ErnestoTorta: uno scrittore in controluce

       recensione di Maria Antonietta Macciocu

ernesto torta

Ernesto Torta scrive prevalentemente di notte.

Nel silenzio, le parole gli sgorgano copiose e scivolano sulle pagine, si rincorrono, s’incontrano, si scontrano, si amalgano tra loro o si dividono in strade differenti, evocano mondi o ne creano di nuovi.

Le lettrici e i lettori le trovano su Facebook appena svegli, come pane appena sfornato.

Le addentano, assaporano la fragranza di versi non comuni, di storie incuriosenti con finali inattesi, di sbalzi mentali su percorsi di fantasia, accumulano sprazzi di libri e autori, echi di film e di canzoni, ritmi di musiche e balli, sogni e tristi realtà, disincanto ed entusiasmi, voli e abissi. Caleidoscopi  che di giorno in giorno fanno volteggiare chi legge tra forme mutevoli, rischiando di generare dipendenza dall’attesa della sorpresa e della sfida.

 

Chi è Ernesto Torta?

Ma chi è Ernesto Torta, creatore di poesie che a volte sembrano prosa, di prosa che a volte sembra poesia, di testi che non attendono altro che un musicista e un cantante, di immagini che sono pittura e cinema e fumetto, di sogni consapevoli di esserlo e di realtà dimesse viste sempre con occhi amorevoli, di emozioni e di sarcastici sberleffi?

È un fenomeno passeggero da social, una novità del momento, o i social sono stati solo iI tramite per farlo scoprire al pubblico, che lo apprezza e lo ama, e agli editori pronti a pubblicarlo?

Che non sia una moda fittizia e un capriccio lo dimostrano i libri di poesia e di prosa che Ernesto Torta ha scritto nel corso degli ultimi anni a ritmo sostenuto, passando dal genere fantastico a quello del romanzo di formazione, dai “Graffi”, brevi messe in prova di poesie, ai versi di “Amo la vita luce a volte ombra”, più organizzati e compiuti, ma ancora  impigliati in un’impostazione troppo letteraria e scolastica.

Chi ha letto i libri sopracitati ritroverà in Scrivo di notte e… ho una Moleskine molti dei temi cari all’autore, ma all’inizio farà fatica a orientarsi, perché combinati in forme libere, in pensieri erranti, in parole che vagano tra generi artistici differenti e spesso si stratificano in più significati, snodandosi per analogie, metafore,  assonanze, consonanze, personificazioni con qualche incursione nella rima.

Dice Ernesto Torta:

“Io scrivo come dipingessi per pennellate,  parto da uno spunto e dopo il primo verso mi abbandono a una serie di suggestioni senza un apparente filo logico, compongo per associazioni istantanee.

Sta a chi legge andare oltre, cogliere e far propri i substrati, quando ci sono. Ricomporre il puzzle per tessere”.

Aggiungo che non è indispensabile capire sempre tutto nella poesia di questo come di altri autori, perché talvolta i punti oscuri arrivano in modo più diretto alla nostra psiche, smuovono le acque ferme dell’inconscio e delle emozioni, rievocano sensazioni di vita e di formazione individuale e collettiva. Li cogliamo nella parte più nascosta di noi.

La poetica di Ernesto Torta è il manifesto di un eretico che sta nel mondo in direzione ostinata e contraria, attento a non omologarsi e a non fermarsi mai, allergico ai precetti della metrica, ai gruppi autoreferenziali, alle catalogazioni e alle competizioni, consapevole comunque che “pensarsi liberi è l’unico modo per finger di esserlo, il resto è teatro e non è detto che non sia insegnamento”.

E lui di personaggi ne ha interpretato tanti, bambino di periferia, studente liceale e universitario, semiprofessionista in una squadra di calcio, comunista, operaio, cronista, organizzatore di spettacoli, figlio, amico, amante, marito, padre, scrittore, poeta.

E soprattutto indefesso consumatore di letture, musica, cinema, teatro, pittura e fumetto “Saltavo la merenda per leggere i libri”, “Mi sento meticcio quando si tratta di cultura”, in cui entra come protagonista in una mescolanza di storie, personaggi, ritmi, suoni, colori, atmosfere, che coincidono con le scelte di una vita sempre oltre, alla rincorsa di un altrove che magari non si troverà, ma che vale la pena della ricerca. Non sempre le colonne d’Ercole travolgono,

“Mi piace Ulisse/ e il suo/ navigare/ non sono/ naufrago/ ma radici/ e sale”.

