Dalle parole alla musica
Voce alla Musica
rubrica a cura di Gianna Ferro
“La musica non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, poiché può servire per l’educazione, per procurare la catarsi e in terzo luogo per la ricreazione, il sollievo e il riposo dallo sforzo”. Aristotele
I legami tra la letteratura e la musica sono antichissimi. La stessa parola “mousiké” racchiudeva le tre arti ispirate dalle muse: poesia, musica e danza. Molta parte della letteratura nasce come supporto a melodie, e viceversa, molte melodie sono state composte appositamente per accompagnare racconti.
Nel Medioevo il poema dantesco rese evidente questa commistione: suggestioni sonore e visive hanno sempre il compito di rafforzare l’efficacia narrativa. Così, l’oscurità dell’Inferno è rappresentata attraverso il suono assordante del corno del gigante Nembroth e le uniche voci udibili sono le grida e i pianti dei dannati. Mentre, canti e suoni talmente soavi da non poter essere descritti accompagnano Dante nel Paradiso. Lo stesso poetare dell’autore, il suo procedere per metafore, potrebbe poi rievocare alla nostra mente un canto musicale.
I poemi classici, in particolare le chanson de geste, i poemi cavallereschi, le ballate medievali o l’opera sono soltanto alcuni esempi di questo profondo legame tra letteratura e musica.
Una delle tante funzioni della musica è quella di accompagnare parole, componimenti, che sono poesie a tutti gli effetti,oppure, può semplicemente esserne la fonte ispiratrice.
Eugenio Montale, in un’intervista del ’66, affermò di aver scoperto la poesia grazie alla musica, in particolare quella di Debussy, che gli fece “un certo effetto“.
Oltre ai grandi della musica classica, anche musicisti di musica pop e cantautori italiani, con i loro brani, si sono ispirati a componimenti letterari.
Voglio parlarvi di artisti che hanno fatto la storia della musica internazionale e italiana.
Il celebre brano dei Rolling Stones, Sympathy for the Devil, ha come protagonista Lucifero che parla, o meglio canta, in prima persona attraverso la voce di Mick Jagger. La canzone sembra ispirarsi al romanzo Il Maestro e Margherita dello scrittore russo Bulgakov.
Ascolto – https://www.youtube.com/watch?v=XoeblKHWdkA
I testi di Morrissey sono intrisi di riferimenti letterari. Nella sua discografia sono evidenti molti casi, ma il più clamoroso è “Cemetary Gates” che presenta cenni espliciti a Keats, Yeats e Wilde.
Patty Smith, invece, è ben nota per avere inserito nei suoi testi collegamenti con Arthur Rimbaud, di cui è sempre stata innamorata sin da giovane e che è stato nel tempo quasi un’ossessione più che fonte di ispirazione.
Bob Dylan, che forse è l’ultimo “Trovatore” del nostro tempo e che ha sempre avuto una devozione assoluta per la poesia al punto di scegliersi dentro di essa il suo nome d’arte, il suo è Zimmerman. La sua canzone letteraria più famosa è probabilmente Desolation Row in cui egli si riferisce a Ezra Pound e T.S. Eliot.
Ascolto – https://www.youtube.com/watch?v=CBRQO6j9JeM
Ma la magia del legame, tra queste due arti, si realizza al massimo quando, con una canzone, un album, si vuole raccontare un componimento letterario, per dargli una nuova interpretazione e anche una nuova vita.
Uno dei casi più espliciti è senza dubbio “Tales of Mystery and Imagination” degli Alan Parsons Project, album che racconta sei storie di Edgar Allan Poe: “The Raven” rappresenta l’omonima poesia, forse la più famosa di Poe, e per ironia della sorte diventa una delle canzoni più celebri del gruppo.
Ascolto – https://www.youtube.com/watch?v=wrncYvCr3BM
Kate Bush che con “Wuthering Heights” riprende l’omonimo romanzo di Emily Brontë.
