Caro panico di Alessandra Patrignani
Lettere al Femminile
A cura di Maria Cristina Sferra
Care amiche e cari amici, per la rubrica quindicinale Lettere al Femminile su Cultura al Femminile pubblichiamo oggi una missiva di Alessandra Patrignani, una lettera dedicata al panico – nemico, amico, e a volte maestro – la cui presenza ingombrante rende difficile godere a pieno del percorso della propria vita. Un tema complesso che merita la lettura.
Caro panico,
è la prima volta che ti scrivo da quando hai deciso di farmi compagnia.
Ci siamo trovati, come spesso accade, un po’ per caso… o almeno a me così è sembrato, anche se dicono che questo tipo di “amicizie” non arrivino mai casualmente.
Sei nella mia vita da tanti anni e non abbiamo mai avuto un rapporto molto lineare: ti ho odiato, ho fatto finta di accettare la tua presenza. Che dapprima aveva il volto dell’ansia.
Sì, è cominciata così la nostra amicizia.
Siamo diventati amici di ansia, poi siamo diventati amici di panico. La relazione andava “a gonfie vele” tanto da diventare amici di agorafobia.
Sai panico, io non mi vergogno a parlare di te a tutte le persone che leggeranno queste parole… no, non mi vergogno più. Non ho nulla di cui dovermi vergognare, o motivi per cui nascondermi dalla nuda verità.
Siamo insieme, è vero, e la tua è una presenza davvero molto ingombrante a volte.
Sei come una sorta di muro di sentinella che si frappone tra me e le altre persone, o forse proprio la vita in generale.
Tu sei lì, sopra, a guardare chi e che cosa si avvicina a me.
Da un lato la tua amicizia mi aiuta ad allontanare tutte quelle persone e situazioni che non hanno futuro, che non hanno solide radici e che – dunque – rovinerebbero al suolo al solo passaggio di una folata di vento.
Dall’altro lato, la tua presenza è scomoda, inutile cercare di ammettere il contrario: sei un amico che non perdona, sei un amico che spesso butta a terra emotivamente (ma allora che amico sei?), sei un amico che funziona come un genitore iperprotettivo… quando dici di no è no, e ben poche volte dici “sì, vai, sei libera”.
Sei come una parete costrittiva, sei come un velo grigio sui colori vivaci e affascinanti della vita… li cospargi di insensatezza, li cospargi di paura, di immobilismo, li cospargi di insicurezze.
Tutto il corpo richiami con la musica dell’insicurezza e lo fai ballare ad un ritmo che parla di una vita a metà, una vita in cui ogni minima cosa appare come una porta chiusa a chiave da sfondare con la forza di un ariete.
Ci sono momenti in cui tu, caro panico, ti senti un po’ solo e hai bisogno di rimanere più spesso con me.
Ma lo sai che da me si dice che “gli ospiti dopo 3 giorni puzzano”?
Beh, tu dovresti farti un bel bagno profumato.
Non voglio mica offenderti, ma sento il dovere di dirtelo in nome del legame che abbiamo da anni.
Hai bisogno da staccarti da me e prendere un po’ d’aria fresca, nuova.
O forse, caro panico, tu non sei un mio amico.
Tu sei me.
E quella ad aver bisogno di respirare aria nuova, fresca, pulita sono io.
Forse rimani per dire “sono con te perchè voglio dirti che devi trovare il modo giusto per invitare me alla porta assieme a tutto quello che ti stressa, tutto quello che ti fa paura, tutto quello che nella vita non ti piace o vorresti cambiare. Conduci ai margini della tua esistenza ciò e coloro che sbattono il tuo amor proprio, la tua libertà e la tua presenza contro il muro della cattiveria, del grigiore. Tutti coloro che ti danno per scontata e non vedono l’immenso valore che hai. Tutto quello che ti spegne, è da spegnere.”
Sai panico, alcuni medici famosi dicono che puoi essere destrutturato attraverso percorsi mirati e tanta tanta buona volontà.
Certamente sei un tipo caparbio, non molli la presa. Esattamente al contrario di me, che ho sempre mollato al primo ostacolo.
Certamente sei un tipo sicuro di te, per imporre così la tua presenza. Al contrario di me, che mi sono sempre sentita fuori luogo, fuori posto. Sbagliata. Come mi sono sentita, per tanto tempo, essere diversa dagli altri.
Caro panico, mi viene da riflettere ora circa il fatto che la nostra decennale relazione non sia “amico-amico”, ma bensì “allievo-maestro”.
Tuttavia io vorrei dirti che dei tuoi insegnamenti e della tua presenza ne ho davvero le tasche piene.
Mi rendo conto che, se sei qui, evidentemente ho tanto da dover sistemare con le mie sole forze.
Vuoi dirmi, per caso, che sbaglio a pensare di non valere quanto tutti gli altri?
Hai ragione.
Vuoi dirmi, per caso, che sbaglio a non lottare con tutte le mie forze per i miei sogni laddove circostanze esterne avverse mi fanno abbattere?
Hai ragione.
Vuoi dirmi, per caso, che i complimenti sinceri che rivolgo agli altri… spesso dovrei farmeli io per prima la mattina senza essere così ipercritica nei miei confronti?
Hai ragione.
Vuoi dirmi, per caso, “tira fuori dal vaso di Pandora tutto quel coraggio e quella grinta che non ti sei mai riconosciuta”?
Hai ragione.
Vuoi dirmi, per caso, “amati e lasciati amare dagli altri e dalla vita!”?
Hai ragione.
Caro maestro,
non sei una presenza comoda. Vorrei che tu andassi via, ma probabilmente il primo a volersene andare…sei proprio tu. Non è così?
Puoi rimanere ancora un po’, maestro panico ma promettimi che torneremo ad essere amici di ansia e poi… mi guarderai vivere, senza riserve, i colori della vita, da dietro una finestra, sorridendo per me e per la mia ritrovata serenità.
Esattamente quello che faccio io ora, guardare la vita che sboccia… dietro il vetro di una finestra. Ma con te accanto, con il nostro velo grigio di chi crede di non potere.
Scendi da quel muro, vai in pensione, smettila di fare da sentinella.
Fammi rompere la campana di vetro e fai stare me sull’uscio della porta ad accogliere o mandare via anime e circostanze.
Ne sono capace! Io sono capace! Io sono in grado di fare tutto ciò che ritengo di voler o poter fare! Ho il comando di me stessa! Ho valore.
Ma… tu questo lo sai da molto tempo prima di me, vero?
Ciao panico,
ti vorrei concedere un abbraccio, ma è urgente che tu possa goderti la pensione.
Grazie.
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