Il modo di raccontare di Ernesto Torta è lieve, condito d’ironia, accompagnato dal sorriso, i finali sospesi fino all’ultima tirata dei dadi: si può essere profondi anche così, niente è più serio e coinvolgente del gioco.

È evidente che una materia così vulcanica, che si muove nel continuo guizzare e rimescolare parole in poesie istantanee, in storie fulminee con risvolti spiazzanti e rovesciamenti nel gioco e nello sberleffo, non può essere riordinata per tematiche ma proposta come è stata concepita, a caso.

“Come un’agendina in cui ogni istante ho appuntato qualcosa” sottolinea l’autore. “Frammenti che si inseguono e mettono in azione mondi di cui io sono le trait d’union”.

Il filo conduttore di Ernesto Torta è presente in tutte le poesie anche se declinato in immagini differenti: denominatore comune il viaggio della mente e del cuore di un irrequieto curioso della vita, la fedeltà alla libertà assoluta, al rifiuto delle convenzioni, al cambio di prospettiva, al continuo apprendimento, tra maestri e compagni e luoghi da lui prediletti.

Entrano nelle sue poesie-storie- canzoni Grandi della letteratura e dell’arte mondiali, protagonisti del Grande Cinema e della Grande musica, I versi si animano di riferimenti dotti, di mucchi e cavalli selvaggi, di rock and roll, jazz, blues, sound, tanghi, suonano trombe e chitarre.

Non è un frastuono ma un sottofondo da cui l’autore fa emergere la sua voce per raccontare di se’ in modo spesso surreale. Il tono leggero e ironico smorza ma non cancella la portata dei sentimenti, balenano solitudini e delusioni,

“porterò con me uno zaino di emozioni, le mie sconfitte e i miei amori”…

E chi è cresciuto tra gli anni Cinquanta e Ottanta, ha amato la Beat Generation e viaggiato con Kerouac come ora con McCarthy, si è immerso nelle atmosfere americane e nella piovosa Parigi di Simenon, ha amato e ama il cinema d’autore, ha ballato Elvis e I Beatles, ha venerato Bob e Jean, ha cantato Jonis, Michell e Cohen, ha sofferto per il Duca e Morrison, ha creduto nella Rivoluzione e nelle promesse di nuove società e ritrova gli sconfitti più sconfitti di prima, si riconosce in un patrimonio che gli appartiene.

La poesia di Ernesto Torta ha caratteristiche tutte sue.

È una poesia colta declinata in chiave pop, in un processo che dall’interno si espande all’esterno per essere condiviso. La poesia di un uomo di spettacolo che ha bisogno della platea e che per questo non esita a travestirsi da canzone, da ballata, da prosa.

È una poesia giovane perché sempre pronta a incuriosirsi ed entusiasmarsi alle tendenze dei nostri tempi, dall’underground alla musica indie e all’urban art. Perché sa essere scanzonata, irridente, maliziosa e demistificatoria come lo sono i giovani.

È una poesia civile, “è più facile parlare di niente che degli ultimi”, pietosa  verso “I Cristi in croce”, gli sbandati che ciondolano “in locali dove la notte è un crocevia”, i ragazzi incattiviti delle periferie care a Pasolini, i miserabili “mai desiderati”, “i destini naufragati”, le donne vittime di violenza; dolente perché la cultura è sempre e comunque borghese, la scala sociale si è bloccata, il lavoro è precario, il Meridione rassegnato, il nord supponente, le coscienze anestetizzate, l’orrore della guerra, raccontatogli dall’amata madre staffetta partigiana, è campana che ora sta per suonare a Odessa,

“ma a nessuno sembrerà di averla sentita”.

È una poesia anti romantica ricca di romanticismo, che trova la sua massima espressione nei temi dell’amore e delle donne.

Il trasporto, la complessità e la volatilità dell’amore non scadono mai in strazi e recriminazioni, non sfiorano mai il patetico.

