Il Cantico dei Cantici- il poema d’amore più bello

Voce all’Altrove

a cura di Cynthia Collu

IL CANTICO
 Avete mai letto Il Cantico dei cantici? È un testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana, scritto, secondo gli studiosi, almeno 2.500 anni fa.
 Se non l’avete ancora fatto ve lo consiglio di cuore. Ma fate attenzione, rischiate d’innamorarvene.

Di cosa tratta Il Cantico dei Cantici?

Milleduecentocinquanta parole per diventare uno tra i poemi d’amore più belli – forse il più bello – di tutti tempi. Amore carnale, non di sole affinità elettive. Siamo parlando del Cantico dei Cantici. Giù il cappello, signori, qui si fa sul serio.

 “Dodî lî wa’anî lô”, “Il mio amato è mio ed io son sua” dice la donna, e in questi pochi, celeberrimi versi, riassume l’intimità più profonda tra maschio e femmina. La celebra, la dispiega e la glorifica.
“Dodì”, chiama la donna il suo uomo.
Un vezzeggiativo, di quelli che si usano tra innamorati, che parla solo a loro; di loro e per loro. Mio amato, piccolino mio, oppure mio diletto, a seconda delle traduzioni. “Dodì”: termine adolescente ed esperto assieme. Credo di non aver mai sentito un’espressione più tenera.
 Mi piacerebbe un giorno, anche nel momento della vecchiaia estrema, seppur ombra di quella che ero, sentirmela dire.
Ed ecco l’incipit. Assolo della donna.
 “Baciami con i baci della tua bocca:
 le tue carezze sono migliori del vino.
 I tuoi profumi sono soavi a respirare,
 aroma che si effonde è il tuo nome.”
 Sublime richiesta d’amore: è la donna che prende l’iniziativa – e forse è giusto che sia così – per raccontarci della scintilla divina che travolge e trasforma il nostro quotidiano.
 Ed ecco il controcanto del maschio.
“Quanto sei bella, amica mia,
 quanto sei bella!
 I tuoi occhi sono colombe
 attraverso il tuo velo;
 i tuoi capelli sono come un gregge di capre
 che scendono dalla montagna del Galaad.
 I tuoi denti sono come un gregge di pecore tosate
 che salgono dal bagno:
 tutti sono appaiati
 e nessuno è isolato.
 Le tue labbra sono come un nastro scarlatto
 e il tuo parlare è incantevole.”
I due si cercano, si desiderano, si fuggono, si lasciano andare al molle sfinimento del desiderio, alla sete del bisogno dell’altro, in una natura lussureggiante che trasuda essa stessa erotismo.
 E chi mai non l’ha provato, questo dolce delirio dei sensi? Chi mai non lo ripiange, quando tutto s’acqueta con gli anni? Come non fare propria ogni parola dei due amanti, e dirsi che sì, è così, è stato così, sarà ancora così.
 Forse.
Innumerevoli sono state le interpretazioni de Il Cantico dei Cantici: celebrazione nuziale tra Dio e Israele, inno all’amore umano, “sciarada allegorica densa di crittogrammi mistici da decifrare, spartito per un rituale liturgico, copione di dramma” .
Davanti a questo baillame d’interpretazioni, spesso metaforiche, a cui si è opposta la lettura letterale e realistica del Talmud “nessun passo biblico perde mai il suo significato letterale”, umilmente mi taccio.
Dice David M. Turoldo
 “è nel cuore della donna che Dio deve aver nascosto il suo più grande tesoro. E se la scintilla della vita – come vuole la Genesi – avviene per traspirazione da bocca a bocca tra Dio e la sua creazione, questa invocazione iniziale della sposa del Cantico mi fa pensare al desiderio cosmico di essere baciata dallo stesso Dio. E’ la grandezza e il dramma, se si vuole, dell’amore: di questo infinito anelito, e della sua sempre cercata e mai raggiunta pienezza; di questa divina fame di amare; e di toccare l’estasi e di sentirsi allo stesso tempo sempre con le labbra screpolate dalla sete.”

Perchè leggere Il Cantico dei Cantici?

 Se non avete ancora letto Il Cantico dei Cantici, vi siete persi non solo l’altra metà del cielo, ma tutto il firmamento.

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Cantico_dei_cantici