La Storia di Elsa Morante
Voce al Sogno
Recensione di Tiziana Tixi
La Storia è un romanzo di Elsa Morante; concepito tra la fine del 1970 e l’inizio del 1971, e ultimato nel 1973. Viene pubblicato da Einaudi nel 1974, direttamente in edizione economica per volontà dell’autrice; è riedito nel 2022.
Di cosa parla La Storia?
La Storia si snoda lungo un arco temporale di sei anni; dal 1941 al 1947.
Morante definisce il romanzo una “Iliade dei giorni nostri”; l’ossatura è la vicenda di una modesta famiglia romana.
Questa diventa una lente; lo sguardo si dilata ad abbracciare altri umili e umiliati. Le non illustri vittime della Storia; la quale è “uno scandalo che dura da diecimila anni”.
Roma, quartiere San Lorenzo; gennaio del 1941. Una donna dall’aspetto dimesso rientra a casa; è Ida Ramundo vedova Mancuso. Maestra elementare, mamma di Nino; ha trentasette anni, un principio di canizie nei capelli nerissimi. L’età non ha segnato il volto tondo, simile a quello di una bambina; è ancora Iduzza, come la chiamava il padre. Giuseppe Ramundo, calabrese, aveva sposato una padovana; Nora Almagià, di razza ebraica.
Ida è stata battezzata cattolica; quell’acqua l’ha sottratta alla condanna del sangue giudaico. Il segreto di famiglia è una spina molesta; ancora più pungente dopo il 17 novembre del 1938. In quella data entra in vigore la legge razziale italiana; in quanto cattolica, Ida ha salvo il lavoro.
Ma suo figlio? Dal computo dei capi, risulta ariano; ciò non basta a rassicurarla, la legge è troppo variabile.
Quel giorno di gennaio del 1941, le pare essere di giunta all’appuntamento fatale; l’incubo indossa una uniforme militare tedesca. Lo trova sul portone di casa; di sicuro è venuto per identificarla.
Si sente nuda; spogliata fino al cuore di mezza ebrea. Il corpo resta inerte, solo un lieve tremito dei muscoli; e uno sguardo di repulsione. Un insulto agli occhi del soldato; pur innocenti, si accendono di rabbia. Hanno un colore insolito sul continente; un turchino cupo, quasi violaceo. Nemmeno si avvede, Iduzza; grida. No; no; no. Quello che accade in seguito, lo ricorda come chi si sveglia da un sogno; ombre di immagini, echi di voci.
Sa che non rivedrà più quel soldato; ma non può impedirsi di temerne il ritorno. Giorno dopo giorno la paura si dilegua; la ragione ha la meglio. Nessuno è al corrente di quell’incontro; nemmeno Nino. Allora perché non rimuoverne il ricordo? A fine gennaio, Iduzza lo ha relegato nei bassifondi della memoria; ma qualcosa le è sfuggito, non ha pensato a quella possibilità. Accetta ciò che le tocca;
ma lo nasconde, aiutata dalla propria fisicità.
Nel cuore dell’estate, si spinge fino al quartiere ebraico; una levatrice, ebrea napoletana, ha appena aiutato una donna a partorire. Con un filo di voce, Ida le chiede il recapito; inventerà una storia, fingerà con Nino. La creatura le viene in aiuto; nasce con alcune settimane di anticipo, mentre il fratello è in campeggio.
Il 28 agosto Ida avverte le prime doglie; da sola raggiunge la casa della levatrice. Viene al mondo un mascolillo; è tanto piccolo quanto deciso a sopravvivere. Ha gli occhi di quel colore inconfondibile; si chiamerà Giuseppe, come il nonno materno. Il quarto giorno Ida torna a casa; l’incontro di Nino con il fratello si avvicina.
Accade il 15 settembre; euforico, il ragazzo le pone solo un paio di domande.
Imbarazzata, Ida farfuglia una debole scusa; Nino non insiste. Che importa sapere? Conta solo quel regalo inaspettato; e tenerselo stretto per sempre. Perché non aggiungere un altro membro alla famiglia? Blitz fa il suo ingresso in casa; un cagnetto marrone, zampettante di felicità.
Giuseppe è precoce in ogni tappa dello sviluppo; cresce nascosto al mondo, questo figlio dello scandalo. Impara presto a camminare sulle ginocchia, a imitazione di Blitz; sempre allegro, la sua principale fonte di gioia è Nino. È Nino che gli insegna a parlare; è Nino a rompere la reclusione. Lo porta a conoscere la città; gli mostra il mondo. Fratello maggiore, padre, maestro; ruoli che Nino interpreta con prorompente vitalità, di contro alla timorosa pacatezza di Ida.
Nino vive la vita correndo; Ida cammina in punta di piedi.
Come ti chiami? Giuseppe ormai risponde sicuro; Useppe, dice.
