Le solite notti – di Elvira Morena
Recensione di Pier Bruno Cosso
Le solite notti di di Elvira Morena (Marlin editore 2020) non sono mai le “solite” notti. Sono notti turbolente, spesso cattive, che ristagnano in laghi di infelicità.
Sono notti da espiare, perché Flora, la protagonista, batte la strada. Sì, fa la battona. Termine duro, crudele, carico di disprezzo, di quel disprezzo che può azzerare le persone. Di quel disprezzo esclusivamente coniugato al femminile. Perché, se ci pensiamo, non c’è un dispregiativo corrispondente per gli uomini.
Pur tuttavia questo è il termine che Elvira Morena usa più spesso per raccontare quel lavoro terribile. Anche “lavoro” è una parola usata molto spesso nel testo per parificare il sesso in liquidazione a qualunque altro lavoro.
L’autrice gioca con i termini, provoca, ferisce. Fa male. Solleva la questione morale in ogni riga; ma non dà mai una soluzione preconfezionata. Lei racconta soltanto, ed è brava a far trovare te al centro del giudizio da esprimere. Ti chiedi fin dove sia giusto arrivare, ma il tuo metro di giudizio si sfrangia, si confonde, diventa tormento.
Infatti nelle Solite notti la questione morale è uno specchio, non una soluzione.
Ti guardi riflesso, per capire come sei veramente, dentro.
È un gioco pericoloso: potresti non piacerti. E se quello che vedi non ti piace, Flora potrebbe esultare. Soddisfatta di averti colpito per farti male dove voleva.
Non è vendetta, ma ribellione alla sua vita di strada consumata a farsi sbranare da uomini che non capiscono. Uomini stereotipati che possono essere solo maschi.
Maschi, guardarsi dentro con sospetto. E non capire le donne di strada… o di casa. Mica poco. Tra le pagine di un libro, mica poco.
E stai tra le righe a stizzirti perché la parola “battona” te la sparano dritta in pancia. È tutto lì. Il termine “battona” nelle Solite notti è tutto lì. Come un veleno che se non sei vaccinato ti brucia.
Battona, per dissacrare il perbenismo borghese. Qualche volta “puttana”, come un coltello a due lame, ma mai
definite lucciole, che sta per aborti schifosi d’insetti.
Mentre puttane, per Flora, sono tutti quelli che hanno svenduto la dignità. Tutti quelli che si sono arresi, omologati come minestrine della sera. Non è mai una guerra dei sessi, è una guerra con la vita.
Siamo tutti puttane, se inseguiamo la vita senza spargimento di passioni e di sangue. Siamo tutte le solite puttane cristallizzati nelle Solite notti.
Dove “Solite” per Elvira Morena è un dispregiativo. È l’area più bassa e paludosa della vita.
C’è molta più vita lì, a battere le solite strade. La vita è lì, nelle Solite notti della Grande Pineta, al freddo dei lampioni.
Il freddo è l’altro tema traversale a tutto il romanzo. L’ambientazione, che potrebbe essere Bologna o una città fredda qualunque, è casuale. Il freddo invece è il grembo naturale e glaciale della storia.
L’autrice riesce a farci vivere il freddo, dentro e fuori. Quel grande freddo dei rapporti disumani frettolosi e mercenari. Freddo. Freddo che contamina. Freddo dentro le ossa che sorreggono i tormenti.
Forse è più vera la strada di quel passeggiare la sera nell’asfalto bagnato di umido, che le cucine domestiche con la puzza di minestrina.
Ancora un boomerang che le pagine delle Solite notti ci lancia addosso. E non importa se sei battona o “maestrina di minestrine”: è la vita che è sempre un po’ puttana.
Poi alzi lo sguardo dalla narrazione perché il libro scotta.
Parole come colata lavica sui sentimenti. Ci salveremo? Dipende da come ti guardi dentro. Il libro esplode, se sei bravo non ti esplode tra le mani.
Ripeto: mica poco, in un libro.
