per il mondo e la natura vuole sentirsi sempre più libera dalla sua pazzia e che riempie il reparto medico di fiori, gatti e gentilezza.
Osserva gli occhi di Sbisà, malata di tubercolosi, devastata nell’anima e ne scorge una luce di profonda letizia e si commuove della dolce bellezza della giovanissima Belaglia. Mentre la Campani “un diavolo in veste di donna” che con il suo delirio ferisce e umilia chi l’assiste.
Queste donne sono ritratti rapidi e intensi, attrici del loro delirio e narrate tramite il linguaggio diretto per dimostrare che anche se malate di mente sono creature degne di stima amore e rispetto.
Tutto questo è scandito dal ritmo della campagna circostante che con le sue stagioni e colori vivi sembrano alzare per alcuni attimi il velo dell’alienazione e dare un senso più naturale al susseguirsi della luce e del buio pieno di fantasmi e di urla.
Il contatto con queste situazioni trasforma questo diario e ogni episodio in metafora, dove la mente è “maledetta” e il serpente insinua la follia esiliando i sentimenti del cuore, ma se la ragione si placa gli affetti ritornano intatti anzi più lucenti e invincibili.
Senso profondo del libro è l’amore fraterno per creature viste come diverse, ma ugualmente meritevoli di aiuto per la loro vita fisica, spiritale e per la loro libertà.
Indagando continuamente per decifrare il linguaggio della pazzia e ricercando la salvezza, di una rinascita alla vita.
Molte le riflessioni sul lato oscuro dell’esistenza e l’approccio terapeutico prima della legge Basaglia che ha previsto la chiusura dei manicomi.
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SINOSSI
A pochi chilometri da Lucca il colle di Santa Maria delle Grazie e in cima il manicomio. Il paese più vicino è Magliano. Così, «venire da Magliano» per la gente del luogo significa portare il segno della pazzia, di una vita attraversata dal vento sublime e dannato della sofferenza mentale. In un reparto psichiatrico femminile, negli anni precedenti l’età degli psicofarmaci e della riforma Basaglia, un medico vive con donne aggressive, tristi, erotiche, disperate, orrende, miti, malate o semplicemente fuggite dal mondo. Questo romanzo è il poema della profondissima e unica atmosfera che pervade le stanze della follia: «il manicomio è pieno di fiori, ma non si riesce a vederli».
Titolo: Le libere donne di Magliano
Autore: Mario Tobino
Editore: Mondadori, 2016