Le stanze buie di Francesca Diotallevi

Voce al Sogno
Recensione di Tiziana Tixi

 

 

Le stanze buie è un romanzo di Francesca Diotallevi edito da Neri Pozza nel 2021.

Di cosa tratta Le stanze buie?

Torino, marzo 1904.

Uomini e donne in febbrile attesa gremiscono l’aula dove sta per iniziare un’asta. Essi sono stati attirati dal titolo sensazionalistico di un quotidiano che preannunciava la vendita del mobilio di una casa stregata.

Della casa stregata: villa Flores, teatro di una storia di sangue.

I più non sono acquirenti ma volgari curiosi interessati solo al pettegolezzo ma tra la folla siede un anziano signore mosso da un motivo solido, da un’eco che viene dal passato. Egli è lì per aggiudicarsi il carillon che le signore si contendono come un trofeo da esibire perché appartenuto a una bambina di cui molto si era parlato.

Per quell’uomo il carillon non è un vezzo ma il punto di partenza di una recherche du temps perdu di vitale importanza perciò offre una cifra esorbitante, sproporzionata al reale valore dell’oggetto e lo strappa agli altri.

Lo spregiudicato compratore è Vittorio Fubini, un ottuagenario che sta cercando di rimettere insieme i frammenti di un passato che da troppo tempo gli grava sulle spalle.

Dopo questo incipit Le stanze buie prosegue sul filo dell’analessi; Vittorio inizia lo sfogo, a lungo rimandato, di un dolore nato da una tragedia che ha cambiato per sempre la sua vita e che non è mai riuscito ad assimilare.

Egli ci porta nel marzo del 1864, quando ha trentanove anni e da Torino arriva a Neive, un piccolo paese nel cuore delle Langhe. Cosa lo ha spinto a lasciare una città in pieno fermento per la provincia?

Lo zio Alfredo, maggiordomo presso il conte Amedeo Flores, è appena deceduto e la sua ultima volontà è stata che il nipote prendesse il suo posto. Vittorio ha accettato l’incarico solo per un debito di riconoscenza;Alfredo ha sempre provveduto al suo mantenimento, gli ha permesso di studiare e il suo esempio ha acceso nel nipote la scintilla che lo ha portato a diventare un maggiordomo impeccabile e stimato.

Varcata la soglia di villa Flores, Vittorio avverte un’ombra di pentimento e di rimpianto per la vita che ha abbandonato. Torino è in divenire, è mente e cuore della nuova Italia e vi circolano idee.

La nuova realtà è un microcosmo rurale; la servitù è grossolana e ignora le norme del galateo, il padrone, piuttosto rozzo, è interessato quasi esclusivamente alle proprie vigne e la padrona è evanescente ed eccentrica.

La contessa non si mostra subito; Vittorio apprende che ella dedica le giornate alla cura della figlia Nora, di cui si occupa personalmente. Nora è una bambina fragile; tra la servitù si mormora che ella veda delle cose, che sia posseduta e che nella villa accadano strani fenomeni.

Vittorio prova sdegno verso queste credenze, inammissibili per la sua razionalità positivista.

L’incontro con la contessa Lucilla avviene alcuni giorni dopo l’arrivo di Fubini; è prevista una cena con ospiti illustri ma la signora tarda a presentarsi e il marito incarica il maggiordomo di sollecitarla. Vittorio si trova davanti una donna molto più giovane del conte; giovane ma risoluta. Con dignitosa fermezza, ella rifiuta di scendere in salone perché Nora non sta bene e ha bisogno di lei.

L’atteggiamento di Lucilla, la sua concezione della vita e dell’essere donna sconcertano Vittorio il quale trova deprecabile la mancanza di una bambinaia che si occupi della piccola.

Assorbita dalla figlia, la contessa viene meno ai doveri di una signora che deve essere un’eccellente padrona di casa e una buona moglie. Ella invece è insofferente delle regole e degli stereotipi, tuttavia la sua non è ribellione quanto desiderio di libertà e di vivere in pieno le proprie passioni.

