“Candido o l’ottimismo” di Voltaire

L’assurdo viaggio della filosofia

di Valentina Dragoni

Leggere Candido o l’ottimismo di Voltaire è stato per me una vera e propria sfida perché le mie inclinazioni letterarie non si avvicinano molto alla produzione transalpina… diciamo che io e la letteratura francese abbiamo un rapporto civile ma distante!

Però l’occasione per superare la mia idiosincrasia nei confronti di questa letteratura era troppo ghiotta per farmela sfuggire!

Nominato già nell’introduzione a questo percorso letterario nel tema del viaggio, Voltaire di sicuro non spicca tra i primi nomi quando si pensa alla letteratura di viaggio; eppure egli è riuscito a sviluppare un percorso tutto suo nel raccontare le peripezie spazio-temporali dell’uomo.

Per questo Candido o l’ottimismo non è un tradizionale racconto settecentesco di viaggio, ma una vera e propria parabola iperbolica nelle fortune umane e nella filosofia del tempo.

Stupefatto, Candido non capiva ancora bene come fosse diventato un eroe. In una bella giornata di primavera decide di fare una bella passeggiata, procedendo dritto, convinto che servirsi liberamente delle proprie gambe fosse un privilegio della specie umana, come di quella animale.

Voltaire, con la scusa di raccontare l’esplorazione fatta da Candido del nostro mondo, mette alla berlina la filosofia ottimistica dell’Illuminismo, in cui tutto è spiegabile e razionalizzabile, dove l’armonia generale è il quadro perfetto in cui ogni evento che rallegra o funesta la vita degli uomini ha sempre una valida ragione.

Candido o l'ottimismo di Voltaire

Ritratto di Voltaire

Delle (dis)avventure di Candido e della sua ingenua forza d’animo

Il protagonista di questo romanzo o, meglio, di questa collezione di cartoline dalle peregrinazioni assurde e a volte spaventose è Candido, un giovane orfano che vive nel castello del barone di Thunder-den-Tronckh in Vestfalia.

Voltaire non mette nessun nome a caso ai suoi protagonisti: ingenuo e puro, Candido è seguito nella sua educazione da Pangloss (anche qui, un nome un destino: “tutta lingua” a significare l’estrema verbosità e cavillosità del pensiero di questo filosofo) ed è innamorato di Cunegonda, la figlia del barone.

Il viaggio di Candido comincia proprio a causa del suo amore: scoperto dal barone mentre bacia Cunegonda, viene cacciato a calci dal castello.

Solo e senza un soldo, viene arruolato in un reggimento prussiano (i Bulgari) impegnato nella guerra contro i francesi (gli abari) nel quale ben presto si trova in pericolo: intenzionato a disertare, viene punito con migliaia di frustate. Durante una battaglia, Candido si nasconde e scappa: in un quadro tragico, in cui Voltaire non risparmia descrizione crude e sanguinolente delle atrocità della guerra, il nostro giovane e puro filosofo si reca in Olanda dove viene curato da Giacomo l’anabattista.

Lì ritrova anche Pangloss, ridotto ad un mendicante malaticcio e pustoloso che viene curato dal buon Giacomo: tutti e tre partono alla volta di Lisbona su un vascello, che viene travolto da una tremenda tempesta.

Si ride a denti strettissimi…

Da qui è tutto un susseguirsi di pericoli e rocambolesche avventure, leggendo le quali viene da pensare che Voltaire deve aver dato fondo ad una immaginazione violenta e sfrenata: sotto l’ironia di eventi paradossali infatti si nasconde (e nemmeno troppo) una crudezza nel racconto che spiazza.

Da una parte abbiamo un eroe sfortunatissimo, dall’altra un mondo dalle regole crudeli che sembra in netto contrasto con le teorie espresse da Pangloss, secondo il quale il male generale ha scopi generali e tutto rientra in un perfetto meccanismo che guida questo mondo che è il migliore dei mondi possibili.

