“Con Beryl, perdutamente” di Liala
recensione di Viola Carrara
Lui e lei
Lui volto d’ebano, lei pelle chiara e occhi azzurri, di buona famiglia del varesotto, perduti i genitori molto giovane, vive col fratello in una sontuosa villa e prende lezioni di volo all’Aereoclub. Lei moderna, in grado di sfidare il pregiudizio di una società ancora molto razzista si innamora del capitano Beryl, in missione dal Congo per imparare a pilotare con destrezza un MB326, per poi insegnare ai suoi cadetti in terra africana. Lui bell’esemplare maschio di una razza non molto ben voluta dalle parti del lago di Varese, lei un fratello molto protettivo e un pretendente di ricca famiglia che già da tempo progetta di portarla nella sua tenuta veneziana. Un amore impossibile, pieno di ostacoli: famigliari, sociali e poi legali e infine una guerra civile, quella del Congo, che cambierà le sorti dei due amanti spingendo Gaya in un baratro profondo e cupo, da cui sarà difficile rialzarsi.
Un romanzo a puntate
Un intreccio lineare, che lascia poco spazio all’immaginazione e un finale da manuale, scritto dalla figlia (Liala arriva a pagina 119 di questo romanzo e poi decide di dedicarsi a una questione più urgente: il terrorismo in Italia, e lo fece con Frantumi di arcobaleno), e infine uno stile piatto, mai esagerato nei fronzoli ma elegante ed essenziale, fanno ricordare quelle che noi oggi chiameremmo telenovelas e che all’epoca erano i romanzi a puntate, o romanzi d’appendice, perchè attaccati in coda ai giornali una volta la settimana, con l’intento di fidelizzare il lettore. Della telenovelas ha anche la mancanza di spessore dei personaggi: non riusciamo a percepire fino in fondo i sentimenti dei personaggi o le sfumature dei loro caratteri, se non a tratti quello della protagonista, che si mostra ambivalente fra desiderio di Beryl e paura delle conseguenze a cui andrà incontro se deciderà di scappare con lui.
Il pubblico di Liala, protagonista di una svolta
Non innalzerei mai il nome di questo romanzo a un pezzo di letteratura, tuttavia Liala con i suoi romanzi d’appendice fu fra le prime scrittrici di romanzi in Italia e come tale si indirizzò al pubblico femminile, agli inizi unico consumatore del genere romanzesco, con intrighi e fantasie che per forza di cose dovevano far parte della sfera amorosa. Sì, noi femmine volevamo storie d’amore, ed è grazie alle donne che nasce e prende piede il romanzo in Italia. Inguaribili romantiche forse, ma iniziatrici di una tradizione.
E del genere femminile prende pieno possesso, svilluppandolo con una vena di modernità: specchio forse del carattere dell’autrice stessa che scelse il divorzio e si concesse diverse storie d’amore, la protagonista Gaya si atteggia in modo libero nei confronti di una società un po’ chiusa, affrontando le intemperie con sempre dritto davanti a se’ l’obiettivo, l’uomo che voleva vicino.
Cosa mi ha lasciato
Liala non scrive la storia d’amore che ti cambia la vita, resta in superficie, mostrando solo la patina esterna dei personaggi, lasciando la caverna dei sentimenti umani inesplorata. E tuttavia non è un’autrice priva di meriti, perchè ben si destreggia nella descrizione delle convenzioni sociali, nelle acrobazie necessarie alla protagonista per scavalcarle e ottenere ciò che vuole, l’amore libero, la libertà per una donna di decidere da se’ il suo destino, indipendentemente dal volere degli uomini di famiglia che hanno la tutela su di lei. In questa abilità mostra un talento quasi seduttivo, che lascia supporre ma non innesca, che afferra ciò che le persone attorno vogliono dire senza chiedere ed è maestra nel dirigere, una volta catturate le informazioni necessarie, tutti gli eventi a suo vantaggio.