Questo nome inedito gli resterà; per tutti, sempre. Nell’estate del 1942 Nino milita in una specie di servizio di pattuglie; volontari atti a sorvegliare i regolamenti di guerra. Questo ruolo gli va sempre più stretto; è stufo di stare tra i ragazzini. Ha fretta, non che la guerra finisca; ma che cominci anche per lui. Nella primavera estate del 1943, le incursioni aeree sulle città italiane si fanno più frequenti;
Roma viene risparmiata, ma si diffonde un senso di insicurezza. Appena suona la sirena, Ida è assalita da un panico incontrollato; preso in collo Useppe, si precipita nel rifugio, predisposto nei locali della cantina-osteria. Il voto di Nino viene esaudito; si unisce a un battaglione di Camicie Nere in partenza per il Nord. Il 10 luglio gli Alleati sbarcano in Sicilia; la sirena ormai suona tutte le notti. E tutte le notti, la famigliola si precipita nel rifugio; sempre in compagnia del fedele Blitz.
Una di quelle mattine, Ida e Useppe sono in strada; improvviso, un clamore nel cielo, metallico, ronzante. Un fischio fende l’aria; in un fragore di tuono, ciò che prima c’era non c’è più. Tante cose perdute, grandi e piccole; anche la pallina giallorossa di Useppe. Su consiglio dell’oste, Iduzza si accoda a un manipolo di sfollati diretti a Pietralata; lì è stato allestito un dormitorio per i senza tetto.
A differenza degli altri, Ida non trasporta fagotti, né valigie; porta con sé solo Useppe. Accanto a lei, un ometto anziano procede borbottando; ha un braccio ingessato, con la mano libera spinge un carrettino. Si presenta come Cucchiarelli Giuseppe, falce e martello; viaggia in compagnia di un gatto e due canarini. Una sera di fine settembre, a Pietralata arriva un ragazzo; dice di essere unsoldato scappato dal Nord. Chiede ospitalità, non è armato; dimostra circa vent’anni. Stremato, cade in un sonno profondo; una donna approfitta per frugare nella sua sacca.
Tra gli effetti personali, c’è un quadernetto; tutte le pagine sono riempite da un nome, ripetuto ossessivamente.Vivaldi Carlo. Al risveglio l’ospite si scusa per l’intrusione; spiega di essere diretto verso il Sud. L’autunno porta una sorpresa; Nino, annunciato dalle grida gioiose di Useppe. Arriva in compagnia di un ragazzo; entrambi partigiani, chiedono vitto e alloggio per quella notte.
È una notte di racconti, di discorsi sulla politica, sulla guerra; di sogni e speranze per il futuro. Una sola persona è rimasta in disparte; con la sua ritrosia, Vivaldi Carlo attira la curiosità di Nino. Incalzato dalle domande, risponde a denti stretti; ha mentito, non è scappato dall’esercito. Era in un convoglio di deportati; qualcuno lo aveva denunciato per il suo impegno nella propaganda politica. Perché non si butta nella lotta armata? Perché la sua idea rifiuta la violenza; è anarchico. Nino fiuta alcune menzogne in quel racconto; forse anche il nome è falso.
La visita di Mancuso ha acceso l’ardore civile di Cucchiarelli
Giuseppe; il partigiano Mosca parte per i campi della guerriglia. Se dovesse perdere la vita, la signora Ida Mancuso erediterà i suoi modesti averi; questa la sua volontà, espressa davanti a testimoni. Sabato 16 ottobre 1943; uno dei giorni più neri della Storia. A Pietralata filtra la notizia; tutti i giudii di Roma sono stati catturati nelle loro case, del Ghetto non resta che lo scheletro. Ida vorrebbe sapere di più; non osa chiedere, troppa la paura di tradire il segreto del proprio sangue.
Il lunedì mattina, si spinge al Tiburtino per una commissione; Useppe è con lei. Una donna corre a perdifiato nella loro stessa direzione; Ida la riconosce come un’ebrea del Ghetto. La chiama; non ottiene risposta. La signora Di Segni corre più veloce; è diretta alla stazione.
Una specie di malia spinge Ida a seguirla; insieme a Useppe, assiste inorridita alla rappresentazione di un dolore disumano. È lo strazio allucinato, allucinante del legame reciso a forza; della carne strappata dal corpo senza anestetico. I vagoni bestiame stanno per partire; dentro, le bestie dirette al macello, gli ebrei del Ghetto.
A Pietralata alcuni lasciano il rifugio, altri arrivano; mentre l’autunno sfuma nell’inverno, Ida e Useppe sono sempre lì. Alla fine di gennaio del 1944, una visita inaspettata; l’oste Remo le riferisce un messaggio di Cucchiarelli. Ida troverà una sorpresa; un dono che farà comodo a lei e al bambino. Tre giorni dopo, mamma e figlio abbandonano Pietralata; si trasferiscono al Testaccio, in affitto presso una famiglia. Ida può riprendere il lavoro; la nuova abitazione si trova a pochi passi dalla sua scuola. Negli ultimi mesi dell’occupazione tedesca, la fame morde; l’Annona distribuisce solo una modesta razione di infimo pane. Al mercato nero i
prezzi crescono a ritmi sfrenati; gli stipendi non vengono pagati con regolarità.