La scena che Voltaire ci offre è davvero una trappola ben congegnata dove ad ogni azione del protagonista segue una reazione ancora più violenta che lo mette alla prova: ma a queste sfortune sembra che la forza d’animo di Candido si avvalga anche di coincidenze o opportunità che in qualche modo lo fanno sempre sopravvivere: a Lisbona, per esempio, dopo il mostruoso terremoto che distrugge la città, l’Inquisizione decide di sacrificare proprio Candido, Pangloss e i naufraghi in un autodafé che dovrebbe scacciare l’ira del Signore, ma lui è l’unico a salvarsi.

Pangloss viene impiccato, ma Candido sopravvive e viene curato da una vecchia che non è altri che la serva di Cunegonda, scampata all’assalto dei Bulgari che avevano trucidato la sua famiglia e distrutto il suo castello.

Violentata e venduta come schiava, Cunegonda è ora una specie di “bene condiviso” da borghese ebreo che l’ha comprata e dall’inquisitore che se ne è invaghito: questi due irrompono in casa proprio quando vi si trova anche Candido che, per difesa, li uccide.

Nuovo Mondo, stesse sventure

Braccati, Candido, Cunegonda, la vecchia e un servo di nome Cacambo salpano per il Sud America, ma ovviamente le sventure non sono finite.

Oltre a scoprire la vera identità della vecchia, che in realtà è la figlia di un Papa e di una principessa, la comitiva di questo viaggio a dir poco da dimenticare arrivata a Buenos Aires si separa: Candido e Cacambo finiscono tra i gesuiti del Paraguay e chi ci trovano al comando? Nientemeno che il fratello di Cunegonda, scampato pure lui al massacro compiuto dai Bulgari.

Bisogna ammettere che questo mondo è una ben strana cosa! O Pangloss, Pangloss! Quanto sareste contento se non vi avessero impiccato!

Questa citazione potrà sembrare alquanto stravagante (non meno della trama di questo romanzo, credetemi), ma Candido commenta più volte in questo modo gli eventi che sembrano dare ragione alle teorie del suo maestro, quelle convinte ipotesi ottimistiche per le quali ogni male porta sempre ad un bene e che tutto rientra in un quadro di perfezione armonica guidato da una mano sapiente e benevola.

Candido o l'ottimismo di Voltaire

Candido o l’ottimismo di Voltaire – illustrazione

Scimmie, Orecchioni e El Dorado

Ma il burattinaio del destino di Candido è il nostro Voltaire, che lo fa finire in mano alla tribù indigena degli Orecchioni che tenta di mangiarselo convinta che fosse un gesuita (a quanto pare i religiosi non erano proprio ben accolti da quelle parti); ma, con un bel discorso logico e sensato, Cacambo convince gli indigeni a non farli finire sul fuoco, salvando sé stesso e Candido.

Da qui scappano ancora per giungere nella città di El Dorado, dove osservano le meraviglie più strabilianti e le ricchezze più impressionanti; qui l’oro è talmente tanto che non vale niente e non ci sono guerre o violenze. Ma, a quanto pare, nessuna quantità d’oro vale come l’amore di Cunegonda quindi Candido convince Cacambo a ripartire per l’Europa dicendo:

Se rimaniamo qui, saremo come tutti gli altri; se invece torniamo nel nostro mondo, anche con solo dodici montoni carichi di ciottoli d’Eldorado, saremo più ricchi di tutti i re messi assieme […]

Questo mondo migliore quindi viene abbandonato alla ricerca di ciò che dà la vera felicità, l’amore.

Di nuovo in Europa e “a coltivare il proprio orto”

La ricerca di Cunegonda è ovviamente costellata di avventure improbabili in lungo e in largo per il vecchio continente: dalla Francia, dove Candido rischia l’arresto, a Venezia dove il nostro eroe sfortunato ma risoluto incontra il nobile Pococurante, circondato da bellezze artistiche, ricchezza e cultura ma assolutamente scontento di tutto, criticone, con il quale Candido cerca di instaurare uno scambio dialettico… con scarso successo.