Ma si muovono in atmosfere notturne e sognanti, in strade piovose, in piccoli bar fumosi, in attese spesso disattese, in occasioni perse, in campi di fiori, in attimi di cui restano tracce di ricordi.

Il cavaliere errante sa che l’amore è solo una sosta nel viaggio della vita, che il “per sempre” è spesso il tempo di una notte

“se ti leghi a me/sarà per sempre/ anche se il sempre/ è in questo istante”.

Meglio indossare la maschera di un Woody Allen seduttore maldestro ridendoci su.

Le donne di Ernesto Torta sono bionde, brune, rosse: splendenti di bellezza e di giovinezza accendono i pensieri, popolano i versi, chiudono quasi tutte le poesie. Si muovono sicure in storie ordinarie e straordinarie, riempiono i sogni e eccitano i sensi con la grazia dei loro corpi seducenti. In molte non è difficile individuare icone del cinema, dalle fatali in bianco e nero degli anni Quaranta alle grandi del technicolor e alle muse dei grandi registi, altre sono sconosciute ma il loro fascino non è inferiore a quello delle dive.

Altre ancora sono donne disfatte dalla vita, sole in locali di sabati sera tristi, i visi disperati e impauriti ma con ancora pigli di forza e determinazione.

Ernesto Torta ama le donne, le ama e le rispetta.

Le sue donne non sono né angeli né pericolose tentatrici, ma persone autonome che vanno nelle strade della vita, capaci di esporsi e di fare il primo passo, di avere il coraggio di andare via per ricominciare, di apprezzare un uomo che non faccia il giocoliere con frasi d’amore, di sedurre ed essere sedotte con la mente.

La carica sensuale che percorre le poesie non deborda mai in volgarità, l’uso di fantasiose metafore e analogie riesce a portare delicatezza anche nelle manifestazioni carnali più intime “Fammi l’America sotto la pioggia”,

“Del tuo odore mi inebrio/ dell’Eden conosco solo il lato oscuro”, “Sulle tue labbra/ mi accosterei a succhiare/ il resto/ già il resto…/ il resto a marinare”.

La donna è portatrice di bellezza, di grazia e di gioia sessuale, è presenza consenziente e pensante, mai corpo oggettivizzato.

#Ciao poeta” gli dice.

#Solo uno che scrive per libera scelta” si schernisce.

Ma lei sa che lo può dire, perché lui un poeta lo è. E lo sa anche lui.

Dice l’autore:

“Mi piace scrivere di tutto, provare il romanzo, avvicinarmi al racconto e al teatro, condividere una forma che accoglie. Scrivere per me è parlare con il lettore, farlo sentire dentro a qualsiasi storia”.

La silloge Scrivo di notte e… ho una Moleskine di Ernesto Torta si arricchisce qua e là di incisi in prosa, note sparse, racconti, dialoghi e pure di un incipit, chissà se di un futuro romanzo.

I più strutturati sono i racconti, pervasi da un umorismo nero alla Hitchcock, crime story dove la morte è più beffa che tragedia, fiabe a lieto fine e scorci di sogni e insicurezze d’amore, come la deliziosa lettera del ragazzino al suo primo innamoramento, dove le scorrettezze ortografiche rendono con immediatezza la freschezza acerba del sentimento.

Notevoli i flussi si coscienza sulla scrittura, in cui l’autore si inoltra nei pericoli di uno scrivere che si lasci contagiare dal successo, dalle reti delle mode per piacere a quante più persone possibile, dalle critiche ufficiali che blaterano di profondità e coinvolgimenti universali su storie “intonse di sentimento eterno”, dalle esigenze editoriali che piegano un amore libero in mestiere.

Ernesto Torta non vuole essere “né un poeta minimal né un romanziere”, né intrattenere un pubblico scontato con storie convenzionali, seppure da best sellers.

Vuole essere un amico, un giocoliere, un acrobata, un clown del circo che trascina il pubblico in un gioco oltre le frontiere, dove Mazinga si mischia con Kurosawa, Lansdale con Tarantino, Cage con Battisti, la vita col sogno, in un continuo scambio di approcci, rimandi e citazioni che suscitino la curiosità di imparare e sperimentare. Di andare sempre oltre.

Ernesto Torta vuole lasciare il suo segno di vivere, oltre che tra luci e ombre, soprattutto in controluce.

Link d’acquisto

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