Anche Ida patisce la fame; la sua unica esigenza è che Useppe abbia da mangiare. Iduzza davvero si è fatta piccina; e canuta e curva. Le vecchie paure non la tormentano più; l’unica minaccia, adesso, è il corpicino macilento di Useppe.
Dopo la paura, perde anche il senso dell’onore e della vergogna; esaltata dal primo furto, si scopre spregiudicata. Nella miseria, la manna dal Cielo; un camion tedesco carico di sacchi di farina. Come Menadi, le donne del popolo fanno incetta; e Ida celebra insieme a loro quel
Baccanale. La sera del 4 giugno il Testaccio è al buio; quella notte gli Alleati entrano a Roma. Si fa festa; in città non ci sono più Tedeschi. Un pomeriggio di fine settembre Iduzza riceve una visita inaspettata; è Carlo Vivaldi, in cerca di Nino. Basta menzogne, è il momento di rivelarsi; si chiama Davide Segre. Nella primavera del 1945 si consuma la disfatta della Germania; in agosto, con la
resa del Giappone, termina la Seconda Guerra Mondiale. Ida medita di trovare un altro alloggio, anche per il benessere di Useppe; il bambino è irrequieto, accusa disturbi del sonno.
Nella primavera del 1946 si trasferiscono nella nuova casa; sempre al Testaccio, vicino alla scuola prossima alla riapertura. Per tutta l’estate Nino è assiduo in via Bodoni; un giorno di metà luglio, non arriva da solo. È in compagnia di Bella; una candida pastora maremmana. Gli occhi di Bella parlano di un passato non facile; uno sguardo pieno di dolcezza e malinconia. Tra la pastora e Useppe è colpo di fulmine; preludio alla più nobile forma di amicizia.
Nino si ferma per cinque giorni; si illude, Iduzza. Il figlio non riprenderà gli studi; ha ben altri progetti. Violenza, armi; di tutta l’invettiva, è questo il punto che la spaventa. Ci rivedremo presto; questa la promessa a Useppe. A ottobre riapre la scuola; Ida sceglie di portarsi il bambino in classe. L’esperienza è disastrosa; spostato all’asilo infantile, Useppe è altrettanto indisciplinato. Non resta che porre fine alla parentesi scolastica; a casa le alterazioni del comportamento non rientrano. Accessi di rabbia, movimenti scomposti, notti tormentate; fino al 16 novembre, il giorno dell’insulto.
Accade di mattina; Useppe accusa il primo grave episodio della malattia che lo insidia. Si vergogna; tanto più nei confronti del fratello. La mamma deve mantenere il segreto; promette, Iduzza. Le parole da dire sono state dette; quelle taciute non saranno più dette. Nessun presagio la avvisa; non questa volta.
Nelle loro scorribande, Useppe e Bella incontrano latitanti e derelitti; pirati e martiri. Tutti lottano. Lotta Davide nella sua ordalia; lotta Useppe contro il grande male; lotta Ida contro tutto. L’umanità intera lotta per non finire stritolata tra le spire della Storia; un assassinio interminabile. Ma è una lotta impari; e vana.
Perché leggere La Storia?
Per ricordare le atrocità di cui l’uomo è stato capace. Caino uccise Abele; archetipo di una umanità fratricida. La Storia mette a nudo una dinamica che origina dagli albori della civiltà; un’insidia che si annida come un virus anche in tempo di pace. Le più estreme eruzioni di violenza sono espressioni degenerate di un sistema onnipresente; esso si fonda sulla sopraffazione degli indifesi da parte del più forte.
Per quanto radicato nella natura della società, questo virus può essere estirpato; la guarigione richiede una scelta, se vogliamo, una rivoluzione.
“Di fronte a questa oscenità decisiva della Storia, ai testimoni si aprivano due scelte: o la malattia definitiva, ossia farsi complici
dello scandalo, oppure la salute definitiva – perché proprio dallo spettacolo dell’estrema oscenità si poteva ancora imparare l’amore puro…”
Per ricordare chi della Storia ha fatto parte, mentre essa si compiva. Non i grandi, non i potenti; di loro già si è detto molto. Questa volta si parla di uomini e donne; di vecchi e bambini. Di tutti quei cristi che hanno portato la croce in silenzio; come Cristo, ultimi. Invisibili al mondo, la Storia, fiumana implacabile, ne ha disperso le tracce; con il suo urlo ne ha soffocato le voci.
Forse, tendendo l’orecchio, è possibile sentirle; in una strada, in mezzo alla piazza del mercato; da una finestra all’altra. A questo ci chiama La Storia.
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Sinossi
A La Storia, romanzo pubblicato direttamente in edizione economica nel 1974 e ambientato a Roma durante e dopo l’ultima guerra (1941-47), Elsa Morante ha consegnato la massima esperienza della sua vita.
È la sua opera più letta e, come tutti i libri importanti, anche quella che ha fatto più discutere. Cesare Garboli, nell’introduzione a questa edizione, traccia un bilancio critico sul eomanzo a oltre vent’anni dalla prima pubblicazione. Completano il volume la cronologia della vita e delle opere, la bibliografia generale e quella specifica relativa al dibattito su La Storia.