Arrivata a questo punto mi sono chiesta: ma quindi? Che scopo ha avuto questo iperbolico scappare, parlare?

Qual è il senso di questo viaggio? Se ce n’è uno…

Beh, c’è il lieto fine: dopo tutte le sventure, arrivato a Costantinopoli finalmente Candido ritrova l’amata Cunegonda e, come nelle migliori storie dell’assurdo (non me ne voglia Voltaire, ma chi ha visto almeno una puntata di una soap opera non si stupisce più di nulla), anche i compagni che credeva di aver perso lungo il tragitto come Pangloss, scampato non si sa come all’impiccagione, il fratello di Cunegonda, la vecchia principessa.

Tutti insieme appassionatamente a vivere in una fattoria autosufficiente in cui ognuno di loro riesce a rendersi utile sfruttando un talento o una capacità.

È il ciclo che si completa, e sembra che alla fine Pangloss avesse ragione nel dire che

Tutti gli eventi sono connessi nel migliore dei mondi possibili; perché se voi non foste stato cacciato da un bel castello a gran calci nel sedere, per amore di Madamigella Cunegonda,[…] non sareste qui a mangiare cedri canditi e pistacchi.

Tutte le disgrazie subite da Candido alla fine sembrano solo una concatenazione di eventi che portano al bene finale, al piccolo orto chiuso e sicuro che mette al riparo dai pericoli del mondo. Cacciato dal paradiso del castello, Candido si ritrova con i suoi amici in un altro piccolo paradiso dove tutto è perfettamente concluso e votato al bene.

Ma “Candido o l’ottimismo” è un romanzo sul viaggio?

Questa è la domanda che mi sono posta dopo aver girato l’ultima pagina. E la mia risposta è sì: non solo perché Candido compie una vera e propria rivoluzione intorno alla Terra, ma anche perché di fatto viaggia in sé scoprendo la sua vera tempra.

Affrontando le varie sventure, Candido scopre che alla fine ciò che conta è agire, anche e soprattutto in un mondo in cui il male (come il bene) non sono frutto del piano di una divinità capricciosa, ma della casualità e in parte della volontà dell’uomo.

Ma perché allora questa libriccino ha attirato ferocissime critiche? Perché Voltaire ha quindi la fama di un cinico gaudente, sprezzante dell’umanità?

Perchè in Candido o l’ottimismo Voltaire una farsa della presunzione tutta illuminista di credere che il mondo sia governato da leggi perfettamente conoscibili dall’uomo, dove tutto ciò che accade ha per forza una ragione che alla fine porta al bene.

Ma la percezione che ho avuto leggendo questo romanzo, in cui il viaggio è un mezzo per una lezione apparentemente strampalata di filosofia, è che in fondo un po’ di fiducia nell’uomo c’è: Candido se la cava in ogni situazione perché agisce, non parla soltanto come fa Pangloss con la sua tronfia saccenza.

Candido è umile, ma non si scoraggia. Non avrà la cultura di Pangloss, ma è molto più conoscitore del mondo perché il viaggio che compie è completo, fisicamente e psicologicamente. E Voltaire ce lo fa capire raccontando in modo ironico una storia inverosimile intrisa di rimandi filosofici.

Onestamente, prima di leggere quest’opera consiglierei un breve ripasso del pensiero e della forma mentis di Voltaire, perché personalemente ho trovato difficile capire o anche solo apprezzare a fondo questo romanzo. In fin dei conti, questo breve incontro con Voltaire non mi è dispiaciuto… ma non lo consiglierei come agente di viaggio!

Riferimenti

Voltaire, “Candido o l’ottimismo”, ed. Universale Economica Feltrinelli

Vita e opere di Voltaire, Wikipedia