Il mio lavoro mi rende una donna libera, un gradino più in alto rispetto alla mischia di donne schiave del sistema famiglia. Mogli e madri rinchiuse nei giochi a incastro in cui se il mattoncino cede, l’intero edificio crolla.
E Flora riprende la sua vita circolare tra borsetta che ondeggia, tacchi a spillo e minigonna rosso fragola. La vita passa di lì. La vita che ferisce e che non fa prigionieri passa di lì, con indifferenza. E non importano i sentimenti di una battona; lei no. A lei i sentimenti stanno come la luce del sole per Dracula: fuoco, pericolo, spavento.
Ma lei non è il mostro. Lei è quella che se l’ha giocata in una sola puntata.
Si gioca una vola sola. Sempre. Non c’è trucco, tutto in una sola manche.
Vinci o perdi, ma l’amore è solo un gioco. O un pericolo da evitare, perché nelle Solite notti l’amore è un’utopia che può ferire a morte.
La storia racconta di un giorno dopo l’altro come anelli di una catena fragile, usurata e lasca. Una catena che non puoi tirare, che si può spezzare. I sentimenti sono un lusso, oppure non sono veri, oppure sono una trappola.
Flora così ci porta nel suo viaggio. Nel suo viaggio interiore. Perché la narrazione avviene su due livelli, quello degli eventi e quello della ricerca interiore. Quest’ultimo ci regala le emozioni più forti. Quest’ultimo è quello che ti affascina; ma è quello dove ti potresti perdere.
È proprio il livello interiore che facilmente prende il sopravvento e detta le regole dell’arte della guerra. Interiorità e metafore. Interiorità che squarcia le metafore. La scrittura diventa lirica.
Ritmo serrato e continui stacchi della telecamera. Dentro la pancia della protagonista, dentro la tua pancia, e prima di accorgertene sei su una strada squallida al freddo. Ci vivi, forse da sempre. Ci vivi, e forse ti ribellerai. Forse, Flora ti ha dato la scossa, e rivedrai l’ordine dei valori.
Molto semplice, ma molto difficile. Forse non sei in un libro, forse sei davvero nella periferia di te stesso.
Ma Le solite notti ti bisbiglia che, forse, puoi fare meglio.
Link d’acquisto: https://www.marlineditore.it/shop/83/83/1873_le-solite-notti.xhtml?a=113,
Sinossi
Flora è una ragazza semplice che, perduti i genitori, emigra al Nord, in una città che ricorda vagamente Bologna. Con l’aiuto di Peppe, unico amico che si ritrova, prende a lavorare come commessa in un negozio periferico. Ma, non sapendo arginare rapine e piccole truffe, viene sbattuta fuori dalla titolare della rivendita e si ritrova ancor più disperata e sola. Allora affida la sua sopravvivenza nelle mani di Peppe, che a sua volta ha affidato la sua nelle mani di Rosario, il potente boss locale, dedito allo spaccio di droga e allo sfruttamento della prostituzione. Flora accetta ogni compromesso morale ed entra a far parte del gruppo di prostitute in servizio in una precisa area della periferia: Pineta Grande. La lunga catena di disperati si allunga quando Flora s’innamora di Marco, il giornalista delle ronde notturne, a caccia di mondi sommersi per dossier da prima pagina, al quale interessa solo fare uno scoop. La cocente delusione colpisce Flora e le offusca l’ultima casella destinata ai sogni. Forse solo allora apre davvero gli occhi e le si palesa davanti la precarietà di una vita consumata sulla strada, in auto occasionali e con uomini senza volto, che indossano gli stessi abiti e lo stesso nome. Intanto, rischia la galera, sopravvive a una lunga interrogazione della Polizia e scaccia con disprezzo Peppe che, invece, nutre da tempo una sotterranea passione per lei. Ma il boss Rosario decide di averla tutta per sé… Dotata di uno stile e di un linguaggio molto personali, la scrittrice trasporta il lettore in un sordido ambiente, frequentato da delinquenti e donne di strada, ma sa anche donargli pagine che incantano e fanno meditare.