Medea – di Christa Wolf
recensione di Maria Fiorella Suozzo
Medea è un romanzo di Christa Wolf riedito da Edizioni e/ o nel 2019.
Medea, consegnata alla cultura occidentale dalla tragedia di Euripide e riportata in vita molte volte nei secoli successivi (da Seneca, Ovidio, Corneille e poi ancora, nel Novecento, Anouilh e Pasolini), si è sempre contraddistinta agli occhi degli spettatori per una macchia indelebile, uno dei peccati più abietti che si possano concepire: l’infanticidio, l’uccisione dei suoi stessi figli per vendicarsi del tradimento del suo amato Giasone.
Christa Wolf, scrittrice tedesca di quella che fu Germania Est, molto amata e poi molto contestata, decide allora di continuare, con Medea, l’opera che aveva già iniziato con Cassandra: restituire una diversa dignità alle figure femminili della mitologia greca, laddove ovviamente la ricerca storica e archeologica permettesse di scoprire declinazioni inedite di queste figure misconosciute.
Nel caso di Medea, Christa Wolf rompe una tradizione tramandata da millenni. Inizia le sue ricerche con una domanda: possibile che una madre abbia ucciso i suoi figli?
Ma la domanda è più articolata, perché in questo caso la risposta potrebbe anche essere “sì”, se non fosse per un particolare: Christa Wolf rintraccia fonti più antiche della storia raccontata da Euripide, che risalgono a un periodo più arcaico della Grecia classica (e ciò non è inverosimile: il mito pervenuto fino a noi ci racconta che Medea era una barbara della Colchide, regione del Caucaso che affacciava sul Mar Nero).
Secondo l’autrice, che fa riferimento a diversi studi antropologici e archeologici, la figura di Medea emergerebbe da un’epoca matriarcale e sarebbe il prodotto della degradazione di un’antica divinità femminile: questo è tutto da verificare, ma per amor della narrazione sospenderemo l’incredulità.
Con queste premesse, la risposta alla cruciale domanda sull’infanticidio sarebbe ovviamente diversa.
Medea non ha ucciso i suoi figli, così come il suo nome non sarebbe da riportare alla sfumatura più specializzata del greco medomai, ossia “ordire, macchinare qualcosa”, ma ancora più indietro, alla sua radice indoeuropea, che dà piuttosto conto del “darsi pensieri” “avere cure” ed è all’origine del verbo latino medeor, curare.
Medea è un nome parlante, esso svelerebbe allora la sua natura di guaritrice, piuttosto che quella di donna scaltra e ingannatrice: altra questione dibattuta, è ovvio.
Al di là dello scetticismo sulle fonti, però, l’intenzione è proprio quella di evocare un personaggio mitico tramite il suo nome:
“Pronunciamo un nome e, poiché le pareti sono porose, entriamo nel tempo di lei, incontro desiderato, dal fondo del tempo ricambia lo sguardo senza esitare. Infanticida? Ecco, per la prima volta, il dubbio.”
Christa Wolf ci propone un’interpretazione profonda, universalizzabile, sull’origine e sulla natura della violenza: è la brama del potere e del suo mantenimento a degradare l’essere umano.
Così acquistano un senso profondo anche le citazioni che aprono ognuno dei dieci capitoli, cioè delle dieci “voci” che raccontano quest’inedita storia di Medea.
Una citazione in particolare merita menzione, ed è quella tratta da La violenza e il sacro di René Girard:
“Gli uomini vogliono convincersi che la loro sfortuna viene da un unico responsabile, di cui ci si può sbarazzare facilmente”.
È il meccanismo del capro espiatorio ad aver condannato Medea alla sua fama di infanticida: designare un’unica responsabile per tutto ciò che non va, per le sopraffazioni e per le morti innescate dalla violenta ricerca del potere.
Con una riflessione amara ma terribilmente attuale, la Medea di Christa Wolf si accomiata dai suoi lettori, rendendo impossibile non pensare alle violenze del presente:
“Curano che io possa essere chiamata infanticida anche presso i posteri. Per i quali cosa sarà mai tutto questo, in confronto all’orrore che gli si mostrerà quando si guarderanno indietro. Perché non c’è modo di correggerci”.
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Sinossi
“La città ha fondamenta sopra un misfatto. Chi rivela questo segreto, è perduto.”
Medea, già abbandonata da Giasone in favore di Glauce, la cagionevole figlia del re di Corinto, vive ai margini di una città che non l’ha mai davvero accettata.
Straniera e barbara nella civilizzata e lussuosa Corinto (“Corinto è ossessionata dalla brama dell’oro […] il valore di un cittadino di Corinto si misura dalla quantità di oro che possiede”), Medea scopre per caso che il potere di Creonte, che sarà tramandato a Giasone tramite il matrimonio, si fonda su un misfatto: la morte della primogenita, anch’ella nata con un’unica sfortuna, essere donna in un mondo governato dagli uomini.