“La mela e altri peccati poco originali” – di Massimiliano Colucci
Recensione di Lisa Molaro
Oggi vi parlo un po’ dell’ultimo libro che ho letto: “La Mela e altri peccati poco originali”, il secondo libro scritto da Massimiliano Colucci, pubblicato da Il Poligrafo.
Subito la copertina ci rimanda una sensazione di ambiguità.
Una grande mela verde ci si propone sfacciata, grande, rotonda, impudica… impudica? La maschera che indossa, sembra suggerire il contrario.
Si tratta, forse, d’incapacità di mantenere il pudore? Pudore, sostantivo maschile.
“Lo pudore è un ritraimento d’animo de laide cose, con paura di cadere in quelle cose che il pudore vieta di nominare” Dante, Convivio
Ora che ho terminato di leggere il libro, posso dire che il messaggio implicito, suggerito dall’immagine di copertina, è quello corretto.
In questo libro si nomina cose che, solitamente, si ha paura di nominare.
Massimiliano Colucci, con opulenza lessicale (questa lettura non può – e non deve – essere velocissima, previa la perdita di “sensi” più o meno logici) ha raccolto, in questo libro, racconti da lui scritti nell’arco di quasi un decennio e precisamente nello spazio temporale racchiuso tra il 2004 e il 2013.
Spezzoni di storie che meriterebbero, quasi ognuna, uno svolgimento più ampio.
Ho scritto “Quasi ognuna” e non “Tutte”?
C’è un motivo: certi personaggi sgomentano, fanno rabbrividire, accapponare la pelle!
Si vorrebbe quasi non esistessero… ma esistono? Non sono carta e inchiostro? Fantasia e abilità narrativa?
Qual è il limite che separa realtà e finzione?
Limite… eccola qui la piccola parola che tiene uniti tutti i racconti.
Colucci porta il lettore al limite, attraverso parole dall’eleganza contrastante.
Termini ed espressioni arzigogolate – che personalmente adoro! – cozzano con neologismi e parole figurative che lì per lì avrei modificato.
Eppure… eppure alla fine ho capito il perché erano state usate!
Al limite, ero stata portata al limite.
Con uno stile quasi sfacciato, cinico e, a tratti, troppo schietto, Colucci mi ha fatto roteare davanti agli occhi la mela del peccato, verde e lucida, ingannevole.
Poi l’ha fatta cadere dentro il Chaos e l’ho vista perdersi alla ricerca del suo archetipo.
Ogni girone un peccato.
“Chaos” George Frederic Watts, olio su tela, 1875 circa.
Guardavo dentro il buco che porta al centro della Terra – o in alto, dentro quello che conduce al centro del cielo? – e lasciavo che citazioni, vissuti, parole e forme, si mescolassero tra loro come dentro uno shaker capace di miscelare “conoscenza”.
L’ordine ancora non è stato imposto, sono dentro il Chaos.
La notte si mescola con il giorno, la ragione si fluidifica dentro l’irrazionalità.
Follia e tratti di pazzia mutano materia facendosi carne, cuore, lacrime e poi… poi si ritrasformano all’interno del racconto successivo e via così, fino alla fine.
In un fluire di parole, scelte con estrema cura, vengo trasportata dentro un vortice psichedelico e bulimico di vita e non-vita.
Contrasto.
Io leggo mentre i protagonisti vivono il loro portarsi al limite, il loro vivere in contrasto tra l’etico e l’immorale; in bilico tra il giusto e l’ingiusto, tra carne e spirito.
Contrasta la notte con il giorno, mentre le paure divengono ombre che scivolano fuori dall’oscurità più nera, palesandosi su facciate illuminate dalla fioca luce di un lampione.
Ovviamente la strada è deserta.
Si è soli con se stessi e con i propri serpenti mentre la mela ballonzola sul ramo.
“C’è qualcosa che non può essere condiviso. Lo sa benissimo la notte. Ciò che è buio può stare solo negli angoli, negli anfratti, nei vicoli, nei buchi del mondo, lì dove la terra si chiude e gli sguardi si spengono. Lì dove ciò che è sporco si raggruma e sedimenta, e trova il posto che gli spetta. Il dolore non si consegna, non si spartisce. Rimane intatto e identico a sé, nel punto in cui attecchisce.”
Non è un libro leggero, questo è certo!
È pregno di simboli, anche dove sembrano non esserci.
Citazioni e titoli di romanzi s’inanellano attorno alla cornice di uno specchio che riflette l’immagine di chi si specchia.
Difficile reggere il confronto con se stessi, delle volte.
S’inanellano, chiudendosi a cerchio come fa l’Ouroboros – il quale, oltre a essere spesso citato dall’autore, è anche il titolo di un racconto – conducendoci a una percezione circolare che trascende le ghettizzazioni e i conformismi.
L’alto e il basso, la terra e il cielo, la volgarità con la purezza di un abito bianco da chierichetto, diventano equivalenti.
Colucci sfida il lettore, lo provoca, lo pungola.
Alla fine, però, invita il lettore a fare un improbabile conteggio (improbabile perché, ovviamente, ci si fida del suo risultato) tra le parole riconducibili ad una semantica positiva e quelle appartenenti, invece, a quella negativa. Nessuno dei due piatti della bilancia, pare pesare più dell’altro.
In effetti, ci sono stati anche parecchi tratti delicatissimi, certo non romantici, ma delicati sì.
In questo libro Colucci ci racconta il male semplice (qual è il limite per definirlo tale?) e quello che agita le budella.
Saltella tra una fiaba – più d’una a onor del vero – un mito o un pezzo biblico.
Ci fa assistere mentre Abramo salta, Pascal scommette, il vaso di Pandora si scoperchia e il serpente si avvicina a una mela verde che indossa una maschera.
Filosofia, teologia, semiotica, simbologia, bioetica, biologia ed esistenza, tutto questo trasuda da racconti non all’acqua di rosa, non benedetti da alcuno.
“I racconti sono impregnati di buio. Nel buio, a volte, si vede meglio. Nitidamente. Perché non ti vedi, e sei alienato, forzatamente eterocentrato.”
Leggetelo, fatelo fino alla fine, solo così il cerchio potrà chiudersi.
Lisa.
“Il Peccato originale” di Giovanni Stradano, 1583
Sinossi:
Un giornalista dalla scrittura ben poco giornalistica; una famiglia dove ognuno accudisce il proprio segreto come se fosse un tesoro; un grande magazzino in cui si vende un unico prodotto, perturbante e rassicurante allo stesso tempo.
E ancora: bambine divorate; medici alle prese con incomunicabilità intergenerazionale; immigrati lettori di Dumas… Sempre in bilico tra vita e letteratura, i racconti di Massimiliano Colucci mostrano un raro caso di telepatia: il pensiero dello scrittore si fa idea e l’idea si incarna in una lingua dallo stile talmente puntuale e coerente che si incide nell’immaginazione del lettore, tornando a essere pensiero attivo.
I piccoli, banali, corrosivi peccati che ogni giorno sfuggono agli esseri umani, i peccati di tutti i giorni, che commettiamo senza farci caso, sono descritti in questo libro con uno spirito chirurgico ma non spietato, ironico ma non crudele, attraverso uno sguardo che ci abbraccia tutti, senza lasciar fuori nessuno
Titolo: La mela e altri peccati poco originali
Autore: Massimiliano Colucci
Editore: Il Poligrafo (17 gennaio 2017)
https://www.amazon.it/mela-altri-peccati-poco-originali/dp/8871159829