Ascolto – https://www.youtube.com/watch?v=7Ho2r9tU4fs&list=RD7Ho2r9tU4fs&start_radio=1&t=0
Anche i Queen non sono da meno: dietro “Bohemian Rhapsody” si nasconde “Lo straniero” di Albert Camus, uno dei romanzi-chiave del Novecento. Freddie Mercury dà voce ad un personaggio privo di sentimenti, che pare abbia ucciso un uomo, poi, arriva la confessione alla madre.
Ascolto – https://www.youtube.com/watch?v=hMCtRHt3-UI
Anche la musica italiana è partecipe di questa bellissima commistione con la letteratura.
Primo fra tutti Fabrizio De André: con il suo album “Non al denaro, non all’amore né al cielo” celebra l’ “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters.
Le epigrafi in versi diventano lo spunto per la creazione di personaggi come “Un giudice”, “Un chimico”, “Un matto”, “Un malato di cuore”. Qui ci ritroviamo davvero davanti ad una poesia al quadrato, poesia che ispira e fa nascere altra poesia.
Con “S’i fossi foco“, in Volume III ,del 1968, musica il celebre sonetto, con lo stesso titolo, del senese Cecco Angiolieri e un brano tradizionale francese del XIV secolo, “Il re fa rullare i tamburi“
Ascolto – https://www.youtube.com/watch?v=4pAFh7vnaxw
Franco Battiato in Invito al viaggio si è ispirato certamente all’omonima poesia contenuta ne I fiori del Male del poeta francese Baudelaire.
Ascolto – https://www.youtube.com/watch?v=UX2FT9oqc3I
Francesco Guccini, che con Gulliver rivisita le avventure del Lemuel Gulliver di Jonathan Swift. Ancora Guccini, con Ophelia, dall’album Due anni dopo del 1970, porta in musica il personaggio dell’Amleto di Shakespeare; ma non sono, questi, gli unici riferimenti letterari del cantautore romagnolo che si dedica anche il Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand, e a citazioni tratte da Don Chisciotte, Madame Bovary e dall’Odissea.
Il Burattino senza fili di Edoardo Bennato, un intero album,del 1977, dedicato al Pinocchio di Carlo “Collodi” Lorenzini; così come in Sono solo canzonette, del 1980, fa con il libro di James Berry, Le avventure di Peter Pan.
Ascolto – https://www.youtube.com/watch?v=4SK1KN6ToNw
A Cent’anni di solitudine, di Gabriel Garcia Marquez si sono ispirati i Modena City Ramblers con il loro disco, del 1997, Terra e libertà.
Max Gazzé, già altre volte ispirato da poeti del passato, con Elemosina porta in musica una poesia di Stéphane Mallarmé. Meravigliosa anche la Leggenda di Cristalda e Pizzomunno che ha radici nella leggenda pugliese.
Roberto Vecchioni che in molte delle sue canzoni ha inserito riferimenti letterari come la citazione del romanzo di Evtušenko in La stazione di Zima e la parafrasi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi, della quale sostituisce “Asia” con “aria”.
Ascolto – https://www.youtube.com/watch?v=H4Ztb2GqOwE
Voglio, però, soffermarmi su Fabrizio De Andrè per parlare di un canto che è pura poesia, di parole significative e significanti, come “Papaveri Rossi” de “La guerra di Piero” e provare ad analizzarla.
La guerra di Piero, canzone celeberrima dell’inizio degli anni 1960, è il racconto al contempo dolce e triste della contradditorietà e stupidità della guerra, fatto dal punto di vista di chi l’ha vissuta in prima persona, un semplice soldato.
Come un vero e proprio racconto, abbiamo qui essenzialmente due voci: quella del narratore e quella del protagonista: il narratore è esterno e parla in terza persona, ma in alcuni momenti entra nella narrazione con le sue esortazioni “Fermati Piero”, “Sparagli Piero” e poi c’è lui, Piero.
– la morte: il dormire sepolto, l’ombra dei fossi, i cadaveri dei soldati, l’inverno, i morti in battaglia, la croce, i colpi da sparare, il vedere un uomo che muore, le parole gelate.
– la vita: il grano, i papaveri rossi, i lucci argentati, la primavera, la figura dell’amata Ninetta.
