Lontano, Lontano di Gianni Di Gregorio
recensione di Antonella Spanò
Lontano, lontano è un volume pubblicato dalla casa editrice Sellerio nel 2020, che raccoglie tre racconti di Gianni Di Gregorio.
Di cosa tratta Lontano, lontano?
Il titolo del primo racconto è Aiòn ed ha per protagonista un disoccupato cinquantenne, che vive con la madre anziana, prendendosi cura di lei ogni giorno.
Ma l’uomo è completamente sottomesso e infelice, senza uno scopo nella vita che quello di sopravvivere allo scorrere indolente del tempo e delle giornate sempre uguali l’una all’altra.
“Mia madre è una vecchia scontenta perché è troppo vecchia, non irradia la luce della sapienza ma è iscritta nel mondo, sempre più iscritta, e invece di stare vicina alle stelle pensa solo a mangiare. S’inzuffa di cioccolate e di zucchero.
È piccola e tonda e avanza con le mani protese, tartarugona eretta in vestaglia, mi viene incontro al mattino e mi guata, mi rimprovera di essere ancora lì, di non essere già in fila in farmacia”.
Il secondo racconto ha come titolo Incantesimo.
Anche qui troviamo una madre anziana e due figli adulti, che condividono la vita e la casa con la donna, ma è solo routine, perchè di affetto filiale ne emerge poco.
Nonostante i fratelli abbiano una propria vita, tutto ruota attorno alla madre, alle sue necessità, alle sue difficoltà, finché l’equilibrio non si spezza…
“Annunciata da un ciabattio lento e regolare, entrò la madre. Testa d’aquila su corpo di chioccia pacchiotta, sora Maria portava vesti lunghe fino al pavimento e sembrava scivolare su silenziose e solide rotelle”.
L’ultimo racconto, Lontano, lontano, che dà il titolo alla raccolta, è sicuramente il più divertente per ciò che riguarda la trama, nonostante non manchi di suscitare nel lettore le amare riflessioni dei due precedenti.
I protagonisti sono due uomini anziani, ma arzilli, alle prese con le difficoltà della vita quotidiana, prima fra tutte quella di riuscire a coprire le spese con l’esigua entrata rappresentata dalla pensione statale.
Eppure questi due uomini, un ex insegnante e un “refrattario e ostile al lavoro” da tutta la vita, tra imprevisti e incontri casuali, pensano di espatriare e di ricominciare da capo…ma le radici, gli amici e i legami in genere, sono difficili da spezzare!
“Ora aveva, per fortuna, la pensione minima. Si accontentava di poco, gli piaceva stare al bar a chiacchierare, farsi quattro birrette e buonasera.
Ogni tanto, se qualcuno gli stava antipatico, mostrava un certo caratterino, ma erano cose passeggere.
Non era cattivo, anzi, considerando la fatica e l’impegno necessari a pensare il male, e dal pensiero passare all’azione, c’era da immaginare che l’anima del Vichingo fosse limpida come l’aria del mattino”.
Perché leggere Lontano, lontano?
I tre racconti di Gianni Di Gregorio sono accomunati dall’ambientazione romana e dalle tematiche: l’inesorabilità del tempo, la caducità della vita, gli equilibri che si rompono, le incertezze sul futuro.
I primi due sono racconti impregnati di malinconia e inquietudine interiore, che ruotano attorno alla figura materna volitiva, descritta come oppressiva, ma simbolo di stabilità
Lontano, lontano è, invece, meno descrittivo e con parecchie sequenze dialogiche, che danno ritmo alla narrazione.
I protagonisti, pur nel racconto delle loro difficoltà sono divertenti ed energici, ricordano un po’ i vecchietti del Bar Lume di Malvaldi, strappano sorrisi al lettore e si fanno apprezzare per la generosità e genuinità.
Consigliato soprattutto a chi ama i racconti con finale non aperto.
Link d’acquisto
https://sellerio.it/it/catalogo/Lontano/Gregorio/12430
Sinossi
Dopo anni di cinema Di Gregorio arriva finalmente alla letteratura con tre novelle che confermano il suo talento e sorprendono per la naturalezza, come se dietro il regista da sempre si fosse celato lo scrittore.
Sono storie di famiglie indolenti e camminate solitarie, di italiani medi che pensano soprattutto a se stessi, personaggi e situazioni che mai cadono nello stereotipo, tratteggiati in una lingua ricca e originale, in apparenza senza tempo e che invece affonda nella contemporaneità, nei suoi problemi, nei suoi paradossi.
Il professore e il Vichingo, vecchi amici di Trastevere, decidono di andare lontano lontano («I pensionati in Italia se ne vanno tutti, che non lo sai?»). Raccogliendo informazioni, incontrano Attilio, coetaneo, mezzo robivecchi mezzo antiquario con baracca a Porta Portese. Anche a lui l’idea piace, non per nulla definisce se stesso «un cittadino del mondo».
I preparativi per la partenza sono movimentati: ogni esistenza, per quanto appartata, presenta mille legami da lacerare, fatti, luoghi, persone. Nel corso dei quali gli avventurosi si accorgono di cose che, nel tran tran dell’insoddisfazione quotidiana, non riuscivano a notare.
A ben guardare, quel quotidiano tanto male non è. Si è cementata un’amicizia divertente, la città splendida in fondo è anche benevola, càpitano incontri che promettono un futuro. Il problema è come fare a tornare indietro sulle decisioni senza perdere la faccia. Da questo racconto il film, regia dello stesso Di Gregorio, Lontano lontano.
Aiòn è la prima storia del trittico. Il titolo è una parola del greco antico di spessore filosofico: Aiòn è il figlio di Crono, il Tempo, e sta per l’«attimo» fuggevole che frantuma il presente, il «tempo eterno», la «durata». «Aiòn è un bambino che gioca» è un frammento di Eraclito.
Nel racconto di Di Gregorio il protagonista è un cinquantenne figlio di mamma che ha vissuto tutta la vita come se il suo tempo fosse l’eterno, senz’altro impegno che di occuparsi in modo pressante della madre. Cosa rimane?
Il secondo racconto, Incantesimo, parla di un equilibrio che sembra passeggero che più non si può. In un paesino tranquillo alle porte di Roma vive una madre, sora Maria, con i due figli grandi (le sorelle se ne sono andate da tempo), Virgilio ed Emilio. Famiglia benestante, i figli hanno la loro sicurezza economica, la madre è una vera autorità morale per tutto il paese, un riferimento di saggezza.
Tutti si aspettano che Virgilio ed Emilio, che dormono nella stessa camera come fanciulli, si facciano una propria vita. Sora Maria fa molto per evitarlo. Ma quell’equilibrio è un incantesimo che non si può spezzare senza che il mondo crolli.
Di Gregorio ci parla di situazioni strane e verosimili, pescate dall’infinito repertorio della vita osservata. E coglie della forma racconto la vera funzione: trarre un significato, un destino, una beffa da una vicenda che succede.