“Cecità” di José Saramago

Recensione di Serena Pontoriero

“Cecità” di José Saramago racconta la storia di un’epidemia di cecità che, senza spiegazione, colpisce improvvisamente tutti gli esseri umani. Se la sinossi ufficiale descrive l’ambientazione “In un tempo e un luogo non precisati”, Saramago lascia tuttavia numerosi dettagli sullo spazio e sul tempo in cui si svolge l’azione. Sappiamo che il romanzo è ambientato in una città, sappiamo che si tratta della nostra epoca (vi sono riferimenti ad oggetti che fanno parte del nostro quotidiano), sappiamo che ad un certo punto nevica, poi vi sono piogge torrenziali, si teme il caldo, il che lascia intendere che la vicenda si svolge durante diversi mesi, fra l’inverno e la primavera.

Si va in cerca di indizi poiché il punto forte di questo romanzo è l’assenza della vista: nessuno vede, né i personaggi né il lettore. Quest’ultimo si trova catapultato in una storia priva dei riferimenti a cui siamo abituati. Si procede a tentoni, ci si appoggia qui e lì, agli appigli che si trovano sul cammino, ci si inginocchia e si avanza a rilento.

I personaggi non hanno nomi propri. Di loro si conoscono solo gli odori, i contorni e alcune caratteristiche sociali: il medico, la moglie del medico, il primo cieco, il ragazzino strabico e così via. La cecità totale è tuttavia narrabile grazie ad una sola persona, la moglie del medico: l’unico essere umano ad esser rimasto vedente.

Paradossalmente, i suoi sensi intatti, conferiscono alla storia tutta la sua tragicità. Solo questa donna ha il potere e il fardello di descrivere lo stato di annientamento in cui tutti versano dopo aver perso la vista. E come in un effetto a cascata, con essa si perde il cibo, l’acqua, la casa, i vestiti, ogni qualsivoglia forma di etica, la vita e, soprattutto, la dignità. Infatti, la moglie del medico, più volte teme, e segretamente spera, di diventare cieca anche lei per non vedere tutto l’orrore che le si profila davanti. Impotente davanti a tanta disperazione, non potrà che cercare di barcamenarsi in una giungla dove neanche il più forte sopravvive.

“Cecità” si pone come il contrario del mito dell’aedo. Nell’antichità, infatti, l’aedo, era colui a cui era affidato il compito, importantissimo, di raccontare le storie degli antenati e, per la via della parola, tramandare la tradizione affinché il futuro potesse costruirsi.
Gli aedi per portare a termine la loro missione, erano ciechi. Questa condizione era necessaria per che le muse potessero illuminarli con loro saggezza e con la loro grazia e conferire loro l’arte della musica e della poesia. In un mondo di vedenti, l’aedo non vedente, era colui che era “graziato”, guidato dalle Grazie.

José Saramago, invece, si ispira al mito della caverna di Platone acuendone la tragicità. Per Platone, gli uomini sono tutti ciechi e vedono solo le ombre delle cose. Solo il filosofo è colui che vede e che può avere delle risposte. Egli è tuttavia oggetto di scherno dalla parte dei suoi simili e la sua sola consolazione è quella di poter contemplare il Vero. In “Cecità” anche quest’ultima forma di consolazione è completamente assente. La moglie del medico, la sola vedente, non si consola per il fatto di conoscere la verità, anzi questa conoscenza la sprofonda ancor più nell’abisso della disperazione.

Una forma di sostegno morale le sarà dato da altre donne e da un cane randagio. Saramago sembra far suo l’insegnamento per il quale “gli ultimi saranno i primi” e, infatti, le donne ed il cane, esempi della parte “debole” della società, di quella parte che viene prevaricata, violentata e sottovalutata nel quotidiano, si faranno i portatori di un messaggio di rinascita.

In conclusione, “Cecità” è una lettura difficile, sia per la forma che per i contenuti. Il lettore dovrà avere pazienza e lasciarsi guidare dalla mano della moglie del medico. Egli sarà ricompensato scoprendo una storia talmente avvincente che non si potrà più fermare.

Un capolavoro che resta nel cuore e nella testa e che, si spera, funga da baluardo agli assalti dell’umana follia.  

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Sinossi

In un tempo e un luogo non precisati, all’improvviso l’intera popolazione diventa cieca per un’inspiegabile epidemia. Chi è colpito da questo male si trova come avvolto in una nube lattiginosa e non ci vede più. Le reazioni psicologiche degli anonimi protagonisti sono devastanti, con un’esplosione di terrore e violenza, e gli effetti di questa misteriosa patologia sulla convivenza sociale risulteranno drammatici. I primi colpiti dal male vengono infatti rinchiusi in un ex manicomio per la paura del contagio e l’insensibilità altrui, e qui si manifesta tutto l’orrore di cui l’uomo sa essere capace. Nel suo racconto fantastico, Saramago disegna la grande metafora di un’umanità bestiale e feroce, incapace di vedere e distinguere le cose su una base di razionalità, artefice di abbrutimento, violenza, degradazione. Ne deriva un romanzo di valenza universale sull’indifferenza e l’egoismo, sul potere e la sopraffazione, sulla guerra di tutti contro tutti, una dura denuncia del buio della ragione, con un catartico spiraglio di luce e salvezza.

 

Scheda Libro

Autore: José Saramago
Titolo: Cecità
Casa editrice: Feltrinelli