Siediti e leggimi di Emma Fenu
Lettere al Femminile
A cura di Maria Cristina Sferra
Care amiche e cari amici di Cultura al Femminile, per la rubrica quindicinale Lettere al Femminile pubblichiamo oggi una missiva di Emma Fenu, una lettera dedicata a tutti coloro che giudicano con superficialità il difficile percorso intrapreso da un’altra persona senza conoscere le motivazioni profonde che muovono le scelte altrui.
A colei e colui che ritengono egoistica ossessione
la ricerca di un figlio tramite fecondazione assistita.
Siediti e leggimi,
ti chiedo attenzione e accoglienza ma non commiserazione.
Sarò sincera: io mi piaccio; sono talvolta disperata, arrabbiata, delusa, ma più spesso molto entusiasta e molto invidiata, e dirlo pare sconveniente, soprattutto se non si ha nulla di eccezionale da mostrare.
Non ti dirò che avere il figli è il senso della vita, soprattutto se si è donne e si ha un forte istinto materno.
Io ne sono la prova: ho fatto il mio possibile e il mio impossibile per essere madre, ma non mi sono mai sentita sminuita come persona e come Donna, non mi sono attribuita colpe, non ho pensato di dover raccogliere i cocci di un fallimento.
Non ho fatto dell’infertilità e della ricerca di un figlio un sogno carnivoro di altri progetti, eppure ho dovuto concedergli in pasto qualche morso di anima e corpo, in un equo compromesso.
Non ti dirò che accetto il destino o il volere di Dio, perché un demiurgo ha tracciato per me un disegno che potrò scorgere solo nell’ultimo sguardo su questa terra.
Io sono qui e ora, e l’ingiustizia di una privazione non la accolgo come ospite benedetto, la prendo a calci, la insulto. Ma sto imparando ad abbracciarla.
Non ti dirò che mi sento fortunata perché, oltre alla maternità, altro mi è stato tolto: la certezza di un lavoro e una casa e una buona salute, che prescinde dall’infertilità e riguarda altri organi.
Sono consapevole dei doni che ho ricevuto, con merito o senza, ma io non mollo e non mi arrenderò finché il punto a questa mia vita non lo metterò io, e vado a capo, ricomincio da capo, sono il capo.
Il gioco sta nel riscrivere la fiaba, dare alla principessa nuovi poteri magici e renderla felice e contenta senza diadema, palazzo con guglie, carrozza e manina guantata che saluta.
Non ti dirò che sono grata a ogni dolore perché mi ha permesso di scavare spazio alla gioia, sono certa si viva bene anche senza le unghie sporche di terra e sangue. Eppure, delle mie eclissi da dea Luna sono fiera.
Non ti dirò che mi sento migliore o peggiore di te; a me interessa essere me, non siamo in gara, questo è un viaggio e ti tendo la mano.
Ti scrivo adesso, proprio adesso che ho meno convinzione su ciò che voglio, ma so che ho qualcosa di indistinto proprio dentro le mie mani. O forse lo è, ma bisogna che io apra i pugni e lo scopra.
Ti scrivo adesso, in una delle fasi più difficili del mio percorso di Donna, perché se corressi in discesa non mi fermerei e perderei l’opportunità di aprire il vaso di Pandora per farne uscire tutti i mali e rendermi conto che erano già scappati ed era il vaso a gravarmi sul cuore.
Con affetto,
una Donna madre e non mamma
Per partecipare alla rubrica quindicinale Lettere al Femminile sul sito Cultura al Femminile, inviate la vostra lettera allegata in formato Word a letterealfemminile@gmail.com