Mentre le dame dell’alta società torinese indossano trine e merletti, Lucilla preferisce abiti dimessi; le sue mani non sono lisce e candide ma scure e ruvide; la sua persona emana un effluvio avvolgente.

Scandalosa Lucilla che, invece di usare profumi, li crea: è una profumiera, raccoglie e lavora fiori e piante aromatiche. Non vuole essere costretta entro i limiti della gerarchia che impedisce ai padroni di familiarizzare con i domestici, anzi ama intrattenersi con loro.

Il rapporto tra Vittorio e Lucilla nasce sotto il segno di una disistima reciproca ma, giorno dopo giorno, essi imparano a conoscersi e apprezzarsi.

Mentre la donna, con la sua dolcezza primitiva, scalfisce la corazza di Fubini, l’immagine di Amedeo si sgretola e il conte si rivela un uomo spietato; lampi di follia balenano nei suoi occhi e un turpe segreto comincia a svelarsi.

Esso è custodito in una stanza buia dove a nessuno è permesso entrare; quella camera fu prigione e tomba di una donna la cui colpa fu innamorarsi e tentare di spiccare il volo con il suo uomo.

La donna era Lucrezia, l’adorata sorella di Amedeo, la quale visse un breve ma intenso amore con Alfredo.

Qualcuno tradì Lucrezia che vide sfumare il sogno di lasciare la villa e sposare il maggiordomo. Cieco di furore, il conte segregò la sorella, incinta, in quella stanza, dove ella morì dando alla luce un figlio. Il neonato era una macchia per l’onore dei Flores e non poteva esistere così Amedeo commise il più orrendo dei crimini: lo adagiò tra la neve e lo sorvegliò fino a quando il freddo pungente irrigidì il corpicino.

L’uomo fu beffato dalla sorte: il bimbo non era morto; una domestica lo raccolse dalla neve, lo affidò a una balia e, poiché la vita aveva vinto, lo chiamò Vittorio.

Sì, Vittorio Fubini, figlio di Lucrezia Flores e Alfredo Musso, nipote di Amedeo.

La scoperta delle vere origini getta una nuova luce sulla vita di Vittorio; egli si sente nudo, spogliato della propria identità ma ora capisce perché lo zio lo ha condotto a villa Flores e cosa si aspettava da lui: che guardasse in faccia il carnefice della madre e di quell’amore brutalmente reciso.

Vittorio deve anche salvare da un destino infelice Nora, la cugina con cui condivide il sangue; quello che Alfredo non immaginava è che il figlio avrebbe ricevuto la pesante eredità di un amore impossibile con un’altra Flores.

Il ricordo della nefandezza che credeva di aver commesso ha avvelenato Amedeo per quasi quarant’anni e ora i suoi occhi velati di follia rivedono Lucrezia e Alfredo. Egli deve separarli e deve redimersi dal peccato commesso verso la sorella.

Non può restituirle il bambino ma può offrire un sacrificio riparatore; al culmine della cecità Amedeo si appresta a immolare la figlia.

C’è neve in quel giorno del 1864, proprio come nella notte maledetta di quarant’anni prima. La bianca coltre si macchia del sangue di Lucilla che, in un disperato tentativo di salvare Nora, viene colpita a morte dal marito.
Vittorio assiste impotente alla tragedia ma riesce a strappare la cugina alla follia omicida del padre che, divorato dai propri spettri, si punta la pistola alla tempia e fa fuoco invocando il perdono della sorella.

Nella bufera sembra prendere forma una vaga figura femminile. È il gioco dei fiocchi o è forse l’estremo passaggio di Lucrezia su questa terra?

Vittorio e Nora sono tutto ciò che resta dei Flores; come esuli, ricostruiranno altrove le proprie vite, ormai indissolubilmente legate da un vincolo di sangue e d’anima.

Anni dopo, la musica di quel carillon restituisce ricordi e verità a una donna la cui infanzia si era impigliata tra la nebbia.

Perché leggere Le stanze buie?

Le stanze buie è uno struggente romanzo che attinge ai classici della Letteratura.

Lucilla e Lucrezia sono donne di stilnovistica memoria, creature angeliche la cui presenza genera effetti benefici e ingentilisce gli animi.