– il tempo: il fermarsi, il tempo che passa, il passare delle stagioni, il tempo che rimane per vedere, il non ritorno dalla morte.
Ascolto – https://www.youtube.com/watch?v=Y1ldk2eAWOM
Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi
Il racconto inizia descrivendo dove è sepolto il povero Piero, che essendo stato pacifista, i non voleva andare in guerra eppure è stato costretto a partire.
Lungo le sponde del mio torrente
Voglio che scendano i lucci argentati
Non più i cadaveri dei soldati
Portati in braccio dalla corrente
Così dicevi ed era inverno
E come gli altri verso l’inferno
Te ne vai triste come chi deve
Il vento ti sputa in faccia la neve
Fermati Piero, fermati adesso
Lascia che il vento ti passi un po’ addosso
Dei morti in battaglia ti porti la voce
Chi diede la vita ebbe in cambio una croce
Ma tu non lo udisti e il tempo passava
Con le stagioni a passo di giava
Ed arrivasti a varcar la frontiera
In un bel giorno di primavera
Il valore della pace, gli rimane anche in guerra e lui, ignorando qualsiasi istinto di sopravvivenza, ci tiene a conservare i propri valori: sono tutti esseri umani, anche se al di là della frontiera ci sono quelli considerati i nemici.
E mentre marciavi con l’anima in spalle
Vedesti un uomo in fondo alla valle
Che aveva il tuo stesso identico umore
Ma la divisa di un altro colore
Qui il messaggio pacifista di De André: “quella che cambia è solo l’apparenza, hanno le divise diverse ma sono sempre uomini: dobbiamo rendercene tutti conto”.
Sparagli Piero, sparagli ancora
E dopo un colpo sparagli ancora
Fino a che tu non lo vedrai esangue
Cadere in terra a coprire il suo sangue
E se gli spari in fronte o nel cuore
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per vedere
Vedere gli occhi di un uomo che muore
Si trova nel mezzo di un combattimento a fuoco. L’istinto gli direbbe di fregarsene del fatto che l’uomo con la divisa di colore diverso, nemmeno lui voleva andare in guerra. Fosse per Piero, i due, potrebbero anche diventare amici! Ma la guerra è guerra.
E mentre gli usi questa premura
Quello si volta, ti vede e ha paura
Ed imbracciata l’artiglieria
Non ti ricambia la cortesia
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che il tempo non ti sarebbe bastato
A chiedere perdono per ogni peccato
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che la tua vita finiva quel giorno
E non ci sarebbe stato ritorno
Sopravvive chi spara per primo e se Piero ha avuto l’istinto pacifista, l’altro uomo si è visto davanti un nemico e ha pensato alla propria sopravvivenza: per ogni Piero che vuole la pace, c’è sempre un altro che vuole la guerra, ma Piero è caduto, colpito a morte, con la coscienza pulita di essere andato in guerra ma senza aver ucciso nessuno.
Ninetta mia crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo, coraggio
Ninetta bella dritto all’inferno
Avrei preferito andarci in inverno
E mentre il grano ti stava a sentire
Dentro alle mani stringevi un fucile
Dentro alla bocca stringevi parole
Troppo gelate per sciogliersi al sole
Piero se n’è andato e, morendo, pensa alla sua presunta fidanzata lasciata in patria a sperare in un ritorno che non ci sarà più, a pensare che il suo Piero se n’è andato in primavera. Piero, finito da eroe in un inferno che non meritava, stringendo in mano l’arma mai usata e con un sacco di parole non dette.
La guerra di Piero è forse uno dei più bei brani italiani contro la guerra, tanto che è anche stata usata su dei libri di scuola. E pensare che quand’è uscita, nel 1964, risultò addirittura invenduta,per poi avere un successo strepitoso anni dopo, con le contestazioni studentesche del 1968 e tutti i vari movimenti pacifisti.
Forse è vero ciò che sosteneva Heinrich Heine che
la musica comincia dove le parole finiscono. O chissà magari sfumano l’una nell’altra.