Scrittrici dimenticate
Di Silvia Lorusso
Le donne scrivono, molto. E da sempre. Eppure nei libri di scuola sono ai margini, se non addirittura introvabili. Sulle penne femminili è stata calata una coltre di nebbia, privando così della luce le loro opere e i loro nomi. Sta noi riportarle in superficie, rendere visibile il contributo delle donne nella poesia, nella letteratura, nella storia.
Sono tantissime, purtroppo per problemi di spazio potrò citarne solo qualcuna.
Ho scoperto Vittoria Aganoor Pompilj grazie al saggio a lei dedicato da Jhon Butcher, edito nel 2007 da Nuova S1. Eppure la nobile poetessa è una delle figure più interessanti del panorama lirico dell’Ottocento. La famiglia dei conti Aganoor è di origini armene, passata in Persia nel XVII secolo e trasferitasi in Europa 1813. Nel 1855 nasce Vittoria, e la famiglia risiede a Padova in un palazzo signorile detto: “Casa degli armeni” a Padova.
Vittoria ha una personalità forte, caratterizzato da sbalzi di umore. Studia privatamente con l’Abate Giacomo Zanella (1820-1888) a Padova, in seguito a Napoli – dove la famiglia si trasferisce – con Enrico Nencioni, redattore del Fanfulla della domenica.
Nella città partenopea frequenta De Gubernatis e Matilde Serao, Salvatore Di Giacomo, Onorato Fava, Francesco De Sanctis. E’ in corrispondenza anche con Antonio Fogazzaro, Angiolo Orvieto, Neera, Eugenio Checchi.
Nel 1884 esce una sua poesia, “Risveglio”, sul Fanfulla della domenica che ottiene ottimi riscontri.
La sua prima raccolta di versi, “Leggenda eterna”, uscirà solo nel 1900, dedicata alla madre, morta l’anno precedente. Il 28 novembre 1901 Vittoria sposa a Napoli il marchese Guido Pompilj, deputato di Perugia e sottosegretario agli Esteri. Per i successivi nove anni Vittoria vive a Perugia dove continua il suo percorso letterario. Nel 1906 esce la poesia “Parabola” su Il Giornale d’Italia, anonima, e diventa un caso letterario: si tratta di una satira e nessuno pensa sia di una donna. Il 7 maggio 1910 muore in seguito ad una malattia incurabile. Le poesie di Vittoria Aganoor verranno ripubblicate in una raccolta completa da Le Monnier nel 1912.
Le opere: Dal vero (su Roma Letteraria, 1895) La Madonna (idem)
Sibilla Aleramo pseudonimo di Rina Faccio, nasce ad Alessandria il 14 agosto 1876. Su Sibilla Aleramo, in relazione alla sua vita e alle sue opere, segnalo il bel libro curato da Bruna Conti e Alba Morino: “Sibilla Aleramo e il suo tempo. Vita raccontata e illustrata” edito da Feltrinelli nel 1981.
Tutta l’opera di questa grande scrittrice e pensatrice, rivela la straordinaria “coscienza anticipatrice” di quello che sarebbe stato il femminismo degli anni Settanta. Per la Aleramo la scrittura è lo strumento con cui compiere un percorso di autoanalisi, veicolare il “flusso irrefrenabile di vita” attraverso cui passa la ricerca di identità come costruzione dell’autonomia dell’essere femminile e come “sforzo incessante autocreativo”.
Frequenta l’ambiente culturale ed artistico del Novecento, conoscendo Grazia Deledda e Dino Campana, con il quale intesse una relazione lunga e tormentata.
Al termine della seconda guerra mondiale si iscrive al P.C.I. e si impegna intensamente in campo politico e sociale. Collabora, tra l’altro, all’«Unità» e alla rivista «Noi donne».
Muore a Roma nel 1960, dopo una lunga malattia.
Le opere: Una donna (1906), Il passaggio (1919), Momenti (1920,) Andando e stando (1920), Amo, dunque sono (1927), Gioie d’occasione (1930), Il frustino (1932), Orsa minore (1938), Dal mio diario (1945), Selva d’amore (1947), Il mondo è adolescente (1949), Aiutatemi a dire (1951), Luci della mia sera (1956)
Paola Masino nasce a Pisa nel 1908.
La critica fascista definì Paola Masino “una scribacchina” e Mussolini indirizzò un telegramma di congratulazioni al critico Leandro Gellona che aveva “stroncato” nel 1933 il suo romanzo “Periferia”, classificatosi al secondo posto al Premio Viareggio. Così entrò nel mirino del controllo del regime fascista.
Paola fu un’intellettuale eclettica. Scrisse racconti, poesie, romanzi, libretti d’opera e collaborò a svariate riviste e giornali, conducendo anche programmi radiofonici.
Figlia dell’aristocratica Luisa Sforza e di Enrico Masino, funzionario del Ministero dell’Agricoltura, era nata a Pisa il 20 maggio 1908 ed era cresciuta in un ambiente familiare intriso dalla passione per la musica e la letteratura.
Era un’autrice prolifica: carticoli, collaborazioni con riviste, appunti, e le sue opere principali furono: Decadenza della morte, raccolte di poesie e prose del 1931; Monte Ignoso dello stesso anno, un romanzo in parte autobiografico che fu stroncato dalla critica ed in particolare da Gadda e subito liquidato dalla critica fascista; Periferia (1933); Racconto grosso ed altri(1941); Nascita e morte della massaia (1945); Memoria di Irene (1945); Poesie (1947).
L’archivio di Paola Masino presso l’Università La Sapienza di Roma rappresenta un patrimonio letterario di grande rilievo.
Lei stessa lo aveva ordinato e diviso in fascicoli come se avesse voluto tramandare ai posteri la sua figura di donna, di scrittrice, di intellettuale. Era certamente consapevole di appartenere alla categoria delle autrici “difficili, che vendono poco”, e di essere stata una persona imbrigliata in un eterno conflitto: l’ambizione di essere un’artista ed il destino di essere una donna.
Morì a Roma nel 1989.
Quando nel 1982 la casa editrice La tartaruga ripubblica “Nascita e morte della massaia”, ciò che appare evidente è la modernità del testo, in particolare l’attualità della rabbia della Massaia che rivolgendosi a Dio dice:
“Dovevi dimostrarmi che anche nel rammendare una calza si può trovare un universo, non farmi intendere che ho lasciato l’universo per rammendare calze!”.