Quando Vittorio arriva a villa Flores, è un maggiordomo prima che un uomo.
La sua persona coincide con il suo lavoro; il rispetto delle regole è l’imperativo morale, fedeltà e dedizione al padrone assumono una rigidità dogmatica. In soli otto mesi la forza gentile di Lucilla ammorbidisce il rigore di Fubini e lo umanizza; egli scopre sentimenti che non conosceva né concepiva, quali la tenerezza e l’amore.

La maturazione spirituale lo porta a rinnegare l’autorità del padrone; il dominus della casa precipita nella polvere e rimane solo l’uomo, miserabile, abietto.

La tradizione scapigliata rivive nella fosca figura di Amedeo che proietta ombre dove Lucrezia e Lucilla emanano luce. La sua follia non è tanto una patologia congenita quanto la deflagrazione di un ego ipertrofico che rivendica il possesso di beni e persone, non solo della servitù, ma anche degli affetti.

La sorella e la moglie sono sue proprietà e quando acquisiscono coscienza di sé egli si sente defraudato, come se due costole pretendessero di staccarsi dal suo corpo.

Nel suo universo l’ordine deve rimanere immutato e ogni elemento perturbante va estirpato.

La straordinaria intensità espressiva di Le stanze buie nasce da una comunicazione poco verbale; le parole sono scelte secondo il loro peso, denso di risonanze emotive.

Amore e follia vibrano tra le pieghe del racconto che fa della brevitas il suo punto di forza: il pathos è tutto negli sguardi, nelle frasi accennate, nel non detto che esprime l’inesprimibile. Vittorio Fubini è un uomo fustigato da un dolore antico che lo imprigiona in un buio nel quale gli unici fantasmi sono i ricordi.

“Gli spettri, compresi in quel momento, non esisterebbero se non fossimo noi, con i nostri desideri, col nostro amore, col nostro dolore, a trattenerli qua. Gli spettri vivono dentro di noi. Gli spettri, talvolta, siamo noi.”

Anche sul viale del tramonto non è tardi per aprire le stanze buie, per scegliere di vivere.

Link d’acquisto

https://neripozza.it/libri/le-stanze-buie

Sinossi

Si possono coltivare le passioni in un tempo ingeneroso?

Qualcosa di torbido e inesprimibile affiora alla superficie di questo romanzo. Ed è indefinito, difficilmente afferrabile eppure persistente, come il profumo che porta addosso Lucilla Flores, protagonista di questa storia fosca e al tempo stesso delicata e malinconica.

Francesca Diotallevi, con una capacità di raccontare fuori dal comune, ci porta in una piccola provincia del Piemonte della seconda metà dell’Ottocento, dentro la casa di un aristocratico dedito a vigneti e poco d’altro.

Dove la servitù inganna il tempo di un lavoro sempre uguale con qualche ingenuo pettegolezzo, e dove arriva a servizio un maggiordomo che prende il posto del vecchio zio appena scomparso.

Ma nessun dio oscuro e severo sarebbe stato capace di tanto dolore e di tanta ingiustizia: verso una bimba innocente, e verso la moglie del conte, Lucilla, una donna con il volto velato di oscurità, smarrita dentro un segreto che non le si addice, che non dovrebbe appartenerle, lei, la creatura più lieve, sospesa e innocente che si possa immaginare.

Le stanze buie è una dichiarazione d’amore alle passioni, alla poesia, alla bellezza della natura, a quel femminile che ci meraviglia ogni volta che si rivela a noi.

La storia di un amore negato, la prepotenza di un mondo chiuso e meschino, capace soltanto di nascondere, di reprimere, di lasciare che esistenze intere si lascino coprire dalla polvere della storia senza riscatto e senza futuro.

Tra queste stanze ferite dal pregiudizio e dall’indifferenza, Francesca Diotallevi trova, però, una luce e una delicatezza quasi preraffaellita e in questo contrasto affila una lama che taglia sempre perfettamente. E mostra che la felicità non è nelle cose del mondo, se il tempo è ostile.

Titolo: Le stanze buie
Autore: Francesca Diotallevi
Edizione: Neri Pozza, 2021